LETTERATURA torna alla homepage
PRECICERONIANA CICERONIANA AUGUSTEA IMPERIALE RISORSE
     
Ovidio


  Cerca







Progetto Ovidio - forum

pls - prima d'inoltrare richieste in forum
leggete le condizioni e i suggerimenti del FORUM NETIQUETTE

FORUM APERTO
>>> qualche suggerimento per tradurre bene (da: studentimiei.it)

--- altri forum di consulenza: DISCIPULUS.IT - LATINORUM - LATINE.NET ---



Leggi il messaggio

Mittente:
bukowski
Re: richiesta   stampa
Data:
11/07/2003 19.30.10




Rispondi a questo messaggio  rispondi al msg

Scrivi un nuovo messaggio  nuovo msg

Cerca nel forum  cerca nel forum

Torna all'indice del forum  torna all'indice
Gellio, Notti Attiche, XIV, 7

I. Gnaeo Pompeio consulatus primus cum M. Crasso designatus est.
II. Eum magistratum Pompeius cum initurus foret, quoniam per militiae tempora senatus habendi consulendique, rerum expers urbanarum fuit, M. Varronem familiarem suum rogavit, uti commentarium faceret eisagogikon - sic enim Varro ipse appellat -, ex quo disceret, quid facere dicereque deberet, cum senatum consuleret.
III. Eum librum commentarium, quem super ea re Pompeio fecerat, perisse Varro ait in litteris quas ad Oppianum dedit, quae sunt in libro epistolicarum quaestionum quarto, in quibus litteris, quoniam quae ante scripserat non comparebant, docet rursum multa ad eam rem ducentia.
IV. Primum ibi ponit, qui fuerint, per quos more maiorum senatus haberi soleret, eosque nominat: dictatorem, consules, praetores, tribunos plebi, interregem, praefectum urbi; neque alii praeter hos ius fuisse dixit facere senatusconsultum, quotiensque usus venisset, ut omnes isti magistratus eodem tempore Romae essent, tum quo supra ordine scripti essent, qui eorum prior aliis esset, ei potissimum senatus consulendi ius fuisse ait,
V. deinde extraordinario iure tribunos quoque militares, qui pro consulibus fuissent, item decemviros, quibus imperium consulare tum esset, item triumviros reipublicae constituendae causa creatos ius consulendi senatum habuisse.
VI. Postea scripsit de intercessionibus dixitque intercedendi, ne senatusconsultum fieret, ius fuisse iis solis, qui eadem potestate qua ii, qui senatusconsultum facere vellent, maioreve essent.
VII. Tum adscripsit de locis, in quibus senatusconsultum fieri iure posset, docuitque confirmavitque, nisi in loco per augures constituto, quod "templum" appellaretur, senatusconsultum factum esset, iustum id non fuisse. Propterea et in curia Hostilia et in Pompeia et post in Iulia, cum profana ea loca fuissent, templa esse per augures constituta, ut in iis senatusconsulta more maiorum iusta fieri possent. Inter quae id quoque scriptum reliquit non omnes aedes sacras templa esse ac ne aedem quidem Vestae templum esse.
VIII. Post haec deinceps dicit senatusconsultum ante exortum aut post occasum solem factum ratum non fuisse; opus etiam censorium fecisse existimatos, per quos eo tempore senatusconsultum factum esset.
IX. Docet deinde inibi multa: quibus diebus haberi senatum ius non sit; immolareque hostiam prius auspicarique debere, qui senatum habiturus esset, de rebusque divinis prius quam humanis ad senatum referendum esse; tum porro referri oportere aut infinite de republica aut de singulis rebus finite; senatusque consultum fieri duobus modis, aut per discessionem, si consentiretur, aut, si res dubia esset, per singulorum sententias exquisitas; singulos autem debere consuli gradatim incipique a consulari gradu. Ex quo gradu semper quidem antea primum rogari solitum, qui princeps in senatum lectus esset; tum autem, cum haec scriberet, novum morem institutum refert per ambitionem gratiamque, ut is primus rogaretur, quem rogare vellet, qui haberet senatum, dum is tamen ex gradu consulari esset.
X. Praeter haec de pignore quoque capiendo disserit deque multa dicenda senatori, qui, cum in senatum venire deberet, non adesset.
XI. Haec et alia quaedam id genus in libro, quo supra dixi, M. Varro epistula ad Oppianum scripta exsecutus est.
XII. Sed quod ait senatusconsultum duobus modis fieri solere aut conquisitis sententiis aut per discessionem, parum convenire videtur cum eo, quod Ateius Capito in coniectaneis scriptum reliquit.
XIII. Nam in libro con. IIII Tuberonem dicere ait nullum senatusconsultum fieri posse non discessione facta, quia in omnibus senatusconsultis, etiam in iis, quae per relationem fierent, discessio esset necessaria, idque ipse Capito verum esse adfirmat. Sed de hac omni re alio in loco plenius accuratiusque nos memini scribere.

Gneo Pompeo fu designato per la prima volta al consolato con Marco Crasso. Quando Pompeo era sul punto d?iniziare tale magistratura, essendo per il lungo periodo passato in servizio militare, poco pratico del modo di convocare e presiedere il Senato, cos? come dell'amministrazione della citt?, preg? Marco Varrone, suo amico, che gli preparasse un commentario, Eisagoghikos (cos? Varrone stesso lo chiama), dal quale venisse a sapere che cosa dovesse fare e dire quando consultava il Senato. Tale commentario che aveva fatto per Pompeo and? disperso, secondo quanto dice Varrone nelle lettere ad appiano, comprese nel IV libro delle Questioni trattate per lettera, nelle quali lettere, poich? ci? che aveva precedentemente scritto non era pi? disponibile, riprese molti argomenti che trattano quel soggetto.
Prima di tutto indica coloro che, secondo le antiche costumanze, avevano il diritto di convocare il Senato, e li nomina: il dittatore, i consoli, i pretori, i tribuni dalla plebe, l'interr?, il prefetto dell'Urbe, e dice che nessun altro all'infuori di loro aveva il diritto di emettere un senatoconsulto, e tutte le volte che capitasse che tutti quei magistrati fossero nello stesso tempo a Roma, il primo nell'ordine sopra indicato aveva la facolt? di consultare il Senato e poi, per una facolt? straordinaria, anche i tribuni militari, che avevano governato come consoli, e cos? pure i decemviri, che avevano esercitato il potere consolare e i triumviri nominati per riorganizzare lo Stato, avevano il privilegio di consultare il Senato.
Poi parla del diritto di veto e dice che il diritto di opporsi alla emanazione di un senatoconsulto spettava legalmente solo a quanti avevano la stessa autorit? di coloro che intendevano legalmente proporre il senatoconsulto, o un'autorit? maggiore.
Aggiunge poi un elenco delle localit? nelle quali si pu? legalmente emettere un senatoconsulto e chiarisce e conferma che se in un luogo non prestabilito da un augure, che viene chiamato templum, sia stato emesso un senatoconsulto, questo non ? valido. Perci?, essendo la Curia Ostilia, la Pompeia e poi la Giulia luoghi propizi, gli auguri li trasformarono in tempia, in modo che, secondo l'usanza degli avi, potessero esservi emanati i senatoconsulti. E dice anche che non tutti gli edifici sacri erano tempia e che neppure la casa di Vesta lo era. Dopo ci? egli dice che un senatoconsulto emesso prima del sorgere o dopo il tramonto del sole non ? valido, e che anzi erano ritenuti degni di censura coloro che avevano in quei periodi di tempo emesso un senatoconsulto.
Egli d? poi molte altre istruzioni; in quali giorni non ? legale tenere una seduta del Senato; che chi intende riunire il Senato deve immolare una vittima e trame gli auspici; si devono mettere in discussione in Senato le cose divine prima delle umane; e si devono portare in discussione o gli argomenti riguardanti lo Stato senza limiti o singoli problemi in modo limitato; i senatoconsulti possono essere votati in due modi: per divisione, se si ? d'accordo, o, se la materia ? incerta, richiedendo il parere di ogni senatore; ma questi debbono essere richiesti secondo un ordine prestabilito a partire dal grado di console.
E in tale ordine soleva nei tempi pi? antichi votare per primo chi era stato per primo ammesso in Senato; ma al tempo in cui Varrone scriveva, una nuova usanza divenne corrente, frutto della parzialit? e del desiderio di compiacere, s? che veniva chiamato per primo al voto colui che riteneva il presidente del Senato, purch? fosse di rango consolare. Oltre a ci? Varrone tratta della presa di pegni e delle multe da applicare al senatore che, dovendo comparire in Senato, non si presenta. Di questi e di altri argomenti del genere parla Marco Varrone nel libro di cui ho fatto cenno: l'epistola inviata a Oppiano.
Ma poich? dice che si pu? approvare un senatoconsulto in due modi, per voto personale o per divisione, mi sembra che tale opinione non vada d'accordo con quanto lasci? scritto Ateio Capitone nelle sue Miscellanee. Infatti nel quarto libro dice che Tuberone afferma che nessun senatoconsulto pu? essere votato senza divisione, giacch? in tutti i senatoconsulti, anche in quelli richiedenti una discussione, ? necessaria la divisione, e Capitone stesso dichiara essere ci? esatto. Ma mi ricordo di aver trattato tale argomento con maggior estensione ed esattezza in altro luogo.

Trad. L. Rusca
  richiesta
      Re: richiesta
 

aggiungi questa pagina ai preferiti aggiungi ai preferiti imposta progettovidio come pagina iniziale imposta come pagina iniziale  torna su

tutto il materiale presente su questo sito è a libera disposizione di tutti, ad uso didattico e personale, non profit/no copyright --- bukowski

  HOMEPAGE

  SEGNALA IL SITO

  FAQ 


  NEWSGROUP

%  DISCLAIMER  %

ideatore, responsabile e content editor NUNZIO CASTALDI (bukowski)
powered by uapplication.com

Licenza Creative Commons
i contenuti di questo sito sono coperti da Licenza Creative Commons