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bukowski
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11/07/2003 19.30.53




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Plinio, Panegirico, I

Bene ac sapienter, Patres Conscripti, maiores instituerunt, ut rerum agendarum, ita dicendi initium a precationibus capere: quod nihil rite, nihilque providenter homines, sine deorum immortalium ope, consilio, honore, auspicarentur. Qui mos cui potius, quam consuli, aut quando magis usurpandus colendusque est, quam quum imperio senatus, auctoritate reipublicae, ad agendas optimo principi gratias excitamur? Quod enim praestabilius est aut pulchrius munus deorum, quam castus et sanctus et diis simillimus princeps? Ac si adhuc dubium fuisset, forte casuque rectores terris, an aliquo numine darentur: principem tamen nostrum liqueret divinitus constitutum. Non enim occulta potestate fatorum, sed ab Iove ipso coram ac palam repertus, electus est: quippe inter aras et altaria, eodemque loci, quem deus ille tam manifestus ac praesens, quam caelum ac sidera, insedit. Quo magis aptum piumque est, te, Iupiter optime maxime, antea conditiorem, nunc conservatorem imperii nostri, precari, ut mihi digna consule, digna senatu, digna principe contingat oratio: utque omnibus, quae dicentur a me, libertas, fides, veritas constet: tantumque a specie adulationis absit gratiarum actio mea, quantum abest a necessitate.

Bene e saggiamente, o Padri Coscritti, i nostri maggiori hanno ordinato che tanto nel ragionare, quanto nel trattare gli affari s'incominci dall'invocare gli d?i, perch? gli uomini nulla intraprenderebbero regolarmente e avvedutamente senza l'ispirazione, il consiglio degli d?i immortali e l'ossequio a lor prestato. E quel costume a chi meglio si addice se non a un Console? In qual tempo si deve osservare e custodire maggiormente se non quando per comando del Senato o in nome dello Stato siamo invitati a rendere grazie al migliore di tutti i Principi? Quale pi? prezioso o pi? bel dono degli d?i di un Imperatore virtuoso, inattaccabile e per tutto simile agli d?i? Che se si fosse potuto dubitare sinora, se per puro caso o per un certo divino volere i reggitori del mondo fossero scelti, sarebbe pur sempre manifesto essere stato il nostro Principe largito dal cielo.
E certo non fu l'occulto potere del destino, ma palesemente e sotto gli occhi di tutti, fu lo stesso Giove a rivelarlo; poich? questo nostro Principe fu eletto tra are e altari e col? appunto ove codesto dio manifesto e presente risiede, come in cielo e sulle stelle. E perci? ? cosa tanto pi? conveniente e religiosa, ottimo Giove, fondatore un tempo, e ora sostenitore di questo impero, che noi imploriamo il tuo soccorso, perch? tale sia il nostro ragionare, qual si conviene a un Console, a un Senato, a un Imperatore; e che In tutte le cose che da noi si diranno apparisca la libert?, la sincerit?, la verit?, e che il nostro rendimento di grazie quanto ? lontano da imposizione, altrettanto sia lontano da ogni aura di adulazione.

Trad. L. Rusca


Plinio, Panegirico, IV, 1-3

Sed parendum est Senatusconsulto, quo ex utilitate publica placuit, ut Consulis voce, sub titulo gratiarum agendarum, boni principes, quae facerent, recognoscerent; mali, quae facere deberent. Id nunc eo magis solemne ac necessarium est, quod parens noster privatas gratiarum actiones cohibet et comprimit, intercessurus etiam publicis, si permitteret sibi vetare, quod Senatus iuberet. Utrumque, Caesar Auguste, moderate, et quod alibi tibi gratias agi non sinis, et quod hic sinis. Non enim a te ipso tibi honor iste, sed agentibus habetur. Cedis affectibus nostris, nec nobis munera tua praedicare, sed audire tibi necesse est.

Ma si deve ubbidire al decreto del Senato, che per il pubblico bene ha stimato che, dalla bocca di un Console sotto il nome di azione di grazie, i buoni Principi si sentissero ricordare i loro fasti, e i cattivi ci? che dovrebbero fare. Il che pi? importante e pi? necessario si rende ora in quanto questo nostro padre impedisce e comprime le private lodi, disposto a impedire altres? le pubbliche, se credesse lecito di vietare ci? che il Senato comanda. Nell'uno e nell'altro caso tu sei nel giusto, o Cesare Augusto; sia che altrove non ti lasci render grazie, sia che qui lo permetta, giacch? non fai onore a te stesso, ma a coloro che ti rendono questo onore. Tu cedi al nostro affetto, e non siamo noi obbligati a proclamare i tuoi benefici, ma tu ad ascoltarli.

Trad. L. Rusca


Plinio, Panegirico, LIX, 5-6

Didicimus quidem, cui virtus aliqua contingat, omnes inesse: cupimus tamen experiri, an nunc quoque una eademque res sit, bonus consul et bonus princeps. Nam praeter id, quod est arduum, duas, easque summas, simul capere potestates, tum inest utrique nonnulla diversitas, quum principem quam simillimum esse privato, consulem quam dissimillimum, deceat.

Si dice generalmente che chi ? fornito di una virt? possiede anche tutte le altre, ma vogliamo vedere in pratica se anche ora siano una sola cosa l'essere un buon Console e un buon Principe. Giacch? oltre l'essere difficile esercitare due uffici sommi nello stesso tempo, vi ha tra l'uno e l'altro non poca disparit?, addicendosi al Principe essere somigliantissimo a un privato cittadino, mentre questo non conviene al Console.

Trad. L. Rusca


Plinio, Panegirico, XC, 1-3

Scio, Patres Conscripti, cum ceteros cives, tum praecipue consules, oportere sic affici, ut se publice magis, quam privatim, obligatos putent. Ut enim malos principes rectius pulchriusque est ex communibus iniuriis odisse, quam propriis: ita boni speciosius amantur ob ea, quae generi humano, quam quae hominibus praestant. Quia tamen in consuetudinem venit, ut consules, publica gratiarum actione perlata, suo quoque nomine, quantum debeant principi, profiteantur: concedite, me non pro me magis munere isto, quam pro collega meo, Cornuto Tertullo, clarissimo viro, fungi.

So bene, o Padri Coscritti, che tutti i cittadini, ma pi? specialmente i Consoli, debbono avere l'animo disposto a credersi pi? legati all'interesse pubblico che alloro proprio di privati. Come ? cosa pi? giusta e bella l'odiare i cattivi Principi per il male che recano alla comunit? che non per le offese ai singoli, cos? i buoni sono pi? luminosamente amati per quello che essi hanno fatto al genere umano, che non per quello che hanno fatto a pro di singoli cittadini. Ma poich? ? passata nella consuetudine che i Consoli, dopo avere a nome del pubblico rese grazie all'Imperatore, espongano anche in proprio nome quanto essi stessi gli debbono, permettetemi che io qui adempia un tal dovere non solo per me stesso ma anche per il mio collega Cornuto Tertullo, uomo chiarissimo.

Trad. L. Rusca


Plinio, Panegirico, XCIII, 1-3

Super omnia tamen praedicandum videtur, quod pateris consules esse, quos fecisti: quippe nullum periculum, nullus ex principe metus consulares animos debilitat et frangit: nihil invitis audiendum, nihil coactis decernendum erit. Manet manebitque honori veneratio sua, nec securitatem auctoritate perdemus. Ac si quid forte ex consulatus fastigio fuerit diminutum, nostra haec erit culpa, non seculi. Licet enim, quantum ad principem, licet tales consules agere, quales ante principes erant. Ullamne tibi pro beneficiis referre gratiam parem possumus? nisi tantum illam, ut semper nos meminerimus consules fuisse, et consules tuos; ea sentiamus, ea censeamus, quae consularibus digna sunt; ita versemur in republica, ut credamus esse rempublicam. Non consilium nostrum, non operam subtrahamus, nec disiunctos nos et quasi dimissos consulatu, sed quasi adstrictos et devinctos putemus; eundemque locum laboris et curae, quem reverentiae dignitatisque, teneamus.

Quella che pi? di ogni altra cosa sembra da lodare ? questa: che lasci fare il Console a coloro che hai nominati Consoli, perch? nessun pericolo, nessun timore snerva e vince gli animi dei Consoli, e costoro non hanno nulla da ascoltare contro voglia, nulla da deliberare per forza. Rimane e rimarr? alla magistratura il dovuto rispetto e non perderemo la nostra sicurezza a causa della carica. E se parr? diminuita la maest? del Consolato, sar? colpa nostra, non del tempo in cui ne esercitiamo il mandato.
Giacch? per quanto tocca il Principe, possiamo far la parte del Console tal quale si faceva prima che vi fosse il principato. E possiamo noi ringraziarti come si dovrebbe? Non ci ? possibile altro modo che questo: ricordarci sempre di essere stati Consoli, e precisamente Consoli tuoi; fare che tutte le cose meditate e deliberate siano sempre degne di ex-Consoli; che in ogni cosa che tocchi la repubblica ci conduciamo in modo da dimostrare che veramente crediamo nella reale esistenza della repubblica; che a questa non manchi il consiglio e l'assistenza da parte nostra; che non ci consideriamo mai liberati, per non dire sbarazzati, dalla autorit? dei Consoli, ma stretti e legati a essa, tenendo questo ufficio s? come un onore e una dignit?, ma anche come una preoccupazione e una fatica.

Trad. L. Rusca


Plinio, Lettere, III, 18

(1) Officium consulatus iniunxit mihi, ut rei publicae nomine principi gratias agerem. Quod ego in senatu cum ad rationem et loci et temporis ex more fecissem, bono civi convenientissimum credidi eadem illa spatiosius et uberius volumine amplecti, (2) primum ut imperatori nostro virtutes suae veris laudibus commendarentur, deinde ut futuri principes non quasi a magistro sed tamen sub exemplo praemonerentur, qua potissimum via possent ad eandem gloriam niti. (3) Nam praecipere qualis esse debeat princeps, pulchrum quidem sed onerosum ac prope superbum est; laudare vero optimum principem ac per hoc posteris velut e specula lumen quod sequantur ostendere, idem utilitatis habet arrogantiae nihil.

Il dovere di Console mi impose di ringraziare l'Imperatore in nome dello Stato. Il che avendo io fatto, secondo costume, in Senato, tenendo conto del luogo e della circostanza, ritenni assai conveniente per un buon cittadino di svolgere quel discorso pi? ampiamente e diffusamente in un volume, anzitutto per rendere pi? care al nostro Imperatore le sue virt? con delle lodi sincere e poi perch? i sovrani che succederanno siano istruiti, non da un insegnamento ma piuttosto da un esempio, per quale via soprattutto essi possano giungere a ugual gloria. Giacch? l'insegnare quale debba essere un principe ? una bella impresa, ma difficile e direi quasi temeraria; lodare un ottimo principe e per tal mezzo mostrare a quelli che verranno, come da un faro, la luce che debbon seguire, ? cosa parimenti utile, ma priva di presunzione.

Trad. L. Rusca


Tacito, Annali, III, 57 gi? in database:
http://www.progettovidio.it/dettagli....

Tacito, Annali, III, 70 gi? in database:
http://www.progettovidio.it/dettagli....



Frontone, Epistulae ad m.caesarem, II, 1 passim

[testo latino mancante]

(I) Nella tua ultima lettera mi domandavi perch? non avessi pronunciato il discorso in senato. Anzi, io devo ringraziare il mio signore, tuo padre, anche con un editto, per? lo emaner? prima dei miei giochi circensi e questo precisamente ne sar? l'inizio: ?Nel giorno in cui, per benevolenza del sovrano, per la prima volta io indico uno spettacolo assai gradito al popolo e molto popolare, ritengo opportuno ringraziarlo, affinch? - lo stesso giorno o, e qui dovrebbe seguire una clausola ciceroniana. Per? pronuncer? il discorso in senato il I3 di Agosto. Mi domanderai forse, perch? cosi in ritardo? Perch? io non mi affretto mai a compiere il pi? rapidamente possibile e in modo qualsiasi un dovere solenne. Ma, poich? io ti devo trattare senza finzione e senza ambiguit?, dir? quello che ? il mio pi? intimo pensiero. Io resi lode in senato al tuo avo, il divino Adriano, spesso, con impegno premuroso e di cuore; e questi discorsi vanno comunemente per le mani di tutti. Per?, sia detto senza offesa del tuo amore filiale, Adriano, io, pi? che amarlo, lo desideravo favorevole e mite, come Marte Gradivo e Dite padre. Per quale ragione? perch?, per amare, occorre una certa confidenza e familiarit?: poich? mi mancava la confidenza, non osai provare affetto per lui che tanto veneravo.
Antonino, invece, lo amo come il sole, come la luce, come la vita, come il respiro e sento di essere riamato da lui. Se io non ne faccio un elogio che non rimanga nascosto, sepolto tra gli atti del senato, ma vada per le mani e sia sotto gli occhi di tutti, sarei ingrato anche verso di te.

Trad. F. Portalupi

M. Pomponius Marcellus, sermonis Latini exactor molestissimus, in advocatione quadam (nam interdum et causas agebat) soloecismum ab adrersario factum usque adeo arguere perseveravit, quoad Cassius Severus, interpellatis iudicibus, dilationem petiit, ut litigalor suus alium grammaticum adhiberet; quando non putat is cum adversario de iure sibi, sed de soloecismo controversiam futuram. Hic idem, cum ex oratione Tiberium reprehendisset, affirmante Ateio Capitone, et esse illud Latinum, et si non esset, futurum certe iam inde: Mentitur inquit Capito; tu enim, Caesar, civitatem dare potes hominibus, verbo non potes.

M. Pomponio Marcello, severissimo purista della lingua latina, durante la trattazione di una causa (ch? talvolta era impegnato in procedure processuali) a tal punto si spinse a biasimare il suo avversario per un solecismo commesso che Cassio Severo s?appell? ai giudici per un rinvio del processo, per permettere al suo cliente di procurarsi un altro grammatico, ritenendo che il processo avrebbe avuto come tema non i diritti dell?assistito, ma una (questione grammaticale vertente) su un solecismo.
A proposito, poi, di taluni solecismi ch?egli ebbe a biasimare, contenuti stavolta in un discorso di Tiberio, mentre A. Capitone afferm? che anche quelle espressioni erano latino, e che se non lo erano allo stato attuale, lo sarebbero, da allora in poi, certamente diventate, (Pomponio) ribatt?: ?Capitone si sbaglia: o Cesare, ? in tuo potere concedere cittadinanza agli uomini, non gi? forgiarne anche la lingua?.
Trad. Bukowski


Cicerone, Familiares, VIII, 8 passim

Aliquando tamen saepe re dilata et graviter acta et plane perspecta Cn. Pompeii voluntate in eam partem, ut eum decedere post Kalendas Martias placeret, senatus consultum, quod tibi misi, factum est auctoritatesque perscriptae.
[5] senatus consultum, auctoritates. Pr. K. Octobris in aede Apollinis scrib. adfuerunt L. Domitius Cn. f. Fab. Ahenobarbus, Q. Caecilius Q. f. Fab. Metellus Pius Scipio, L. Villius L. f. pom. annalis, C. Septimius T. f. qui., C. Lucilius C. f. Pup. Hirrus, C. Scribonius C. f. Pop. Curio, L. Ateius L. f. an. Capito, M. Eppius M. f. ter. quod M. Marcellus cos. v.f. de provinciis consularibus, d. e. r. l. c., uti L. Paulus, C. Marcellus coss., cum magistratum inissent, ex K. Mart., quae in suo magistratu futurae essent, de consularibus provinciis ad senatum referrent, neve quid prius ex K. Mart. ad senatum referrent neve quid coniunctim [de ea re referretur a consiliis], utique eius rei causa per dies comitialis senatum haberent senatusque cons. facerent et, cum de ea re ad senatum referretur, a consiliis, qui eorum in CCC iudicibus essent, s.f. s. adducere liceret; si quid de ea re ad populum pl. ve lato opus esset, uti Ser. Sulpicius, AL Marcellus coss., praetores tr. q. pl., quibus eorum videretur, ad populum pl. ve ferrent; quod si ii non tulissent, uti quicumque deinceps essent ad populum pl. ve ferrent C.

Ma, finalmente, dopo molti rinvii, dopo averci moltissimo pensato su e aver bene scandagliato la volont? di Pompeo per essere sicuri ch'egli volesse il richiamo di Cesare per il primo di marzo, ? stato fatto il seguente senatoconsulto che ti mando con tutte le firme:
Il giorno 29 di settembre, nel tempio di Apollo, presenti L. Domizio Enobarbo figlio di Cneo della trib? Fabia, Cecilio Metello Pio Scipione figlio di Quinto della stessa, L. Villio Annale figlio di Lucio della trib? Pontina, C. Settimio figlio di Tito della trib? Quirina, Caio Lucilio Hirro figlio di Caio della trib? Pupia, C. Scribonio Curione figlio di Caio della trib? Popilia, L. Atteio Capitone figlio di Lucio della trib? Aniense, M. Eppio figlio di Marco della trib? Terentina: avendo il console M. Marcello proposto la questione dei governi consolari, ? stato deciso quanto segue: ?I consoli L. Paullo e M. Marcello, dopo entrati in carica al primo di marzo, che cade entro il loro esercizio, riferiranno al Senato sulle province consolari. Non faranno alcun?altra relazione prima di questa n? parallela a questa. Convocheranno il Senato nei giorni comiziali ed emaneranno un senatoconsulto. Quando i consoli faranno la relazione davanti al Senato, si permetter? a 6 dei 300 di partecipare all?assemblea, e, in caso di necessit?, di riferirne al popolo, saranno chiamati a ricevere questa comunicazione ed a trasmetterla al popolo o alla plebe i pretori ed i tribuni della plebe, o quelli fra di loro che si ritenesse opportuno scegliere. In mancanza di ci?, la relazione sar? fatta dai loro successori?.

Trad. E. Giovannetti
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