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bukowski
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Re: traduzioni di livio
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Data:
04/09/2003 23.10.54
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Livio, Storia di Roma, XXII, 39
39. ?Lucio Emilio se tu avessi un collega (questa sarebbe l'evenienza preferibile) che condivide il tuo atteggiamento, oppure se fossi tu ad essere simile al tuo collega, le mie parole sarebbero del tutto inutili. Infatti se foste due abili consoli non servirebbero le mie parole a farvi compiere ogni cosa nell'interesse della repubblica e nel segno della vostra lealt?. Se invece foste cattivi consoli, le mie parole non riuscirebbero a raggiungere le vostre orecchie e i miei consigli le vostre intelligenze. Ora io guardo il tuo collega e te: solo con te penso che valga la pena di parlare perch? vedo che invano tu ti comporterai da uomo e cittadino valoroso, se avranno lo stesso diritto e lo stesso peso i progetti buoni e quelli cattivi, visto che la repubblica si dimostra claudicante ad una gamba. Apri gli occhi, Lucio Paolo, e renditi conto che dovrai combattere contro Terenzio non meno che contro Annibale. E non so se recher? pi? danni l'opposizione di questo avversario o quella di quel nemico: con Annibale dovrai combattere soltanto sul campo di battaglia, con Terenzio ovunque e in ogni momento; e mentre tu dovrai combattere Annibale e le sue legioni con i tuoi cavalieri e i tuoi fanti, Varrone guider? i tuoi soldati a combattere contro di te. Anche per non attirarti cattivi presagi, dimentica quanto ? successo a Gaio Flaminio. Quello, tuttavia, ha dato segni di pazzia quando gi? era console, quando era nella zona di operazioni lui assegnata, presso il suo esercito; Varrone, ancor prima di presentare la sua candidatura al consolato, poi durante la campagna elettorale, e ora che ? console si dimostra un pazzo: e deve ancora vedere il nemico o gli accampamenti! E uno che, riempiendosi la bocca di battaglie e di eserciti schierati, alza un cos? gran polverone tra i cittadini, cosa mai pensi che combiner? tra giovani in armi e dove i fatti seguono immediatamente alle parole? Se, come ha detto enunciando le sue intenzioni, combatter? subito o io non conosco l'arte militare, e questo genere di guerra e questo nemico o sar? un altro luogo a diventare pi? famoso del Trasimeno grazie ad un disastro romano. Ma non ? il caso che io mi vanti davanti a te soltanto e d'altra parte ? vero che io ho ecceduto pi? nel disprezzare la gloria che nell'andarmela a cercare. Ma le cose stanno cos?: c'? un solo modo razionale di combattere contro Annibale, proprio quello che ho attuato io. E non ? solo il successo che insegna ci? (il successo ? il maestro degli stolti!) ma la strategia razionale che ? stata e sar? immutabile, finch? persisteranno le stesse condizioni. Questa guerra la stiamo conducendo in Italia, nella nostra sede e sulla nostra terra; abbiamo, tutto intorno a noi, cittadini e alleati che ci sostengono e ci sosterranno con armi, uomini, cavalli, vettovaglie. Gi? ci hanno dato questa prova di fedelt? in momenti per noi difficili. Le diverse situazioni e lo scorrere dei giorni ci hanno migliorato, ci hanno reso pi? prudenti e determinati. Annibale invece si trova in una terra straniera ed ostile, dove tutto gli ? nemico e sfavorevole, lontano da casa e dalla patria; non ha pace n? per terra n? per mare; non trova una citt?, non trova una cinta di mura disposta ad accoglierlo. Egli non vede nulla di suo da nessuna parte e vive, giorno dopo giorno, di rapine. Non gli rimane nemmeno una terza parte di quell'esercito che ha condotto al di l? dell'Ebro; ha avuto pi? perdite per la fame che per la guerra e quello che possiede da mangiare non gli basta nemmeno per quei pochi superstiti. Non devi aver dubbi: ? temporeggiando che lo possiamo battere, lui che si indebolisce di giorno in giorno, che non ha viveri, che non ha rimpiazzi, che non ha denaro! Da quanto tempo se ne sta davanti alle mura di Gereonio, povera citt? dell'Apulia, come se fossero le mura di Cartagine! Ma non voglio continuare a gloriarmi davanti a te: considera in che modo Servilio e Atilio, i consoli dello scorso anno, si sono presi gioco di lui. Lucio Paolo, questa ? l'univa via di salvezza e a rendertela difficile e impraticabile provvederanno i cittadini pi? ancora dei nemici. La stessa cosa vorranno i tuoi soldati ma anche i soldati nemici, la stessa cosa brameranno Varrone, il console romano, e Annibale, il condottiero cartaginese. ? necessario che tu da solo, sappia opporre resistenza a due comandanti. E resisterai se saprai opporti con sufficiente fermezza alle dicerie e alle chiacchiere della gente, se non ti turberanno n? l'immeritata gloria del tuo collega n? le false accuse che ti verranno fatte. Come si suoI dire, la verit? ? destinata a soffrire, ma non si estingue mai e chi disprezzer? la gloria senza fondamento, ricever? la gloria autentica. Lascia pure che chiamino paura la tua cautela, impaccio la tua riflessivit?, vilt? la tua perizia. lo preferisco che ti tema il nemico intelligente, non che ti lodi il cittadino stupido. Se ti imbarcherai in ogni possibile tentativo, Annibale ti disprezzer?, se non ti lascerai mai prendere la mano ti temer?. Guarda che io non sono qui a consigliarti l'inazione, ma un comportamento razionale e mai affidato alla fortuna; devi essere sempre padrone di te stesso e di tutte le tue azioni; devi stare sempre in armi e pronto a combattere; non devi venir meno all'occasione che ti si offrir? e devi stare attento a non concedere al nemico la sua occasione. Per chi non agisce d'impulso ogni cosa ? chiara e sicura; la fretta ? sconsiderata e cieca?.
Livio, Storia di Roma, XXII, 47
47. Dopo che fu innalzato il grido di guerra, corsero all'attacco le milizie ausiliarie e il primo scontro avvenne tra gli armati alla leggera. Poi l'ala sinistra dei cavalieri galli e ispani and? a scontrarsi con l'ala destra romana, ma quello non era affatto un combattimento equestre: infatti erano possibili solo scontri frontali perch?, essendo stato lasciato poco spazio per le evoluzioni della cavalleria, da un lato il fiume e dall'altro la fanteria chiudevano quei reparti. Dunque da una parte e dall'altra avvenivano soltanto tentativi in profondit? e poich? i cavalli erano costretti ad arrestarsi e poi ad ammassarsi in modo disordinato, i cavalieri si aggrappavano l'uno all'altro disarcionandosi a vicenda. Insomma il combattimento era diventato, quasi dappertutto, uno scontro di fanterie e tuttavia la battaglia fu aspra pi? che lunga; i cavalieri romani furono respinti e girarono le spalle. Quando la battaglia equestre fu vicina ad esaurirsi, si accese la battaglia della fanteria che fu dapprima pari per forze e coraggio, finch? Galli ed Ispani riuscirono a tener compatte le loro file; poi i Romani, dopo lunghi e ripetuti sforzi, grazie ad un fronte obliquo e alla compattezza delle loro file, ruppero il cuneo dei nemici che sporgeva dal resto dello schieramento e che era troppo esile e perci? poco resistente. Presero allora ad incalzare i nemici che erano stati respinti e che indietreggiavano in disordine; col medesimo slancio piombarono dapprima sul centro, attraverso la schiera dei soldati in fuga precipitosa, e alla fine arrivarono, senza incontrare resistenza, alle riserve delle truppe africane le quali si erano schierate, dall'una e dall'altra parte, sulle ali. Queste erano piuttosto arretrate rispetto al centro (dove si erano collocati Galli e Ispani) che sporgeva notevolmente. Il cuneo, costretto a ritirarsi, dapprima raddrizz? il fronte d'attacco; poi cedendo ulteriormente arriv? perfino a creare una concavit? al centro, ma intanto gli Africani si erano gi? disposti come a formare due ali con le quali avvolsero ai fianchi i Romani che troppo incautamente avevano portato il loro attacco nella parte centrale. Alla fine gli Africani, allungando le punte delle loro ali, circondarono anche alle spalle i nemici. Da questo momento i Romani, dopo aver senza esito portato a termine quella prima battaglia, senza pi? curarsi dei Galli e degli Ispani di cui avevano massacrato le spalle, iniziarono con gli Africani una battaglia del tutto nuova. Ed era una battaglia che li vedeva in svantaggio non tanto perch?, chiusi da ogni parte combattevano contro coloro che li circondavano, ma soprattutto perch?, ormai prostrati, dovevano combattere contro avversari riposati e vigorosi.
Trad. G. D. Mazzocato
Livio, Storia di Roma, XXII, 49
49. Nell'altro settore della battaglia, Paolo, bench? fosse stato colpito proprio all'inizio del combattimento da un proiettile di fionda, riusc? tuttavia a serrare le file e a portare ripetuti attacchi ad Annibale, determinando anzi un riequilibrio della battaglia in diversi settori; lo proteggevano i cavalieri romani, che furono costretti alla fine ad abbandonare i cavalli perch? il console era tanto debilitato da non riuscire nemmeno a governare il cavallo. Si dice anche Annibale abbia risposto a chi gli annunciava che il console aveva ordinato ai cavalieri di scendere di sella: ?Come vorrei che me li consegnasse legati!?. La battaglia combattuta a piedi dai cavalieri, si svolse come poteva svolgersi una battaglia che il nemico aveva gi? vinto: gli sconfitti null'altro desideravano che morire al proprio posto; i vincitori, infuriati contro quelli che ritardavano il compiersi della vittoria, massacravano coloro che non riuscivano a ricacciare indietro. E tuttavia, alla fine anche quei pochi superstiti furono ricacciati, ormai stravolti dalla fatica e dalle ferite: ormai tutti allo sbando, cercavano - chi poteva, almeno - un cavallo per fuggire.
Trad. G. D. Mazzocato
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