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bukowski
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Re: AB URBE CONDITA - Tito Livio
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Data:
09/09/2003 14.43.11
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LIBRO 21 CAPITOLO 37
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LIBRO 30 CAPITOLO 34-35 Livio, Storia di Roma, XXX, 34-35
[34] Utrimque nudata equite erat Punica acies cum pedes concurrit, nec spe nec uiribus iam par. ad hoc dictu parua sed magna eadem in re gerenda momenta: congruens clamor ab Romanis eoque maior et terribilior, dissonae illis, ut gentium multarum discrepantibus linguis, uoces; pugna Romana stabilis et suo et armorum pondere incumbentium in hostem, concursatio et uelocitas illinc maior quam uis. igitur primo impetu extemplo mouere loco hostium aciem Romani. ala deinde et umbonibus pulsantes in summotos gradu inlato aliquantum spatii uelut nullo resistente incessere, urgentibus et nouissimis primos ut semel motam aciem sensere, quod ipsum uim magnam ad pellendum hostem addebat. apud hostes auxiliares cedentes secunda acies, Afri et Carthaginienses, adeo non sustinebant ut contra etiam, ne resistentes pertinaciter primos caedendo ad se perueniret hostis, pedem referrent. igitur auxiliares terga dant repente et in suos uersi partim refugere in secundam aciem, partim non recipientes caedere, ut et paulo ante non adiuti et tunc exclusi; et prope duo iam permixta proelia erant, cum Carthaginienses simul cum hostibus simul cum suis cogerentur manus conserere. non tamen ita perculsos iratosque in aciem accepere sed densatis ordinibus in cornua uacuumque circa campum extra proelium eiecere, ne pauido fuga uolneribusque milite sinceram et integram aciem miscerent. Ceterum tanta strages hominum armorumque locum in quo steterant paulo ante auxiliares compleuerat ut prope difficilior transitus esset quam per confertos hostes fuerat. itaque qui primi erant, hastati, per cumulos corporum armorumque et tabem sanguinis qua quisque poterat sequentes hostem et signa et ordines confuderunt. principum quoque signa fluctuari coeperant uagam ante se cernendo aciem. quod Scipio ubi uidit receptui propere canere hastatis iussit et sauciis in postremam aciem subductis principes triariosque in cornua inducit quo tutior firmiorque media hastatorum acies esset. ita nouum de integro proelium ortum est; quippe ad ueros hostes peruentum erat, et armorum genere et usu militiae et fama rerum gestarum et magnitudine uel spei uel periculi pares; sed et numero superior Romanus erat et animo quod iam equites, iam elephantos fuderat, iam prima acie pulsa in secundam pugnabat. [35] In tempore Laelius ac Masinissa pulsos per aliquantum spatii secuti equites, reuertentes in auersam hostium aciem incurrere. is demum equitum impetus perculit hostem. multi circumuenti in acie caesi, <multi> per patentem circa campum fuga sparsi tenente omnia equitatu passim interierunt. Carthaginiensium sociorumque caesa eo die supra uiginti milia: par ferme numerus captus cum signis militaribus centum triginta duobus, elephantis undecim: uictores ad mille et quingenti cecidere. Hannibal cum paucis equitibus inter tumultum elapsus Hadrumetum perfugit, omnia et ante aciem et in proelio priusquam excederet pugna expertus, et confessione etiam Scipionis omniumque peritorum militiae illam laudem adeptus singulari arte aciem eo die instruxisse: elephantos in prima fronte quorum fortuitus impetus atque intolerabilis uis signa sequi et seruare ordines, in quo plurimum spei ponerent, Romanos prohiberent; deinde auxiliares ante Carthaginiensium aciem ne homines mixti ex conluuione omnium gentium, quos non fides teneret sed merces, liberum receptum fugae haberent, simul primum ardorem atque impetum hostium excipientes fatigarent ac, si nihil aliud, uolneribus suis ferrum hostile hebetarent; tum, ubi omnis spes esset, milites Carthaginienses Afrosque ut omnibus rebus aliis pares eo quod integri cum fessis ac sauciis pugnarent superiores essent; Italicos incertos socii an hostes essent in postremam aciem summotos, interuallo quoque diremptos. hoc edito uelut ultimo uirtutis opere, Hannibal cum Hadrumetum refugisset accitusque inde Carthaginem sexto ac tricensimo post anno quam puer inde profectus erat redisset, fassus in curia est non proelio modo se sed bello uictum, nec spem salutis alibi quam in pace impetranda esse.
34. Lo schieramento cartaginese era privo della cavalleria su entrambi i fianchi, quando si venne allo scontro delle fanterie, certamente impari per risorse e speranze. Si aggiungevano alcuni elementi, forse insignificanti a parole, ma certo molto importanti nel contesto dell'azione: i Romani alzavano il loro grido in modo concorde e dunque pi? forte e terribile; discordanti erano invece le grida dei nemici, dato che si trattava di popoli eterogenei che parlavano lingue diverse; i Romani combattevano a pi? fermo incalzando col peso proprio e con quello delle armi il nemico che opponeva dall'altra parte attacchi veloci e ripetuti, ma poca potenza. E cos?, subito, al primo attacco i Romani fecero perdere la posizione allo schieramento nemico; poi, spingendo con le spalle e con l'umbone dello scudo, conquistarono la posizione appena abbandonata dal nemico, avanzando per un buon tratto senza trovare apprezzabile resistenza, anche perch? quelli disposti pi? indietro, rendendosi conto che lo schieramento nemico aveva ceduto, incalzavano quelli della prima linea; anche questo dava un grande impulso a ricacciare indietro il nemico. Dalla parte del nemico, gli uomini della seconda fila, cio? gli Africani e i Cartaginesi, cos? poco sostenevano gli ausiliari che stavano ripiegando che anzi, al contrario, a loro volta si ritiravano per paura che il nemico, dopo aver massacrato chi si ostinava a resistere, giungesse fino a loro. E cos?, di colpo, gli ausiliari girarono le spalle e, rivolti contro i propri commilitoni, in parte trovarono scampo presso la seconda fila, in parte colpivano i compagni che non li volevano accogliere perch? non avevano in precedenza ricevuto alcun aiuto e ora venivano addirittura respinti. E ormai si combattevano, frammista l'una all'altra, quasi due battaglie perch? i Cartaginesi erano costretti a venire alle mani contemporaneamente con i nemici e con i propri commilitoni. E anche se quelli della prima fila erano respinti e in preda al rancore, quelli della seconda fila non li vollero accogliere, ma serrate le file, li costrinsero a riversarsi sui fianchi, lontano dalla battaglia, nella circostante pianura aperta, per impedire che lo schieramento ancora ordinato e integro si mescolasse ai soldati in preda al panico per la fuga e le ferite. D'altra parte un simile accumularsi di cadaveri e di armi aveva a tal punto ingombrato la posizione occupata fino a poco tempo prima dagli ausiliari che trovare un varco era quasi pi? difficile che attraverso le file serrate dei nemici. E cos? gli astati che si trovavano davanti, inseguendo il nemico in mezzo ai mucchi di cadaveri e di armi e il sangue raggrumato, come a ciascuno riusciva, finirono col frammischiare sia le insegne che le file; anche le insegne dei principi, che scorgevano davanti a loro quella schiera un po' allo sbando, avevano cominciato ad ondeggiare. Scipione se ne accorse: subito fece dare agli astati il segnale di raccolta e, dopo aver fatto portare i feriti nelle retrovie, spost? principi e triari sulle ali, affinch? la fila degli astati, che continuava ad occupare il centro, risultasse meglio difesa e pi? stabile. Ed ecco nascere una nuova battaglia, come se le forze fossero intatte: si era infatti arrivati a contatto dei nemici veri, pari per tipo di armi, per esperienza militare, per fama di imprese, per le grandi speranze e per i grandi rischi. I Romani erano tuttavia superiori per numero e per morale, perch? gi? avevano sbaragliato i reparti della cavalleria e degli elefanti, gi? avevano respinto la prima fila e combattevano contro la seconda. 35. Al momento giusto ritornarono Lelio e Masinissa che avevano inseguito per un certo tratto i cavalieri sbaragliati, piombando alle spalle del nemico: quell'attacco della cavalleria segn? la definitiva sconfitta del nemico. Molti furono circondati e massacrati sul campo di battaglia; molti si erano dispersi nella pianura aperta, ma furono sterminati un po' dovunque dalla cavalleria che controllava ogni parte del territorio; tra i Cartaginesi e i loro alleati caddero quel giorno pi? di centomila uomini; quasi pari fu il numero dei prigionieri assieme a centotrentadue insegne militari e undici elefanti. I vincitori persero circa millecinquecento uomini. Annibale, grazie alla confusione, riusc? a sgusciare via con pochi cavalieri e a rifugiarsi ad Adrumeto, avendo tentato ogni cosa e prima e durante la battaglia; come ebbero ad ammettere anche Scipione e tutti gli esperti di arte militare egli acquis? il merito di aver schierato quel giorno le sue forze con straordinaria abilit?: in prima fila gli elefanti perch? i loro impatti casuali e il loro impeto irresistibile impedissero ai Romani di seguire le insegne e di conservare lo schieramento, cosa sulla quale puntavano moltissimo; poi gli ausiliari, davanti alla fila dei Cartaginesi perch? questi uomini che venivano dalla feccia di tutti i popoli mescolati tra loro e che erano trattenuti non dalla lealt? ma dal denaro non avessero la libert? di darsi alla fuga e, sostenendo il primo impetuoso assalto del nemico, ne mettessero a dura prova le energie e ottundessero, almeno, il ferro nemico con le loro ferite; poi - qui risiedeva ogni speranza - i Cartaginesi e gli Africani i quali, pur pari in ogni altra cosa, sarebbero stati superiori almeno per il fatto di combattere con le forze integre contro nemici stremati e feriti; infine gli Italici, relegati nell'ultima fila e divisi anche da un buon tratto perch? non si sapeva bene se si sarebbero comportati da alleati o da nemici. Dopo aver proposto questo estremo saggio del suo talento, Annibale si rifugi? ad Adrumeto e qui ricevette la convocazione per presentarsi a Cartagine dove tornava trentasei anni dopo esserne partito, ai tempi della sua fanciullezza: in curia ammise di aver perduto non una battaglia, ma la guerra e l'unica speranza di salvezza stava nel cercare di ottenere la pace.
Trad. G. D. Mazzocato
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• AB URBE CONDITA - Tito Livio Re: AB URBE CONDITA - Tito Livio
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