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bukowski
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Data:
09/09/2003 19.25.51




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Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno, V, 1 passim

Dareus media fere nocte Arbela pervenerat, eodemque magnae partis amicorum eius ac militum fugam fortuna conpulerat. Quibus convocatis exponit haud dubitare se quin Alexander celeberrimas urbes agrosque omni copia rerum abundantes petiturus esset: praedam opimam paratamque ipsum et milites eius spectare. Id suis rebus tali in statu saluti fore, quippe se deserta cum expedita manu petiturum. Vltima regni sui adhuc intacta esse, inde bello vires haud aegre reparaturum. Occuparet sane gazam avidissima gens et ex longa fame satiaret se auro, mox futura praedae sibi; usu didicisse pretiosam supellectilem pelicesque et spadonum agmina nihil aliud fuisse quam onera et inpedimenta: eadem trahentem Alexandrum, quibus rebus antea vicisset, inferiorem fore.

[3] Dario era giunto ad Arbela verso la mezzanotte, e col? la sorte aveva indirizzato la fuga di gran parte dei suoi amici e dei suoi soldati. [4] Chiamatili a raccolta, il re dichiara di non avere dubbi che Alessandro avrebbe puntato sulle citt? pi? popolose e sulle campagne ricche di ogni risorsa: tanto lui che i suoi uomini miravano ad una preda copiosa e facile. [5] Nella presente situazione ci? sarebbe stato di salvezza per la sua causa, perch? con truppe armate alla leggera avrebbe potuto raggiungere le regioni desertiche. Le terre estreme del suo regno erano ancora intatte, e di l? sarebbe riuscito senza difficolt? ad allestire nuove forze per la guerra. [6] Si impadronisse dunque, quella gente avidissima, dei suoi tesori e si saziasse d'oro, dopo un lungo digiuno; presto, sarebbe divenuta sua preda; per esperienza aveva imparato che le suppellettili preziose, le concubine e i branchi degli eunuchi altro non erano stati se non un peso ed un impaccio: Alessandro, trascinandosi dietro quelle stesse cose, sarebbe diventato inferiore proprio per le ragioni per cui prima era stato vincitore.

Trad. A. Giacone


Curzio Rufo, Storie di Alessandro Magno, IV, 10 passim

Hoc ingressus iter, - speculatores, qui praemissi erant, sub lucis ortum Dareum adventare nuntiaverunt. Instructo igitur milite et conposito agmine, antecedebat. Sed Persarum moratores erant, mille ferme, qui speciem magni agminis fecerant: quippe ubi explorari vera non possunt, falsa per metum augentur. His cognitis rex, cum paucis suorum adsecutus agmen refugientium ad suos, alios cecidit, cepit alios, equitesque praemisit speculatum, simul ut ignem, quo Barbari cremaverant vicos, extinguerent: quippe fugientes raptim tectis acervisque frumenti iniecerant flammas; quae cum in summo haesissent, ad inferiora nondum penetraverant. Extincto igitur igne plurimum frumenti repertum est: copia aliarum quoque rerum abundare coeperunt. Ea res ipsa militi ad persequendum hostem animum incendit: quippe, urente et populante eo terram, festinandum erat ne incendio cuncta praeciperet.

[9] Iniziata questa marcia, gli esploratori che erano stati mandati in avanguardia, sul far del giorno annunciarono che Dario stava arrivando. Ordinati quindi i soldati e disposta in formazione la colonna, il re si metteva alla testa. [10] Si trattava per? di ritardatari Persiani, circa mille di numero, che avevan dato l'impressione d'una grande schiera: giacch?, quando i fatti non possono essere accertati nella loro realt?, per la paura le notizie false si ingrandiscono. [11] Conosciute queste cose, il re, gettandosi con pochi dei suoi all'inseguimento di quegli uomini che cercavano rifugio presso i loro, ne uccise alcuni, altri ne prese e sped? innanzi dei cavalieri ad esplorare, con l'incarico anche di spegnere il fuoco che i barbari avevano appiccato ai villaggi: [12] mentre fuggivano, infatti, avevano gettato in fretta dei tizzoni ardenti sulle case e sui cumuli di grano; le fiamme, appiccatesi alle parti superiori, non avevano ancora raggiunto quelle pi? basse. [13] Spento dunque l'incendio, fu trovato moltissimo frumento; ed anche degli altri generi cominciarono ad avere abbondanza. Questo stesso fatto spron? l'animo dei soldati a proseguire l'inseguimento del nemico: poich? esso bruciava e devastava il territorio, ci si doveva affrettare affinch? non riuscisse a incendiare prima ogni cosa.

Trad. A. Giacone



Velleio Patercolo, Storia romana, II, 107 passim

[1] Non tempero mihi quin tantae rerum magnitudini hoc, qualecumque est, inseram. Cum citeriorem ripam praedicti fluminis castris occupassemus et ulterior armata hostium iuventute fulgeret, sub omnem motum conatumque nostrarum navium protinus refugientium, unus e barbaris aetate senior, corpore excellens, dignitate, quantum ostendebat cultus, eminens, cavatum, ut illis mos est, ex materia conscendit alveum solusque id navigii genus temperans ad medium processit fluminis et petiit, liceret sibi sine periculo in eam, quam armis tenebamus, egredi ripam ac videre Caesarem.
[2] Data petenti facultas. Tum adpulso lintre et diu tacitus contemplatus Caesarem, ?nostra quidem? inquit ?furit iuventus, quae cum vestrum numen absentium colat, praesentium potius arma metuit quam sequitur fidem. Sed ego beneficio ac permissu tuo, Caesar, quos ante audiebam, hodie vidi deos, nec feliciorem ullum vitae meae aut optavi aut sensi diem?. Impetratoque ut manum contingeret, reversus in naviculam, sine fine respectans Caesarem ripae suorum adpulsus est.

Non posso fare a meno di inserire tra fatti di s? grande importanza questo episodio, qualunque sia il suo rilievo. Avevamo occupato con il nostro accampamento la riva al di qua del fiume di cui ho ora detto, l'altra era tutto un bagliore d'armi della giovent? nemica, pronta a fuggire ad ogni movimento delle nostre navi per lo spavento che provavano: ed ecco un barbaro, piuttosto vecchio, dal fisico possente, di alto rango, a quanto mostrava il suo abbigliamento, sale su un canotto ricavato, secondo la loro usanza, da un tronco d'albero e, governando da solo siffatta imbarcazione, avanza fino al centro del fiume e chiede che gli sia concesso di scendere senza pericolo sulla riva che occupavamo con i nostri soldati e di vedere Cesare. Gli fu dato il permesso richiesto. Quindi, accostato alla riva il battello e guardato a lungo, in silenzio, Cesare, dice: ?? certamente dissennata la nostra giovent? che onora la vostra sacra maest? quando siete lontani, mentre, quando siete qui, ne teme le armi piuttosto che accettarne la protezione. Ma io, per tua benevola concessione, Cesare, oggi ho veduto gli dei di cui prima sentivo parlare e non ho desiderato n? vissuto nella mia vita giorno pi? felice?. Dopo aver ottenuto di toccargli la mano, torn? sulla sua barchetta e, voltandosi continuamente a guardare Cesare, approd? alla riva dove erano i suoi.

Trad. R Nuti



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