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14/09/2003 16.14.20
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Saluti :)
Cicerone, Tuscolane, II, 54-56 passim
In battaglia il soldato vigliacco e pauroso, appena vede il nemico, butta via lo scudo e fugge pi? in fretta che pu?, e spesso per questo si fa ammazzare pi? facilmente anche se non ? stato toccato: cosa questa che non succede a chi rimane fermo al proprio posto. Cos?, quelli che non sono capaci di resistere all'idea del dolore, si avviliscono, e rimangono in uno stato di abbattimento e di prostrazione: mentre quelli che resistono il pi? delle volte riescono vincitori. Perch?, fra l'anima e il corpo esistono delle analogie. Un corpo, se si sforza, sopporta bene il peso, e se si rilascia ne rimane schiacciato: c'? molta somiglianza con l'anima che, se chiama a raccolta le sue forze, annulla il peso che le preme sopra, mentre se si lascia andare ne ? oppressa e non se ne pu? liberare. E senza dubbio, se vogliamo andare al fondo delle cose, sono quelle forze che noi dobbiamo chiamare a raccolta nello svolgimento di ogni nostra attivit?, perch? esse sole fanno, voglio dire, la guardia per sorvegliare che noi adempiamo il nostro dovere. Nel dolore, comunque, bisogna stare attenti a non compiere nessun atto che sappia di avvilimento, di pavidit?, di codardia, nessun atto degno d'uno schiavo o d'una donna, e prima di tutto bisogna condannare e respingere un atteggiamento come quello di Filottete. Qualche gemito, raramente, a un uomo si pu? anche concedere, in certe circostanze: ma le grida neppure alle donne bisogna permetterle. Indubbiamente a questo si riferiscono le Dodici Tavole, nel proibire il ?lessus? ai funerali. E poi l'uomo saggio e coraggioso non geme mai, a meno che non sia per darsi forza, come fanno nello stadio i corridori, che gridano a pi? non posso.
Trad. A. Di Virginio
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