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bukowski
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14/11/2003 21.09.01




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Giulio Capitolino, Vero, passim

A quanto si narra, Lucio vero fu d?una dissolutezza tale da farsi impiantare una bettola addirittura in casa, bettola alla quale si recava (puntualmente) [imperf. di consuetudine] dopo aver pranzato (a casa) del fratello [in realt?, fratellastro] Marco [ovvero, Marc?Aurelio]. Si racconta ch?egli trascorreva l?intera notte giocando a dadi ? vizio che aveva preso in Siria ? e che fu emulo dei vizi di Nerone a tal punto che, di notte, passava da una taverna all?altra [oggi si direbbe ?pub crowling?, quello che faccio generalmente anch?io :)], facendo baldoria con attaccabrighe, attaccando (egli stesso) brighe, nascondendo la propria identit?; (si racconta che) ben volentieri tornava a casa con la faccia livida, ch? le aveva buscate.
Marco, tuttavia, ben sapendo tutto ci?, faceva finta di niente, per pudore, ovvero per non (sentirsi costretto a) rimbrottare il fratello. ?Rimasto negli annali? un suo banchetto, con partitella finale a dadi, protratta fino all?alba. Fatto che avvenne dopo la spedizione contro i Parti, cui ? a quanto si dice ? pur era stato mandato per impedirgli di continuare a far mascalzonate a Roma [in urbe], sotto gli occhi di tutti, ovvero perch?, con (quel difficile) viaggio all?estero, imparasse, una buona volta, ad esser parco, ovvero perch? ritornasse (in patria) reso pi? coscienzioso per il timore della guerra (affrontata), ovvero, affinch? si rendesse conto ch?era un imperatore [e che quindi, s?intende, doveva seguire una condotta che si addiceva alla sua autorit?].
Si dice che Marco, venuto a sapere di suddetto banchetto, prese a lamentarsi sconsolato della sorte che spettava allo Stato [?publicum?; con un imperatore della stregua di Lucio Vero, appunto].

Trad. Bukowski
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