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bukowski
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18/11/2003 21.25.50




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Seneca, Epistole a Lucilio, 78, passim

[1] Vexari te destillationibus crebris ac febriculis, quae longas destillationes et in consuetudinem adductas sequuntur, eo molestius mihi est quia expertus sum hoc genus valetudinis, quod inter initia contempsi -- poterat adhuc adulescentia iniurias ferre et se adversus morbos contumaciter gerere -- deinde succubui et eo perductus sum ut ipse destillarem, ad summam maciem deductus. [2] Saepe impetum cepi abrumpendae vitae: patris me indulgentissimi senectus retinuit. Cogitavi enim non quam fortiter ego mori possem, sed quam ille fortiter desiderare non posset. Itaque imperavi mihi ut viverem; aliquando enim et vivere fortiter facere est.
[3] Quae mihi tunc fuerint solacio dicam, si prius hoc dixero, haec ipsa quibus adquiescebam medicinae vim habuisse; in remedium cedunt honesta solacia, et quidquid animum erexit etiam corpori prodest. Studia mihi nostra saluti fuerunt; philosophiae acceptum fero quod surrexi, quod convalui; illi vitam debeo et nihil illi minus debeo. [4] Multum autem mihi contulerunt ad bonam valetudinem <et> amici, quorum adhortationibus, vigiliis, sermonibus adlevabar. Nihil aeque, Lucili, virorum optime, aegrum reficit atque adiuvat quam amicorum adfectus, nihil aeque expectationem mortis ac metum subripit: non iudicabam me, cum illos superstites relinquerem, mori. Putabam, inquam, me victurum non cum illis, sed per illos; non effundere mihi spiritum videbar, sed tradere. Haec mihi dederunt voluntatem adiuvandi me et patiendi omne tormentum; alioqui miserrimum est, cum animum moriendi proieceris, non habere vivendi.

1 Ti tormentano continuamente catarro e febbriciattole, inevitabile conseguenza di un catarro cronico e di vecchia data; mi dispiace tanto pi? perch? ci sono passato anch'io per questo genere di malattia: all'inizio non ci feci caso, ero giovane e potevo anc?ra sopportare i danni di un male e comportarmi con una certa arroganza nei suoi confronti; poi, dovetti soccombere, e mi ridussi a essere tutto catarro e diventai uno scheletro. 2 Tante volte mi prese la voglia di farla finita: ma mi trattenne la vecchiaia del mio amorevolissimo padre. Pensai non come potevo morire da forte, ma come mio padre non avesse la forza di sopportare la mia scomparsa. Perci? mi imposi di vivere; talvolta anche vivere ? un atto di coraggio.
3 Ti dir? che cosa mi diede sollievo; ma prima voglio dirti che quanto mi confortava ebbe per me l'efficacia di una medicina; un conforto onesto diventa una medicina e, se una cosa solleva l'anima, giova anche al corpo. Gli studi furono la mia salvezza. ? grazie alla filosofia se mi sono risollevato, se sono guarito; alla filosofia sono debitore della vita, ma questo ? il debito pi? piccolo che ho con lei. 4 Anche gli amici contribuirono molto alla mia guarigione; i loro consigli, le veglie, le conversazioni mi erano di sollievo. Niente, mio ottimo Lucilio, rianima un ammalato e lo sostiene quanto l'affetto degli amici, niente serve tanto a ingannare l'attesa e il timore della morte: non ritenevo di morire, se rimanevano in vita loro. Pensavo, voglio dire, che sarei vissuto non con loro, ma attraverso loro; non mi sembrava di esalare l'anima, ma di trasmetterla. Tutto questo mi diede la volont? di farmi forza e di sopportare ogni tormento; altrimenti ? ben triste cosa non avere il coraggio di vivere e aver buttato via il coraggio di morire.

Fonte: www.bibliomania.it
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