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bukowski
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Re: seneca
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Data:
04/01/2004 15.11.50
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Seneca, Lettere a Lucilio, IV passim
[10] Sed ut finem epistulae imponam, accipe quod mihi hodierno die placuit - et hoc quoque ex alienis hortulis sumptum est: 'magnae divitiae sunt lege naturae composita paupertas'. Lex autem illa naturae scis quos nobis terminos statuat? Non esurire, non sitire, non algere. Ut famem sitimque depellas non est necesse superbis assidere liminibus nec supercilium grave et contumeliosam etiam humanitatem pati, non est necesse maria temptare nec sequi castra: parabile est quod natura desiderat et appositum. [11] Ad supervacua sudatur; illa sunt quae togam conterunt, quae nos senescere sub tentorio cogunt, quae in aliena litora impingunt: ad manum est quod sat est. Cui cum paupertate bene convenit dives est.
10 Ma, per mettere fine alla mia lettera, senti il pensiero che ho scelto oggi - anche questo l'ho preso dal giardino di un altro. "? una grande ricchezza la povert? regolata dalla legge di natura." Li conosci i confini che ci ha fissato la legge di natura? Non patire la fame, n? la sete, n? il freddo. Per scacciare la fame e la sete non occorre sedere presso la soglia di superbi padroni, n? sopportare una fastidiosa arroganza e una cortesia affettata e perci? offensiva, non ? necessario affrontare i pericoli della navigazione o partire per la guerra. Quanto esige la natura ? facile a procurarsi e a portata di mano. 11 E, invece, ci affanniamo per il superfluo; ecco che cosa logora la toga, cosa ci costringe a invecchiare sotto una tenda e cosa ci spinge in terre straniere, mentre quel che ci basta ? a portata di mano. Chi si adatta bene alla povert? ? ricco.
Fonte: www.bibliomania.it
Seneca, Lettere a Lucilio, VII passim
[1] Quid tibi vitandum praecipue existimes quaeris? turbam. Nondum illi tuto committeris. Ego certe confitebor imbecillitatem meam: numquam mores quos extuli refero; aliquid ex eo quod composui turbatur, aliquid ex iis quae fugavi redit. Quod aegris evenit quos longa imbecillitas usque eo affecit ut nusquam sine offensa proferantur, hoc accidit nobis quorum animi ex longo morbo reficiuntur. [2] Inimica est multorum conversatio: nemo non aliquod nobis vitium aut commendat aut imprimit aut nescientibus allinit. Utique quo maior est populus cui miscemur, hoc periculi plus est. Nihil vero tam damnosum bonis moribus quam in aliquo spectaculo desidere; tunc enim per voluptatem facilius vitia subrepunt. [3] Quid me existimas dicere? avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui.
1 Mi chiedi che cosa secondo me dovresti soprattutto evitare? La folla. Non puoi ancora affidarti a essa tranquillamente. Quanto a me, ti confesser? la mia debolezza: quando rientro non sono mai lo stesso di prima; l'ordine interiore che mi ero dato, in parte si scompone. Qualche difetto che avevo eliminato, ritorna. Capita agli ammalati che una prolungata infermit? li indebolisca al punto di non poter uscire senza danno: cos? ? per me, reduce da una lunga malattia spirituale. 2 I rapporti con una grande quantit? di persone sono deleter?: c'? sempre qualcuno che ci suggerisce un vizio o ce lo trasmette o ce lo attacca a nostra insaputa. Pi? ? la gente con cui ci mescoliamo, tanto maggiore ? il rischio. Ma non c'? niente di pi? dannoso alla morale che l'assistere oziosi a qualche spettacolo: i vizi si insinuano pi? facilmente attraverso i piaceri. 3 Capisci che cosa intendo dire? Ritorno pi? avaro, pi? ambizioso, pi? dissoluto, anzi addirittura pi? crudele e disumano, poich? sono stato in mezzo agli uomini.
Fonte: www.bibliomania.it
Seneca, Lettere a Lucilio, CIV passim
[27] Si tamen exemplum desideratis, accipite Socraten, perpessiciumsenem, per omnia aspera iactatum, invictum tamen et paupertate, quam gravioremilli domestica onera faciebant, et laboribus, quos militares quoque pertulit.Quibus ille domi exercitus, sive uxorem eius moribus feram, lingua petulantem,sive liberos indociles et matri quam patri similiores +sivere+ aut in bellofuit aut in tyrannide aut in libertate bellis ac tyrannis saeviore. [28]Viginti et septem annis pugnatum est; post finita arma triginta tyrannisnoxae dedita est civitas, ex quibus plerique inimici erant. Novissime damnatioest sub gravissimis nominibus impleta: obiecta est et religionum violatioet iuventutis corruptela, quam inmittere in deos, in patres, in rem publicamdictus est. Post haec carcer et venenum. Haec usque eo animum Socratisnon moverant ut ne vultum quidem moverint. <O> illam mirabilem laudemet singularem! usque ad extremum nec hilariorem quisquam nec tristioremSocraten vidit; aequalis fuit in tanta inaequalitate fortunae.
27 Se poi volete un esempio, prendete Socrate, vecchio paziente, travagliato da sventure di ogni tipo; non lo vinse la povert?, resa pi? grave dagli oneri familiari, e nemmeno i disagi, che sopport? anche in guerra. In casa, poi, fu messo a dura prova: ?pensa? sia alla moglie, scorbutica di carattere e petulante, sia ai figli, ribelli e pi? simili alla madre che al padre. ?Inoltre? visse o in guerra o sotto la tirannide o in una libert? pi? crudele della guerra e della tirannide. 28 La guerra dur? ventisette anni; quando fin?, la citt? si sottomise al funesto dominio dei trenta tiranni, di cui la maggior parte gli era ostile. In ultimo, fu condannato con accuse gravissime: lo incolpavano di vilipendio alla religione, di corruzione dei giovani, che, si disse, aveva istigato contro gli d?i, gli avi, la citt?. E poi ci furono il carcere e il veleno. Ma tutto ci? non turbava l'animo di Socrate e neppure il suo volto. Che merito straordinario e singolare! Fino al momento supremo nessuno vide Socrate pi? allegro o pi? triste; fu sempre uguale in mezzo a una fortuna tanto mutevole.
Fonte: www.bibliomania.it
Non c'? di che. Saluti.
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• seneca Re: seneca
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