Data:
05/01/2004 22.08.52
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Igino, Favole, Il mito di Edipo Edipo ricevette (in eredit?) il regno paterno e, non sapendo [?inscius?, pred. del sogg.] (ch?ella fosse la propria) madre, prese in moglie Giocasta, dalla quale ebbe come figli [lett. procre?] Eteocle e Polinice, Antigone ed Ismene. Nel frattempo, si verific? a Tebe una carestia [sterilitas et penuria frugrum], a causa delle empiet? [scelera] di Edipo; (l?indovino) Tiresia, consultato sul perch? [quid = cur] Tebe fosse travagliata [il verbo ? plurale perch? Tebe ? pl. tantum] (da quel male), rispose che se qualcuno della stirpe del drago sopravvivesse e si fosse immolato per la patria, (costui) avrebbe liberato (la citt?) dalla calamit? [?pestilentia?, abl. di allontanamento]. Al che, Meneceo, padre di Giocasta, si gett? dalle mura. Mentre a Tebe si svolgono [?gerentur? presente narrativo, come il seguente] questi (fatti), a Corinto [suppongo ?Corinthi?, locativo] muore Polibo: udito ci?, Edipo prese a rattristarsi [moleste ferre], credendo che (a) morire (fosse stato il proprio) padre [lett. pensando che il padre fosse morto]; Peribea gli [a Edipo] svel? [palam fecit] (il segreto) a riguardo della sua sostituzione (di persona) e il vecchio Menete, che (a suo tempo) lo [riferito a Teseo] aveva esposto [un neonato indesiderato anche oggi viene esposto (= abbandonato), generalmente in un luogo pubblico, perch? venga raccolto da altri ed allevato], riconobbe ? dalle cicatrici dei piedi e dei calcagni ? che (Edipo, appunto) era figlio di Laio. Edipo, udito ci?, resosi conto [postquam vidit] d?aver commesso [suppongo ?fecisse?] tanti abominevoli misfatti, sfil? degli spilloni dalla veste della madre e (con essi) si accec?. Lasci? il regno ai propri figli (che lo governassero) ad anni alterni [ovvero, un anno per ciscuno] e se ne fugg? da Tebe [nota la preposizione ?a? invece che l?abl. semplice di moto da luogo: a rigore, si dovrebbe tradurre: ?dalle vicinanze di Tebe?] con la guida della figlia Antigone [abl. assoluto; essendo egli, appunto, cieco].
Trad. Bukowski
Igino, Favole, I sette contro Tebe Polinice, figlio di Edipo, trascorso un anno, reclam? dal fratello Eteocle il regno [abbiamo visto che Edipo aveva loro concesso il regno alla condizione che lo governassero un anno per ciscuno]; (ma) costui non volle ceder(glielo). Pertanto, Polinice ? con l?aiuto di re Adrasto [abl. assoluto] ? giunse a Tebe, insieme coi sette condottieri, per combattere [?oppugnatum?, supino finale in dipendenza da verbo di movimento]. Ivi, Capaneo ? poich? [quod] affermava che avrebbe espugnato Tebe contro il volere di Giove ? venne colpito da una saetta [scagliata, s?intende, dallo steso Giove ?fulminatore?] mentre saliva le mura (della citt?); Anfiarao venne inghiottito dalla terra [ovvero, da una voragine che s?era aperta sul suolo]; Eteocle e Polinice, combattendo l?un contro l?altro, si uccisero a vicenda [alius alium]. Quando, per costoro, a Tebe, furono officiati gli onori funebri [parentaretur], sebbene il vento spirasse [lett. fosse] violento, il fumo tuttavia non si sposta mai verso un solo lato [spinto appunto dal vento], ma si separa in due colonne [lett. su un lato e sull?altro]. Mentre i superstiti [ceteri] continuavano ad attaccare Tebe e i Tebani perdevano speranza a riguardo della propria salvezza [lett. diffidavano delle proprie cose], l?augure Tiresia, figlio di Evero, divin? che se qualcuno della stirpe del drago si fosse immolato, la citt? si liberava da quella sciagurata guerra. Meneceo, inteso [cum vidit] d?essere l?unico in grado di assicurare la salvezza ai cittadini, si gett? dalle mura (della citt?). I Tebani ottennero [potiti sunt > potior; regge abl.] (cos?) la vittoria.
Trad. Bukowski
Igino, Favole, Elena
Teseo, figlio di Egeo [suppongo ?Aegei?] e di Etra, (a sua volta) figlia di Pitteo, insieme con Piritoo, figlio di Issione, rap? [?rapuerunt? ? coniugato a senso] Elena, (allora) fanciulla, dal sacro tempio di Diana, mentre ella [Elena, appunto] stava officiando sacrifici [sacrificantem; part. congiunto] , e la portarono ad Afidna [suppongo ?Aphidnas?], un villaggio dell?Attica. Giove, visto ch?essi avevano mostrato tanto coraggio [il ?quod? ? prolettico] da esporsi al pericolo, (apparso) in sogno [lett. in sonno], ordin? loro di chiedere entrambi a Plutone Proserpina come sposa per Piritoo. Scesi negl?Inferi attraverso l?isola di Tenaria [si riteneva che l? appunto si trovasse l?ingresso per l?oltretomba] e rivelata a Plutone la ragione per la quale eran giunti (fin l?), (i due eroi) vennero sopraffatti [strati > sterno] e a lungo dilaniati dalle Furie (infernali). Giunto in quei luoghi (anche) Ercole, per catturare il cane [suppongo ?canem?] a tre teste [= Cerbero], essi [sempre Teseo e Piritoo] implorarono [implorarunt = imploraverunt] la sua misericordia; ottenuto da Plutone (quanto dovuto) [ovvero, Proserpina e la liberazione dei due], (Ercole) li trasse fuori (dagl?Inferi) sani e salvi. Per causa di Elena, i (suoi) fratelli Castore e Polluce scesero in guerra [belligerarunt = belligeraverunt] (contro l?Attica), e catturarono Etra, madre di Teseo, e Fisadie, sorella di Piritoo, e le consegnarono come schiave alla sorella [ovvero, appunto ad Elena].
Trad. Bukowski
De animi Marcelli temperantia.
Magni [gen. appunto di stima] (sua) virtute [abl. limitazione], sed multo pluris [ancora gen. di stima] animi aequitate temperantiaque [ancora limitazione] Marcellus, illustris dux veteris Romanae rei publicae, aestimandus est. Qui [Marcello] cum Syracusas vi copiisque cepisset, quod Romani non solum victoriam sed etiam populorum consensum plurimi aestimare solebant, non censuit tam praeclaram urbem funditus [avv.] delendam esse, quem Romani, non minus quam ipsi Syracusani, magni faciebant et ex qua praesertim periculi [partitivo] nihil ostendebatur. Difficilis victoria fuerat, sed Marcellus victoriae ius cum humanitate coniunxit [il ?seppe? lo ritengo fraseologico, e dunque non lo traduco]; neminem fugit [impersonale] Romanos tam clementiam in hostes subiectos quam acerrimum ac longum bellum contra superbos aestima(vi)sse. Vergilius ipse ait Romanis has artes esse [costr. dat. possesso]: parcere subiectis et debellare superbos. Marcellum non latuit [ancora impersonale] urbem Syracusas monumentis plenam esse atque suis moenibus excipere viros virtutibus ornatos et rerum experientia edoctos, quorum doctrina ab omnibus colebatur atque magni aestimabatur [conviene rendere al passivo].
Trad. Bukowski
buon anno anche a te, e studia mumble mumble
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