Data:
14/01/2004 0.26.43
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Virgilio, Eneide, IV, vv. 380-392
Neque te teneo neque dicta refello: 380 i, sequere Italiam uentis, pete regna per undas. spero equidem mediis, si quid pia numina possunt, supplicia hausurum scopulis et nomine Dido saepe uocaturum. sequar atris ignibus absens et, cum frigida mors anima seduxerit artus, 385 omnibus umbra locis adero. dabis, improbe, poenas. audiam et haec Manis ueniet mihi fama sub imos.' his medium dictis sermonem abrumpit et auras aegra fugit seque ex oculis auertit et aufert, linquens multa metu cunctantem et multa parantem 390 dicere. suscipiunt famulae conlapsaque membra marmoreo referunt thalamo stratisque reponunt.
Ma non voglio ribattere le tue parole, non voglio neppure trattenerti. Parti, va' via col vento in Italia, cerca il tuo regno attraverso le onde. Io spero soltanto, se i pietosi Celesti hanno qualche potere, che me ne pagherai il fio tra gli scogli, chiamando spesso a nome Didone. Didone! Ma io lontana ti perseguiter? con i fuochi infernali: e quando la fredda morte spoglier? delle membra l'anima, in ogni luogo dove tu andrai ci sar?, pallido spettro, fantasma venuto a turbarti. Sconterai la tua pena, empio, ed io lo sapr?: questa bella notizia mi giunger? tra le Ombre." Cos? dicendo tronca a mezzo il discorso, affranta fugge la luce del giorno, scappa via e si leva dagli occhi d'Enea, lasciandolo dubitante, pauroso, desideroso di dirle molte cose. Le ancelle accorrono e la portano al suo marmoreo talamo; svenuta, le membra rigide, la posano sulle coltri.
Fonte: www.bibliomania.it
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