... dell’elleboro.
Questo fiore invernale è chiamato comunemente Rosa di Natale.
Appartiene alla famiglia delle Ranuncolacee.
Esistono diverse specie: l'Helleborus niger (o rosa di Natale),
l'Helleborus viridis (= elleboro verde) , l'Helleborus foetidus
(="cavolo di lupo"), l'Helleborus Purpurascens (le sue
foglie hanno un colore vere chiaro ed i suoi fiori sono grandi di
colore violetto), l'Helleborus Abchasicus (con fiori bianco-rosei),
l'Helleborus Odorus (con foglie bellissime e fiori penduli, odorosi,
di colore verdastro) e l'Helleborus Orientalis (nativo della Siria,
dell'isola di Antichira: ha bei fiori grandi e rosa).
Gli inglesi lo chiamano in generale hellebore, ma Christmas flower
la specie Helleborus niger.
In Francia lo chiamano Rose de Nöel.
Nella lingua tedesca abbiamo due termini per chiamarla: Christrose
o Schneerose.
Questo fiore si presenta con cinque petali bianchi-rosacei. Appartiene
alle specie delle erbacee perenni. Le foglie, annunciatrici della
sua fioritura, sono grandi, palmate, coriacee, di un colore verde
scuro.
Secondo l'etimologia, questo termine deriva dal greco, Helleborus:
è formata da due parole greche che significano "far
morire " e "nutrimento" che uccide, in riferimento
alla sostanza venefica che contiene.Infatti
tutta la pianta è altamente velenosa. Le parti più
velenose sono il rizoma e le radici. La precauzione di lavarsi le
mani dopo aver toccato le rose di Natale è una buona norma.
Attorno a questa pianta sono sorte innumerevoli leggende.
Questo fiore era conosciutissimo fino dall'antichità e tenuto
in sommo pregio per vantate proprietà medicinali. La storia
dell'introduzione di questo vegetale nella farmacologia popolare
si perde nell'oscurità dei tempi. In una favola si racconta
che un pastore di nome Melampo, che era nello stesso tempo medico
ed indovino, avendo osservato che il proprio gregge si purgava allorché
si cibava di Elleboro, pensò di utilizzarlo come medicamento
anche nelle malattie degli uomini. Potè guarire, con questa
medicina "miracolosa", la pazzia che aveva colpito le
figlie di Preto, re di Argo, che si credevano di essere state tramutate
in vacche. Fu chiamato "Purgatore", titolo onorifico:
ottenne la fede nuziale di una di esse, una parte del regno di Argo
ed una candidatura a divinità.
Il poeta latino Orazio consigliava di recarsi per la cura della
pazzia sull'isola di Anticipa, in cui cresceva copiosamente.
F.D.Guerrazzi nel cap. XXVI dell' "Assedio di Firenze"
esclamava: "Ah, storico, invece di spendere in inchiostro comprati
Elleboro, tu sei pazzo." Le virtù mediche di questa
pianta furono esagerate. Carneade la usò prima di scrivere
a Zenone. Gabriele D'Annunzio ne "La figlia di Iorio"
lo ribadisce in chiave poetica: "Vammi in cerca dell'elleboro
nero che il senno renda a questa creatura." Oggi in India si
brucia questa pianta accanto al letto delle partorienti, per affrettare
il parto e perché lo spirito degli dei entri nella mente
del neonato. In tempi abbastanza recenti è stato bandito
dalle farmacie, considerata pianta altamente tossica. [fonte:
giardinaggio.it]
... delle diete dei filosofi.
Seguendo la preziosissima guida di Diogene Laerzio, biografo dei
filosofi antichi, vissuto nel III secolo d.C., proviamo ad immaginare
un "banchetto filosofico", e a vedere cosa ci fosse sulla
tavola. E' assai probabile che Aristippo di Cirene, edonista convinto,
fosse dedito a banchetti sontuosi, ricchi di pietanze raffinate
e servite da giovani danzatrici; al suo maestro Socrate, invece,
non interessavano minimamente i piaceri della gola visto che "preferiva
mangiare per vivere che vivere per mangiare" e che "mangiava
nel modo più gradevole quando non sentiva il bisogno di accompagnare
il cibo con altro cibo".
Per Pitagora, persona tutta dedita all'armonia e alla ricerca mistica
dei numeri, l'importante era "non oltrepassare la giusta misura,
sia nel bere sia nel mangiare"; la sua dieta si componeva di
verdure, sale (che, come la Giustizia, conserva ciò su cui
è messo), acqua di giorno, un po' di vino la sera, pane.
Pitagora era a capo di una vera e propria setta filosofica da lui
fondata, che si reggeva in base a regole
ferree: una di queste era l'assoluto divieto di mangiare fave. Regola
alquanto bizzarra, la cui origine pare debba riferirsi a quando
Pitagora, per cercare riparo da chi lo stava inseguendo, si rifugiò
in un campo di fave, e nell'attesa di poter ripartire, ne fece una
bella indigestione: egli non sapeva di essere affetto da favismo,
per cui passò qualche giorno in bilico tra la morte e la
vita. Altri cibi vietati nella setta pitagorica erano la triglia,
e il cuore degli animali.
Di Platone sappiamo solo che era ghiottissimo di fichi secchi e
olive. Pare invece che lo scettico Carneade, totalmente dedito ai
suoi profondi pensieri, avesse bisogno in tutto e per tutto della
devota compagna Melissa, la quale pazientemente lo imboccava, visto
che il filosofo si dimenticava completamente di mangiare. Per quanto
riguarda gli epicurei, le notizie sono discordanti:c'è chi
dice che fossero dediti a gozzovigliare e ad abbuffarsi di formaggio,
altri dicono che Epicuro si contentasse di pane e acqua. I Cinici,
sprezzanti di ogni rituale convenzionale, mangiavano in mezzo alla
strada, il loro "capo" Diogene pare mangiasse lenticchie
all'interno di 1 sorta di panino antico, lupini, fichi secchi, e
olive. La sua teoria era che "tutti gli elementi sono contenuti
in tutte le cose" per cui "nel pane c'è carne e
nella verdura c'è il pane". Pare sia morto, dopo aver
mangiato un polipo crudo, di colera. [fonte: ilgolosastro.it]
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