... di un efferato, mio quasi conterraneo:
Publio Vedio Pollione. Come è noto dalle
fonti, Publio Vedio Pollione fu uno degli uomini più ricchi
della tarda repubblica, che da origini libertine (i Vedii erano
una famiglia già facoltosa di Benevento), riuscì a
raggiungere il rango di equestre e, nel periodo di confusione successivo
alla battaglia di Azio, ad assumere, benché solo cavaliere,
il governo dell' Asia, una delle più ricche province romane,
prima che fosse istituito il normale posto di proconsole di rango
senatorio. La sua cattiva nomea che risale a Cicerone, il quale,
dopo un incontro con lui in Cilicia, affermò 'nunquam vidi
hominem nequiorem' ('mai ho visto un uomo più iniquo'), fu
arricchita anche da alcuni episodi scandalosi: nel suo bagaglio,
finito in mani diverse dalle sue a causa della morte del liberto
cui era stato affidato, furono trovati cinque medaglioni dipinti,
con i ritratti di altrettante signore della migliore società
di Roma, che gli avevano incautamente donato tali pegni d'amore.
Anche se dopo il governo d'Asia non ricoprì alcuna magistratura,
Pollione per tutta la vita restò partigiano fedele di Augusto,
in onore del quale, come aveva fatto già in Asia, a Tralles,
fece costruire a Benevento, sua città natale, un tempio,
il Cesareo. Ma Augusto, dopo Azio, aveva dato inizio a un nuovo
modello culturale e politico, propugnando il ritorno agli ideali
antichi: Vedio Pollione, ultimo superstite dei grandi piscinarii
della generazione precedente, con le sue ricchezze ammucchiate più
o meno lecitamente, con il lusso delle sue dimore, con una fama
così cattiva, costituiva ormai un peso imbarazzante per l'imperatore.
L'occasione per ristabilire le distanze con Pollione avvenne proprio
nella villa Pausilypon [“tregua al dolore”;
la bellissima Posillipo, a Napoli (nella foto, una vista), prende
il nome appunto da tale Villa]: come ci viene riferito da
Cassio Dione, Seneca e Plinio, il coppiere di Pollione aveva rotto
un prezioso calice murrino e il padrone aveva dato ordine di gettarlo
in pasto alle murene che venivano allevate nelle peschiere della
villa. Augusto intervenne decisamente, non solo salvando la vita
allo schiavo, ma anche ordinando di infrangere l'intera collezione
di vetri preziosi sotto gli occhi di Pollione. La rottura non valse
tuttavia a cancellare del tutto la macchia di questo antico legame,
che, secondo quanto riporta Tacito, alla morte dell'imperatore veniva
ancora rimproverato ad Augusto, sebbene questi avesse continuato
a prendere le distanze. Quando infatti nel 15 a.C. Vedio Pollione
morì lasciandolo erede dei suoi immensi beni, con la clausola
che gli fosse eretto a spese pubbliche un monumento funerario, Augusto
non consentì su questo punto; anzi fece radere al suolo il
suo magnifico palazzo, ora suo, che Pollione aveva eretto sull'
Esquilino, in cui nel 22 a.C. erano stati accolti i principi giudei
Alessandro e Aristobulo, figli di Erode, e vi costruì sopra
un edificio pubblico, il Portico di Livia. [fonte:
dentronapoli.it]
... dei... pesci nell'antica Roma.
Uno storico attento dei costumi dell'antica Roma potrebbe molto
verosimilmente misurare il progressivo ingrandirsi territoriale
dell'Impero dalle qualità di pesce che comparivano sulle
sue mense, poiché dalle umili origini di una cucina povera
e fiera, si passa, in quattro secoli di folgoranti vittorie militari,
alle follie deliranti e truculente dei banchetti petroniani.
Nell'antichità la pesca era stata une delle principali risorse
alimentari delle mense povere nell'area mediterranea, tanto che
i greci non consideravano il pesce degno di essere offerto all'ospite
e infatti la pastorizia era ancora fonte primaria di approvvigionamento
per i cuochi addetti alle mense di riguardo. Ma, pian piano, proprio
per la sagace opera dei cuochi, si comincia ad apprezzarne le carni
delicate e le elaborazioni sapienti.
L'esercizio della pesca era considerato, già dai tempi di
Platone e fino a quelli dello storico Plutarco, un'occupazione non
degna di persone perbene, anche se poi sappiamo che furono appassionati
pescatori con l'amo Antonio e Cleopatra e gli imperatori Augusto,
Marcaurelio e Commodo.
I
sistemi di pesca poco si discostavano da quelli di oggi: si pescava
con l'amo, con la rete, con il filaccione, con la nassa, con il
tridente, con la lampara legata davanti alla barca o alla luce di
una torcia di resina. E sebbene fosse considerato un lavoro umile,
questa attività occupava un sempre maggior numero di lavoratori,
man mano che si diffondeva e prendeva piede il gusto per il pesce
raro, raffinato o di grandi dimensioni. I Romani avevano studi molto
avanzati sulle condizioni climatiche, sulle ore e sui periodi più
adatti alla pesca, sulle abitudini dei pesci. Le campagne di pesca,
soprattutto al tonno, erano molto specializzate e si svolgevano
dal 15 maggio al 25 ottobre. Esistevano torri di avvistamento sui
promontori, nelle quali schiavi particolarmente addestrati erano
incaricati di dare il segnale del passaggio dei tonni: stavano ore
e ore immobili a fissare l'acqua ed erano abilissimi a riconoscere
il sopraggiungere del branco dal movimento dell'acqua o dal suo
mutar di colore.
Poi, via via che la richiesta di pesce fresco e raro si fa più
pressante, ecco sorgere sempre più numerosi i vivai, alcuni
dei quali furono dei veri capolavori di ingegneria idraulica, arte
nella quale i Romani non ebbero rivali. Di alcuni vivai marittimi
ci sono pervenuti i progetti costruttivi; i primi furono per pesci
di acqua dolce, successivamente si costruirono quelli alimentati
con l'acqua di mare. Il quarto e quinto piano dei mercati traianei
era riservato alle piscine e l'acqua di mare era lì convogliata
direttamente da Ostia, cosicché il gourmet poteva farsi pescare
dagli schiavi addetti, le trote salmonate della Mosella o quelle
pescate nel Danubio, i pesci del Mar Nero o lo storione pescato
in Grecia. I mercati di Ancona e Ravenna fornivano in abbondanza
il "pesce azzurro", mentre dalla Sicilia arrivavano le
prelibatissime murene.
Esplose poi la moda del vivaio personale: i ricchi facevano a gara
a chi possedeva quello più fornito di rarità. I più
grandi parchi marini furono costruiti in Campania: comincia verso
il 90 a.C., Licinio Murena, che pare debba il suo nome al fatto
di aver diffuso a Roma questo pesce prelibato, poi fu la volta del
console Sergio Orata, che delle orate sapeva vita morte e miracoli,
e che per primo costruì a Baia un allevamento di ostriche;
per non parlare poi di avvocati famosi come Marcio Filippo, Hortensio,
Hirrus e Lucullo, contro i quali si scagliavano gli anatemi dei
moralisti, Cicerone in testa, che li chiamava con disprezzo "Aristocrazie
di piscinarii", più attenti ai loro vivai di pesci che
ai problemi dello stato.
La manutenzione di questi vivai costava ovviamente una fortuna,
per quel che in effetti rendessero: Lucullo aveva addirittura fatto
bucare una montagna vicino a Baia per portare direttamente l'acqua
del mare al suo parco marino. Alla sua morte, la collezione di pesci
rari fu venduta per la strabiliante somma di 40 mila assi.
Con l'andare del tempo la piscina diventa quasi un oggetto di culto:
Vedio Pollione sembra che gettasse in pasto alle sue lamprede gli
schiavi condannati a morte, mentre Antonia, moglie di Druso, ai
pesci si era affezionata come ad un cagnolino e aveva fatto infilare
degli anelli alle branchie delle sue lamprede preferite. Il poeta
Marziale ci parla dei "pesci sacri" che Domiziano aveva
nelle piscine della sua villa di Baia, cui accudiva personalmente;
e proseguire sull'argomento sarebbe un discorso troppo lungo. [fonte:
cucinaevini.it]
|