All'inizio il legionario si procurava da solo l'equipaggiamento
e le armi offensive e difensive erano molto simili a quelle
degli opliti greci, anche se i Romani combattevano in formazioni
meno chiuse. Le prime battaglie che i Romani intrapresero
contro gli Italici presentano un fattore comune, dagli storiografi
viene sottolineato il valore del soldato, non la strategia;
questa non deve sembrare una celebrazione della potenza romana,
tutt'altro: non essendo la tattica a caratterizzare queste
battaglie, dobbiamo pensare a dei legionari che pur in gruppo,
alla fine combattono l'uno a molta distanza dall'altro.
Con le successive riforme e la creazione
delle tre linee caratteristiche della legione consolare ogni
legionario di un preciso schieramento ha una sua arma e un
preciso momento in cui prendere parte al combattimento (i
veliti cominciano lanciando dei sottili giavellotti, seguono
gli hastati e dopo questi i principes e, solo
se le cose si mettono male, i triarii). Inoltre viene
scelto molto più con attenzione il luogo dello scontro poichè
le manovre sono molto difficili con questi schieramenti che
pur essendo molto innovativi, sono ancora molto rigidi. Da
qui in poi il valore non è più l'unica componente fondamentale
dei Romani, comincia ad essere più importante la tattica.
Anche se Roma dette prova di intendersi benissimo
di strategia (come dimostrò durante le guerre sannitiche),
non era ancora esperta nella tattica, ma diventò insuperabile
anche in questa grazie solo alle terribili sconfitte infertegli
da Pirro e Annibale.
Roma cambiava l'armamento a seconda dell'avvesrsario,
la tattica a seconda della situazione. Se infatti gli
elmi dei Galli influenzarono la produzione di questi in epoca
imperiale, l'evoluzione del legionario può essere intesa benissimo
dagli scudi che questo utilizzò nei secoli. I primi scudi
erano quelli che utilizzavano ache i Greci e gli Etruschi,
erano scudi tondi e molto pesanti che coprivano abbastanza
bene il busto, ma erano comunque poco maneggevoli.
Altra cosa molto importante fu la riforma
di Mario, grazie alla quale ogni legionario possedeva lo stesso
equipaggiamento. In seguito furono adottati degli scudi più
snelli e leggeri che riuscivano a coprire il corpo dalle
spalle fino a poco sopra le ginocchia.
Questi scudi si rivelarono inadatti nel caso
in cui si affrontava un esercito simile a quello dei Parti
(a farne le spese fu Crasso). I Parti infatti adottavano bene
o male la stessa tattica dei Persiani contro i Greci (venivano
scagliate numerose serie di frecce verso gli avversari e,
quando questi erano ormai vicini e demoralizzati per le perdite
causate dai dardi - ed erano molte! - la fanteria si lanciava
all'attacco supportata dalla cavalleria), ma a differenza
di questi disponevano di arcieri a cavallo, e di una cavalleria
terribile. I poveri legionari di Crasso videro piombare su
di loro queste frecce, ed i loro scudi non offrirono sufficiente
protezione ai loro corpi, così la battaglia di Carre si rivelò
una completa disfatta. Giulio Cesare, forse uno dei più abili
strateghi di tutti i tempi, aveva intenzione di muover guerra
ai Parti, ma come sappiamo bene fu ucciso (sarebbe stato molto
interessante vedere se Cesare, non ostante l'armamento inadeguato,
sarebbe riuscito a conquistare l'impero dei Parti).
Ma sapppiamo bene che i Romani sapevano rimediare
ai loro errori, infatti durante l'epoca Giulio-Claudia fu
introdotto uno scudo molto innovativo e funzionale.
Era uno scudo di forma semicilindrica, meno pesante
di quello precedente con un umbone più grande al centro; la
sua forma gli permetteva di abbracciare completamente il corpo
del legionario e grazie a questo scudo fu possibile eseguire
una manovra famosissima: la testudo (testuggine - i
legionari della prima fila tenevano lo scudo in posizione
normale quelli dietro lo ponevano sulla testa di quelli che
li precedevano, veniva a formarsi un rettangolo di cuoio,
legno e metallo che non poteva essere sfondato da niente)
In seguito le modifiche apportate allo scudo
ci hanno fatto capire i suoi difetti: era più debole agli
angoli (per questo fu rinforzato con delle placche
metalliche negli spigoli) e fu alleggerito ulteriormente
asportando il rialzo metallico centrale che intersecava l'umbone
e faceva da asse maggiore. Ora il legionario era perfetto,
era addestrato ed armato come nessun altro, eppure vi fu un'ultima
evoluzione (anche se assomiglia ad una involuzione). La
cavalleria andava sempre più aumentando d'importanza nell'esercito,
a discapito dei fanti. Probabilmente fu la barbarizzazione
dell'esercito a produrre questi cambiamenti (i barbari impiegavano
enormi squadre di cavalieri, che si rivelavano molto efficaci,
ma chi può garantire che lo sarebbero state anche con i legionari
di Cesare o Traiano?. L'armatura fu migliorata esclusivamente
per i cavalieri (catafratti), i fanti invece usavano delle
spade molto lunghe ed erano dotati di un'armatura molto leggera
(la semplicità e la leggerezza sono conseguenze della più
veloce creazione che richiedevano le pressanti invasioni
dei barbari), alcune volte solo di una tunica e possiedono
un elmo a coppa di fattura molto semplice ed abbastanza funzionale.
Lo scudo è ovale, in tutto e per tutto simile a quello
degli ausiliari dell'età precedente e presenta molte decorazioni
pervenute a noi grazie al "Notitia dignitatum".
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Non tutti inizialmente potevano arruolarsi
nell'esercito: fabbri, fucinatori, macellai... potevano entrare
nell'esercito, non potevano invece uccellatori, pasticceri
o uccellatori. Svolgere servizio nell'esercito romano era
il sogno di tanti all'epoca: divenire ausiliari significa
venire in possesso, una volta terminata l'attività
militare, della cittadinanza romana per sè e per tutti
i discendenti e, cosa molto ambita, poter diventare legionario.
Fare il legionario non era certo facile: anzitutto la recluta
imparava a marciare, poi si allenava a combattere contro grossi
pali infissi a terra con sagome in legno riproducenti un gladio
e poi direttamente con le altre reclute con dei cuscinetti
di cuoio applicati sulla punta del gladio. Verso la fine dell'allenamento
le reclute imparavano a disporsi in formazioni.
Le armi principali dei Romani erano il pilum, lo scutum e
il gladio. Il pilum era un giavellotto con una punta d'acciaio,
essendo molto pesante la gittata era ridotta, ma era però
capace di sfondare qualsiasi scudo o armatura; inoltre la
punta era fissata con dei chiodini che all'impatto si spezzavano,
cosicchè la punta rimaneva staccata dall'altra parte
del giavellotto e rimanendo conficcata nello scudo ne rendeva
impossibile l'uso, andando a finire nel corpo di un nemico
rendeva difficile l'estrazione. Il pilum inoltre, essendo
monouso, non poteva essere rilanciato dal nemico; ogni legionario
ne aveva almeno due.
Le origini della legione romana.
La legione (legio da legere = scegliere, perché i soldati
erano scelti nella leva militare) fu l'armata romana sin dai
tempi di Romolo. Questi, secondo la tradizione, divise il
popolo nelle tre tribù dei Tities, Ramnes e Luceres;
ogni tribù doveva fornire 1.000 fanti, divisi in 10
centurie (gruppi di 100 uomini), e 100 cavalieri (1 centuria),
per cui la primitiva legione romulea era costituita da 3.000
fanti e 300 cavalieri. I 3.000 fanti erano comandati da 3
tribuni milititum; i 300 cavalieri da 3 tribuni celerum; il
termine celeres (veloci), con cui i più antichi cavalieri
erano denominati, è rapportato alla celerità
della loro azione.
Legione serviana.
Dopo la riforma di Servio Tullio, che divise i cittadini in
5 classi censitarie, basate sull'avere di ciascuno, per cui
i più ricchi costituirono la prima classe e gli altri,
proporzionalmente al censo, le altre quattro classi, la fanteria
pesante dell'esercito romano venne formata dalle prime tre
classi di censo. Le classi erano divise in un certo numero
di centurie, di cui metà di iuniores (giovani), addetti
alle armi, e metà di seniores (anziani), assegnati
alla difesa della città. Gli iuniores delle prime tre
classi dovevano procurarsi a proprie spese l'armamento di
oplita offensivo e difensivo, comprendente, quali armi difensive,
l'elmo di cuoio (galea), lo scudo rotondo di bronzo (clipeus),
gli schinieri di bronzo (ocreae) e la corazza di bronzo (lorica);
quali armi offensive, la lancia da urto (hasta) e la spada
corta (gladius), atta a colpire di taglio e di punta. La prima
classe doveva avere la completa armatura; la seconda e la
terza classe, avendo, al posto del clipeus, lo scutum, un
grande scudo rettangolare bombato di legno e cuoio con guarnizioni
metalliche al centro e sui bordi, che proteggeva la persona
dalle spalle ai piedi, facevano a meno della corazza, e la
terza classe anche degli schinieri; la quarta classe non aveva
armi di difesa, ma solo di offesa; la quinta classe aveva
unicamente fionde (fundae) e proiettili di pietra (lapides
missiles). Le centurie degli equites (cavalieri) furono portate
a 18, con un effettivo di 1.800 cavalieri.
Con Servio Tullio venne introdotta la tattica oplitica, in
base alla quale gli opliti, aventi la pesante armatura di
bronzo, combattevano in schieramento serrato, falangitico,
gli scudi a contatto l'uno con l'altro.
Legione consolare - Ordinamento per manipoli.
La creazione del consolato, all'inizio della repubblica, impose
lo sdoppiamento della legione, per assegnare a ciascuno dei
due consoli un'intera armata. Dalla legione unica dell'ordinamento
serviano si passò alle due legioni consolari, non reclutando
un maggior numero di uomini, ma raddoppiando i quadri, per
cui ogni legione consolare mantenne 60 centurie di fanteria
pesante, ma gli effettivi scesero a 3.000 soldati per legione.
L'esercito romano composto di due legioni contava quindi 120
centurie e 6.000 fanti di linea. E questo perché la
centuria della legione consolare non era più formata
da 100 uomini, ma da un numero inferiore. In questo periodo
(IV Sec. a.C.) venne abbandonata la lenta e poco manovrabile
formazione falangitica del periodo precedente.
Le 60 centurie della legione si rivelarono tatticamente troppo
deboli, per cui furono unite a due a due a costituire i manipoli,
pur conservando il nome di centuria e rimanendo unità
amministrative.
La legione ebbe 30 manipoli, distinti in 10 manipoli di hastati,
10 di principes, 10 di triarii; le centurie degli hastati
e dei princeps comprendevano ciascuna 60 soldati (un manipolo
120), mentre le centurie dei triarii comprendevano 30 soldati
(un manipolo 60).
Il numero dei cavalieri fu fissato a 300, divisi in 10 squadroni
ciascuno di 30 uomini, suddivisi a loro volta in 3 decurie
di 10 uomini ciascuna.
Non fu più il censo, ma l'età ad assegnare ai
soldati il rispettivo posto: infatti i più giovani
formavano la prima linea di hastati, gli uomini fatti la seconda
linea di principes, i più anziani la terza linea di
triarii.
Per quanto riguarda l'armamento, gli hastati, i principes
ed i triarii avevano in comune un elmo di bronzo con pennacchio
(crista) molto alto e diritto, formato da penne rosse o nere
(spesso di allodola) o da una coda equina, la corazza a maglie
di ferro o un pettorale di bronzo fissato ad un corsetto di
cuoio, lo scutum al posto del clipeus e gli schinieri, che
coprivano le gambe dal ginocchio in giù. Come armi
offensive avevano in comune il gladius; oltre questo, gli
hastati ed i principes avevano il pilum ed i triarii l'hasta.
Ma dovette esserci senz'altro un tempo in cui gli hastati
avevano l'asta, da cui deriva il loro nome; i triarii, detti
anche pilani avevano il pilum; e i principes, cioè
"i primi" erano schierati in prima linea. L'armamento
dei triarii può essere ricondotto a quello della fanteria
pesante della falange oplitica.
Probabilmente la gittata più corta del pilum in quanto
giavellotto "pesante" era più adatta ai primi
ranghi, così l'arma che forse i triarii usavano in
precedenza è passata alle due file più avanti
lasciando a questi solo il nominativo.
Gli armati alla leggera, i velites, portavano un piccolo scudo
rotondo di legno (parma) ed un elmo di cuoio; e come armi
offensive leggeri giavellotti (hastae velitares).
Inizialmente sulla terza linea erano disposti assieme ai triarii
anche i rorarii e gli accensi, i primi giovani ed inesperti,
gli altri poco affidabili. Questi altri due ordini rappresentavano
un retaggio della quarta e della quinta fila della ormai abbandonata
falange oplitica. Triarii, rorarii ed accensi erano organizzati
in 3 manipoli di 180 uomini l'uno. Ciascun manipolo era chiamato
ordo. Furio Camillo (il salvatore di Roma) secondo la tradizione,
ma è più logico pensare che queste siano state
delle modifiche fatte gradualmente col tempo, sostituì
gli elmi di bronzo, troppo deboli per affrontare le lunghe
spade dei barbari, con degli elmi di ferro molto levigati
per deviare i colpi inferti su di essi. Sempre nel III secolo
a.C. Roma dovette fronteggiare Pirro, re dell'Epiro ed abile
stratega che mise notevolmente in difficoltà i Romani
ancora dediti a volgere ai propri voleri la penisola italiaca.
Con Pirro i Romani conobbero per la prima volta gli elefanti,
destinati a farsi rivedere con Annibale, considerati erroneamente
"buoi della Apulia". Pirro vinse numerose volte,
sicuramente per abilità tattica visto che a Maleventum
(l'odierna Benevento) perse così tanti uomini che la
sua vittoria sembrò più una sconfitta, di qui
il detto "Una vittoria di Pirro" per indicare una
vittoria che sembra più una disfatta. Curioso è
l'espediente che gli ingegnosi Romani adottarono contro gli
elefanti: vista la facilità con la quale i pachidermi
si spaventavano, essi cospargevano dei maiali di pece e, una
volta dato fuoco al povero animale, lo dirigevano verso gli
elefanti; inutile dire che funzionava...e bene.
Comandi.
Il supremo potere militare, l'imperium militiae, era de tenuto
dai consoli, dai pretori e dal dittatore, quest'ultimo con
un comandante in seconda, il magister equitum. In età
imperiale sarà il principe ad avere il comando supremo,
esercitato per mezzo di delegati, i legati Augusti, di rango
e grado diverso in base all'importanza del dislocamento della
legione.
Fra gli ufficiali la legione annoverava:
- 6 tribuni militum, di cui uno di rango senatorio, detto
laticlavius, dall'ampia striscia di porpora (clavus) che orlava
la sua tunica, e cinque di rango equestre, detti angusticlavi.
Essi in coppia comandavano la legione per due mesi, tenendo
il comando un giorno per uno o un mese per uno.
Il fatto dell'alternarsi del comando si rivelerà, assieme
al genio tattico d'Annibale, la causa più importante
della disfatta romana a Canne: gli intenti dei due consoli
erano opposti riguardo prendere l'iniziativa o meno: Emilio
non voleva scendere in campo contro Annibale, ma a questo
bastò far assalire dalla propria cavalleria numidica
i Romani che attingevano l'acqua sulla riva opposta del fiume,
per far ordinare a Varrone, il giorno dopo, di schierare tutte
le legioni in campo.
- legati: ufficiali aggiunti, di solito nominati dal Senato
in seguito alle proposte del comandante, che affiancavano
ed assistevano.
- 60 centuriones: comandanti delle centurie, nominati dai
tribuni e provenienti dalle truppe, erano ufficiali subalterni
(duces minores). Ogni manipolo ne contava due: il centurione
che comandava la centuria di destra, centurio prior, comandava
tutto il manipolo e quindi aveva ai suoi ordini il centurione
della centuria di sinistra, centurio posterior. Gli hastati
erano agli ordini di 10 centuriones priores e 10 centuriones
posteriores, e così i principes ed i triarii. Il grado
più elevato fra i centuriones priores era tenuto dal
centurione del primo manipolo dei triarii, detto primus pilus.
- 60 optiones: comandanti in seconda della centuria.
- 30 decuriones: in ogni turma dì 30 cavalieri c'erano
3 decurioni, dei quali il più anziano comandava la
turma.
- 12 praefecti alae: alti ufficiali romani, 6 per ognuna delle
due alae (ala dextra, ala sinistra), in cui erano aggregati
i contingenti degli alleati, inquadrati in cohortes di fanteria
e in turmae di cavalleria.
Schieramento dei manipoli .
La legione manipolare si schierava, in profondità,
su tre linee, distanziate fra loro di circa 40 m; su ciascuna
linea si disponevano i manipoli e precisamente sulla prima
linea i 10 manipoli degli hastati, sulla seconda linea i 10
manipoli dei principes e sulla terza linea i 10 manipoli dei
triarii. I manipoli, che presentavano in genere 20 soldati
di fronte e 6 o 3 in profondità, si schieravano a scacchiera,
gli uomini si disponevano a distanza di un metro l'uno dall'altro
per avere libertà di movimento ed evitare di ferirsi
accidentalmente in battaglia.
Fra i manipoli degli hastati venivano lasciati degli intervalli,
che corrispondevano alla fronte dei manipoli stessi, circa
18 m; i manipoli dei principes non erano collocati dietro
a quelli degli hastati, ma dietro ai loro intervalli, ed i
manipoli dei triarii erano collocati dietro agli intervalli
dei principes. Così che, nel caso gli hastati, dopo
il lancio preliminare del pilum, avessero la peggio nei duelli
corpo a corpo con il nemico, ripiegavano, passando attraverso
gli intervalli dei principes, mentre questi avanzavano attraverso
gli intervalli lasciati fra i manipoli degli hastati. I triarii,
i più esperti e valorosi, inizialmente inginocchiati,
avanzavano all'assalto solo quando anche i principes non erano
in grado di decidere le sorti della battaglia, onde il modo
di dire: "res redit ad triarios" (la battaglia è
ridotta ai triari) per indicare una situazione gravissima.
Allorché i triarii avanzavano sul davanti, gli hastati
ed i principes si ritiravano alle loro spalle; la carica improvvisa
di truppe fresche armate efficacemente come i triarii causava
notevole scompiglio nei ranghi nemici. Questa disposizione
a scacchiera poteva però essere modificata, qualora
le circostanze lo richiedessero.
La cavalleria era schierata in prima linea, ai due lati dei
manipoli degli hastati; gli armati alla leggera combattevano
sparsi e servivano a molestare il nemico prima che cominciasse
il combattimento.
Riforma di Gaio Mario. Ordinamento per
coorti.
L'estendersi dei fronti di guerra ed il numero sempre maggiore
delle popolazioni nemiche resero necessario porre in campo
sempre più legioni. Dalle 2 legioni che costituivano
di regola l'esercito consolare romano, si era passati a 4
legioni (2 per ogni console) durante la seconda guerra sannitica
(fine IV sec. a.C.), che rimase il numero usuale dell'esercito
romano, anche se eccezionalmente, come per esempio durante
la guerra annibalica (fine III sec. a.C.), furono arruolate
fino a 23 legioni.
I soldati continuavano ad essere reclutati in base al censo,
anche se il reddito minimo veniva sempre più abbassato
onde permettere ai meno abbienti di prestare servizio militare.
Fu Gaio Mario (fine II sec. a.C.) ad abolire il vecchio sistema
del reclutamento per censo e ad arruolare tutti i volontari
in possesso della cittadinanza romana e di qualità
fisiche, anche appartenenti alle popolazioni italiche. I soldati
e l'esercito divennero di mestiere, devoti ai loro comandanti.
La tradizione attribuisce a Gaio Mario anche la creazione
di un'unità tattica più serrata del manipolo,
la cohors, coorte, di 600 uomini, formata dall'unione di 3
manipoli, uno di hastati, uno di principes, uno di triarii,
portati ciascuno a 200 uomini. La legione venne divisa pertanto
in 10 coorti, numerate da I a X, e gli effettivi salirono
a 6.000.
Tutti gli effettivi della legione coortale erano dì
fanteria pesante. I veliti infatti furono aboliti e le truppe
leggere furono costituite dagli ausiliari. Venne meno la distinzione
di età e di armamento fra hastati, principes e triarii,
che ebbero tutti il pilum ed il gladius. Successivamente,
la forza della legione coortale si stabilizzò sui 5.000
armati.
Lo schieramento normale delle coorti era su tre linee, a scacchiera,
simile a quello dei manipoli, con gli intervalli fra coorte
e coorte, attraverso cui le unità tattiche della seconda
e terza linea potevano avanzare e porsi in prima linea, qualora
fosse necessario.
Giulio Cesare modificò lo schieramento cambiando di
posto le coorti dell'ultima linea e disponendole là
dove ce ne fosse bisogno (vedi battaglia di Farsalo)
La divisione delle coorti rimase invariata per tutto l'impero;
soltanto la prima coorte di ogni legione ebbe un numero doppio
d'uomini, 1.000, e fu detta pertanto cohors millenaria, mentre
le altre nove coorti, di 500 uomini, erano dette cohortes
quingenarie. Lo schieramento continuò a essere quello
a scacchiera, ma le coorti erano disposte solo su due linee:
alla destra della prima linea la I coorte e immediatamente
dietro a questa la IV.
Al tempo di Augusto vi erano 25 legioni, stanziate fuori Italia
e nelle province, dove lo richiedevano la difesa dei confini
o la sicurezza interna.
Modifiche successive alla legione.
Il cambiamento più importante delle legioni fu senz'altro
l'arruolare sempre più cavalieri all'interno di questa:
poche persone volevano fare il soldato, molti imperatori infatti
obbligarono i grandi proprietari terrieri ad arruolare parte
degli schiavi dediti a lavorare i campi e le reclute venivano
marchiate a fuoco per evitare diserzioni; erano lontani i
tempi in cui la più grande aspirazione fra i cittadini
era combattere per Roma!
La cavalleria assunse un ruolo sempre più determinante
sia perchè i legionari, essendo per lo più barbari,
non dimostravano più quell'abilità nel combattere
e quella disciplina di un tempo, sia perchè la cavalleria
era molto più mobile e, inoltre, gli eserciti barbari
del IV-V secolo d.C. erano dotati di abilissimi guerrieri
a cavallo.
Altra modifica molto importante all'interno dell'esercito
romano fu l'arruolamento di speciali legionari addestrati
come schermagliatori (dotati quindi di giavellotti ed armatura
leggera), che erano chiamati lanciarii (IV secolo d.c.).
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