Conquistatore della Spagna, dell'Africa e dell'Asia Minore, Publio Cornelio Scipione Africano fu più di ogni altro l'artefice della supremazia mondiale di Roma.
La grande simpatia che la gente provava per lui e le eccellenti capacità militari gli procurarono nel 210 a.C. un comando proconsolare in Spagna, straordinario e senza precedenti, sebbene avesse solo 26 anni e fosse un privatus (cittadino privato). Nel 206 aveva già scacciato dalla Spagna i cartaginesi e saldamente affermato il dominio romano in questo paese. Gli anni trascorsi in Spagna videro Scipione affermarsi come grande genio militare e capo carismatico. L'esercito aveva raggiunto con il suo addestramento un tale grado di professionalità e di resistenza che gli fu facile sopraffare Annibale e riportare immediatamente due brillanti vittorie a Baecula (208) e a Ilipa (206).
Il fascino della sua personalità e l'abilità diplomatica gli assicurarono la collaborazione dei comandanti locali, che lo onorarono come un re.
Questa collaborazione fu essenziale per vincere la guerra in Spagna ed egli trasse grande vantaggio dai rapporti già instaurati dal padre, Publio Cornelio Scipione, negli anni prima del 211 a.C. Scipione ottenne anche fedeltà e devozione da parte dei legionari, tra i quali si era sparsa la fama che il loro generale fosse favorito degli dei, specialmente dopo il riflusso di marea, apparentemente miracoloso, che lo aiutò a conquistare Carthago Nova (209).
Tornato a Roma e accolto come un eroe, Scipione si adoperò per realizzare la sua ambiziosa strategia di concludere la guerra in Africa con la sconfitta definitiva di Cartagine. Ma si scontrò con l'opposizione dell'ala conservatrice del Senato, capeggiata da Fabio Cunctator, che sosteneva che Annibale dovesse essere battuto in Italia e non in Africa. Con la minaccia che avrebbe scavalcato il consenso del Senato e si sarebbe appellato al popolo, Scipione si assicurò l'Africa come teatro di operazioni. L'ostruzionismo del Senato gli impedì di arruolare truppe, ma con il suo prestigio e il suo fascino personale si procurò un numero sufficiente di volontari per la campagna africana.
Trascorse un anno in Sicilia per addestrare il nuovo esercito e scandalizzò l'opinione pubblica tradizionalista romana, indossando abiti greci e mostrando apertamente interesse per la cultura greca. Nel 204 a.C. sbarcò in Africa, dove dimostrò la validità della sua strategia con una serie di vittorie che richiamarono Annibale dall'Italia (203). Con l'aiuto prezioso della cavalleria di Massinissa, re della Numidia, Scipione inflisse ad Annibale, fino ad allora invitto, una sconfitta (a Zama nel 202 a.C.) che decise le sorti della guerra. Scipione stabilì le condizioni di pace, che il Senato poi ratificò, e tornò in Italia per celebrare uno splendido trionfo, assumendo l'appellativo di Africano in ricordo della sua grande vittoria.
Nel 199, quando divenne censore, magistratura che rappresentava l'apice della carriera pubblica a Roma, aveva ancora solo 37 anni. La giovane età e molti particolari inducevano necessariamente a paragonare il personaggio ed Alessandro Magno. Durante il secondo consolato, nel 194 (il primo risale al 205), nel segreto intento di ottenere il comando di una spedizione contro Antioco III, re seleucide, Scipione si oppose energicamente ma senza successo alla linea politica di Flaminio che sosteneva la necessità di far evacuare le truppe romane dalla Grecia.
Tuttavia nel 190 guidò il primo esercito romano in Asia, ufficialmente come luogotenente del fratello, Lucio Cornelio Scipione (poi detto Asiatico). Durante la campagna divenne amico personale di Filippo V, re di Macedonia e importante alleato di Roma, e ottenne altri successi diplomatici in Asia. Insistette perchè Antioco ritirasse completamente le sue forze dall'Asia Minore e, dopo la cruciale battaglia di Magnesia, negoziò la pace alle condizioni imposte da lui. (Il comando effettivo a Magnesia non fu tenuto nè da Scipione, che era ammalato, nè dal fratello, ma da Gneo Domizio Enobarbo a cui fu riconosciuto ben poco merito).
Scipione aveva raggiunto un prestigio e un potere che mai nessun romano aveva ottenuti nè prima, nè dopo fino a Pompeo e a Cesare. Durante la sua carriera si erano manifestate parecchie pericolose deviazioni dalla pratica religiosa tradizionale romana a favore della tendenza ellenistica al culto della persona e della regalità. Di conseguenza i suoi avversari politici negli anni 180 si coalizzarono contro di lui e tentarono di attaccare Lucio Scipione incriminandolo per aver commesso peculato in Asia. Africano reagì con un gesto coraggioso e tipico del suo carattere, stracciando davanti al popolo i documenti che contenevano le gravi accuse al fratello, e ricordando gli obblighi che i Romani avevano verso di lui come loro salvatore. Ma in seguito si ritirò a vita privata fino alla morte nel 183 a.C.
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