Gaio Ottavio nacque nel 63 a.C. da un padre appartenente all'ordine senatorio ma di umili origini, nipote di Giulio Cesare. Dopo l'assassinio di quest'ultimo, Marco Antonio lesse nel Foro il testamento, da cui risultò che Gaio Ottavio era stato nominato erede legale (e politico) del dittatore. In quel momento il diciottenne adottato si trovava nell'Epiro, dove si addestrava nelle armi e nelle lettere. Venuto a conoscenza della notizia, andò a Roma (43 a.C.) dove, per conciliarsi subito l'affetto di tutti, assunse il nome di Gaio Giulio Cesare Ottaviano.
Per incarico del Senato mosse dapprima contro Antonio, che aspirava ad impadronirsi del potere, e lo sconfisse presso Modena (43); poi, temendo che, distrutta la potenza di Antonio, il Senato e gli uccisori di Cesare rialzassero il capo, si accordò con Antonio e con Marco Emilio Lepido (governatore della Gallia Narbonese) costituendo con essi un secondo triumvirato (43), per la durata di cinque anni, con lo scopo di riordinare la repubblica, ma, in realtà, per dividere tra loro il potere, ripartirsi le provincie e vendicare la morte di Cesare. Tale triumvirato, a differenza di quello precedente, fu riconosciuto ufficialmente come una vera e propria magistratura dello Stato.
Affisse le liste di proscrizione, Ottaviano e Antonio (Lepido rimaneva a Roma) passarono in Grecia per combattere Bruto e Cassio che, fuggiti, avevano raccolto un numeroso esercito. Riportarono a Filippi (42), in Macedonia, una grande vittoria. Gli stessi Bruto e Cassio, per non cadere in mano dei loro nemici, si uccisero. Dopo la battaglia di Filippi, Ottaviano e Antonio, messo da parte Lepido (che dovette accontentarsi del titolo di Pontifex Maximus), si divisero le provincie dell'impero: Ottaviano ebbe l'Occidente e Antonio l'Oriente.
A difesa della Repubblica, contro il triumvirato, si era schierato Pompeo Sesto, figlio di Gneo Pompeo Magno. I triumviri lo avevano subito dichiarato fuorilegge, ma con l'ausilio della flotta e dell'esercito, Pompeo Sesto aveva installato una potente base militare indipendente in Sicilia che gli servì a salvare coloro che fuggivano dalle proscrizioni e a fare scorrerie lungo le coste italiane.
La popolarità di cui Pompeo Sesto godeva a Roma e la minaccia strategica del suo blocco navale costrinsero Ottaviano a scendere a patti con lui concedendogli nel trattato del Miseno (39) il governo di Sicilia, Sardegna, Corsica, nonchè dell'Acaia. Nel 38 Ottaviano lo accusò di aver violato il patto e riaprì le ostilità, subendo però numerosi insuccessi prima di sconfiggere definitivamente Pompeo Sesto a Nauloco (36).
Antonio aveva invece fissato la sua residenza in Alessandria d'Egitto dove, invaghitosi della regina Cleopatra, ripudiò la propria moglie Ottavia, sorella di Ottaviano, e fece dono alla regina di quasi tutte le provincie orientali. Tutto ciò suscitò in Roma un'immensa indignazione. Ottaviano, cogliendo il momento opportuno per disfarsi del rivale, ottenne allora che il Senato dichiarasse guerra ufficialmente a Cleopatra, ma in pratica ad Antonio (32). La guerra si concluse con la battaglia navale di Azio, sulle coste dell'Epiro (31). Le agili navi di Ottaviano, condotte da un ottimo ammiraglio, Marco Vipsanio Agrippa, assalirono con rapidi movimenti le pesanti imbarcazioni di Antonio, tanto che Cleopatra, credendo alla sconfitta, si diede alla fuga. Antonio la seguì in Egitto, ma furono raggiunti da Ottaviano. Dopo aver tentato invano di venire a patti col vincitore, i due si uccisero.
Ottaviano, dopo aver dichiarato l'Egitto possesso personale del vincitore, ritornò a Roma, dove celebrò un grandioso trionfo e chiuse (per la seconda volta dopo Numa) il tempio di Giano. Fino a questo momento Ottaviano aveva sposato Clodia, aveva avuto la sua unica discendente, Giulia, dalla seconda moglie Scribonia, parente di Antonio; si era poi ancora risposato con Livia, che gli sarebbe rimasta accanto per tutta la vita. A questo punto Ottaviano era l'assoluto padrone della repubblica.
Ebbe però cura di salvare le apparenze, lasciando intatte le vecchie forme repubblicane, in modo che il popolo continuò a parlare di repubblica, di Senato, di comizi, ecc..., sebbene queste forme fossero svuotate del loro effettivo potere. Egli si limitò a raccogliere nella sua persona tutte le principali cariche dello Stato, che il Senato e il popolo gli conferivano.
Nel 29 a.C. il Senato decretò il titolo di Imperator, ma, già come Cesare, nel senso di "comandante supremo di tutte le forze militari". Nel 28 il Senato gli conferì il titolo di Princeps Senatus, che gli dava il diritto di esporre per primo il proprio parere nelle discussioni, influendo grandemente sulle deliberazioni. Nel 27 il Senato, in segno di gratitudine, gli conferì il titolo di Augusto.
Ottaviano ebbe il controllo di tutte le provincie. Nel 24 a.C. il popolo gli conferì la potestà tribunizia, che gli dava il diritto di opporre il suo veto alle deliberazioni del Senato e degli altri magistrati; in pratica la supremazia sulla politica interna. Nel 19 fu creato Console a vita, in modo che ebbe nelle mani tutto il potere esecutivo. Nel 12 a.C., essendo morto Lepido, assunse il Pontificato Massimo. Nel 2 D.C., infine, il Senato gli conferì il titolo onorifico di Pater Patriae. Naturalmente, poichè Augusto accentrava nelle sue mani tutti i poteri, il cuore della vita politica di Roma non fu più il Senato, ma la corte imperiale. Augusto costituì infatti una specie di ministero, il Consiglio del Principe, composto di giuristi, letterati, amici devoti, che esprimevano il loro consiglio intorno agli affari di maggior importanza. Tra costoro occuparono un posto rilevante Vipsanio Agrippa, che ebbe l'incarico di abbellire la città, e Cilnio Mecenate, che ebbe l'incarico di far rifiorire le arti e le lettere.
Sebbene Augusto avesse per massima di non estendere di più i confini dell'impero, fu costretto, per sollevazioni interne o per minacce di popoli limitrofi, ad intraprendere parecchie spedizioni e guerre. Così, ad esempio, sottomise i Salassi (25 a.C.), che occupavano l'attuale valle d'Aosta, e, per assicurare quel possesso, fondò la colonia militare di Augusta Praetoria (Aosta); impose il prestigio di Roma ai Parti, ecc...
Ma le guerre più importanti di Augusto furono quelle condotte contro:
1) le popolazioni della regione Alpina (Reti, Nòrici, ecc...), che minacciavano l'Italia da settentrione.
Furono allora costituite le due provincie della Tezia (Svizzera) e del Nòrico (Austria occidentale);
2) le popolazioni del basso Danubio (Dalmati, Pannoni, Mesi, ecc...), che minacciavano l'Italia da Oriente.
Furono allora costituite le provinicie della Pannonia (Austria orientale) e poi della Mesia (tra il 12 e l'8 a.C.);
3) la Germania, le cui popolazioni varcavano spesso il Reno, devastando la Gallia. Augusto diede prima l'incarico a Druso (fratello di Tiberio e figlio di Livia in un precedente matrimonio) che però morì poco dopo per una caduta da cavallo (9 a.C.); e poi a Tiberio che si spinse fino all'Elba (5 d.C.) rendendo tributari tutti i popoli fino a quel punto, ma fu costretto a ripiegare in Pannonia, non ancora pacificata. Il comando passò al governatore Publio Quintilio Varo, senonchè, nel 9 d.C., assalito da Arminio, principe dei Cheruschi, nella selva di Teutoburgo, perdette tre intere legioni. (Si narra che Augusto, alla notizia del disastro, sembrasse impazzire, e per più giorni si aggirasse nelle sue stanze gridando: "Varo, rendimi le mie legioni!").
Dopo la disfatta di Varo, Augusto ritirò le sue legioni sulla riva del Reno, rinunciando alla conquista della Germania. Il limite dell'impero fu in tal modo segnato dal Reno e dal Danubio. Durante questi anni, una seria malattia nel 23 a.C. e la morte dell'erede Marcello avevano causato serie preoccupazioni tra i consiglieri più fidati di Augusto. Ma l'efficenza della nuova struttura governativa, basata sui due eredi Gaio e Lucio Domizio Enobarbo, e l'inaugurazione del nuovo Foro a Roma nel 2 a.C., vero e proprio monumento alla dinastia, dimostrarono come la situazione fosse cambiata.
Agrippa e Macenate morirono e Tiberio si autoesiliò a Rodi. La caduta in disgrazia della figlia Giulia, la morte di Gaio e Lucio, il ritorno di Tiberio e la sua adozione, la rivolta in Pannonia e il disastro di Varo in Germania segnarono l'ultima fase del principato di Augusto. Morì nel 14 d.C., all'età di 76 anni.
Augusto riordinò l'immenso impero di Roma, dividendo le provincie in due categorie: senatorie e imperiali. Le prime, più tranquille, rimasero sotto la diretta amministrazione del Senato; le seconde, che per la loro posizione strategica richiedevano milizie permanenti, erano governate dall'Imperatore. Augusto riformò anche l'esercito, trasformandolo da mercenario a permanente. Furono istituite anche nove coorti pretorie, ciascuna di mille uomini, con paga alta, che dovevano costituire la guardia imperiale. Augusto, persuaso che la religione era necessaria alla vita e alla prospeità di un popolo, cercò di far rifiorire anche la religione, restaurando i vecchi templi ed innalzandone di nuovi. Non volle però che, secondo un uso importato dall'Oriente, si tributasse culto alla propria persona; permise soltanto che esso venisse praticato nelle provincie, purchè accompagnato dal culto di Roma. Rivolse poi i suoi sforzi a restaurare la moralità e, in particolare, il sentimento della famiglia.
Emanò una serie di disposizioni, con le quali stabilì l'obbligo di matrimonio per tutti i cittadini, un sistema di premi per i padri di numerosa prole e di pene per i celibi impenitenti. Augusto abbellì notevolmente Roma, tanto che, morendo, potè giustamente vantarsi di "aver trovato Roma di mattoni e di averla lasciata di marmo". Tra le opere più notevoli furono il Foro di Augusto, l'Ara pacis Augustae, il proprio Mausoleo, il teatro di Marcello, il Pantheon (costruito da Agrippa). Non dobbiamo dimenticare che prima di Augusto, Roma era stata capitale del mondo solo di fatto senza averne l'aspetto. Gran parte dell'immagine della gloria di Roma è causata dai successi di Augusto e dal contributo dei più grandi poeti di Roma, raccolti da Mecenate, come Virgilio (autore dell'Eneide, esaltazione dell'Imperatore) e Orazio. Augusto stesso scrisse il memoriale delle sue memorie (Index rerum a se gestarum, più conosciuto come Res gestae), che diede istruzione di scolpire dopo la sua morte, in latino e greco, in varie città dell'impero.
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