Profondi cambiamenti avvennero in Roma dopo le guerre puniche
e la conquista della Grecia e dell'Oriente. La diffusione della cultura ellenistica
(molti artisti greci si stabilirono a Roma mentre i ricchi romani trascorrevano
sempre più tempo in Grecia e in Oriente) mandò in crisi i valori della moralità
romana. I ricchi senatori cominciarono a impossessarsi delle terre dello Stato
reclamate anche dalla classe equestre; le classi medie, soprattutto i piccoli
agricoltori che costituivano il nerbo dell'esercito, si andarono impoverendo
sempre più. Tiberio e Caio Gracco si fecero promotori di una riforma
agraria, ma il loro tentativo fallì, finendo addirittura nel sangue.
Dopo un decennio di pace, garantito dai senatori oligarchici,
iniziò un periodo molto difficile, percorso da rivalità accese tra i diversi
partiti politici. Si combatté la prima guerra civile, tra ottimati guidati
da Silla e popolari guidati da Mario. Silla ebbe la meglio
ma, dopo aver restaurato il potere dei patrizi ed esautorato i tribuni della
plebe, si ritirò a vita privata e morì poco dopo. Le rivalità non erano però
terminate e Roma era ormai alle soglie della seconda guerra civile.
Dalla crisi economica e
sociale alla riforma dei Gracchi
L'incontro con la cultura ellenistica, determinato dall'estensione
dei domini romani sulla Grecia, la Macedonia e parte dell'Asia Minore, fece
sì che in Roma si formassero due correnti: quella conservatrice di Marco
Porcio Catone, che predicava il ritorno agli antichi costumi e valori
romani, e quella innovatrice del circolo degli Scipioni che, pur non rinnegando
la tradizione latina, vedeva di buon occhio la cultura greca alla quale cercò
di adattare il proprio patrimonio di conoscenze.
La classe dirigente dei senatori aveva consolidato il suo
potere durante le guerre, mentre le classi medie si erano impoverite. Era poi
emersa, in campo finanziario, la classe dei cavalieri (ordine equestre) che
reclamava i propri diritti di fronte al senato.
La grande ricchezza che affluiva dalle regioni conquistate
permise ai ricchi di comperare territori dell' ager publicus confiscati ai vinti
e appartenenti allo stato. Si diffusero il latifondo e la schiavitù (anch'essa
conseguente alle guerre); molti piccoli proprietari, impoveriti, si trasferirono
a Roma in cerca di miglior fortuna.
Un primo tentativo di riforma fu attuato da Tiberio
Gracco, un patrizio eletto tribuno della plebe nel 133 a.C. La sua proposta
di riportare in vigore la legge che vietava di possedere più di 125 ettari di
terreno pubblico e di ridistribuire quindi le parti in eccesso, fu avversata
dall'aristocrazia senatoria. Tiberio ripropostosi alla carica di tribuno, fu
ucciso in un tumulto e i suoi seguaci condannati a morte.
Di ciò risentirono anche gli Italici, che si vedevano tolti
i loro territori e che, non essendo cittadini romani, non avevano diritto alle
nuove distribuzioni. Molti di loro si ribellarono ma furono puniti duramente.
Nel 123 a.C. fu eletto tribuno Caio Gracco, fratello minore di Tiberio,
promotore di riforme ancor più radicali. Innanzitutto cercò l'appoggio della
classe equestre, facendo in modo che i cavalieri fossero in numero maggiore
dei senatori nei tribunali che giudicavano i reati di concussione.
Per ottenere il favore della plebe, promosse la fondazione
di nuove colonie e propose una "Lex frumentaria" che dava
diritto ai cittadini meno abbienti di ricevere grano a prezzo ridotto. Eletto
tribuno una seconda volta, chiese la concessione della cittadinanza agli Italici.
I senatori, contrari, si servirono del tribuno Livio Druso per contrastarlo.
Druso propose riforme demagogiche (abolizione del canone
d'affitto delle terre per i piccoli proprietari, fondazione di nuove colonie)
che offuscarono la popolarità di Caio. In un clima di tensione e di conflitti
interni, nel 121 a.C., il senato approvò il Senatus consultum ultimum,
un provvedimento che conferiva ai consoli, tra cui Lucio Opimio avversario
di Caio, i pieni poteri perché provvedessero alla salvezza dello stato con qualsiasi
mezzo.
Caio sentendosi ormai sconfitto, si fece uccidere da uno
schiavo mentre i suoi seguaci (circa 3000) furono massacrati.
Dalla Guerra giugurtina
all'ascesa di Mario
Sconfitti i Gracchi, guadagnò prestigio l'oligarchia
senatoria, cercando il favore dei cavalieri e quello del popolo attraverso piccole
concessioni. Fra il 125 e il 118 a.C. Roma ridusse a provincia la Gallia meridionale.
Poco dopo dovette intervenire in Africa, in Numidia dove Giugurta aveva
massacrato Romani e Italici residenti a Cirta e aveva usurpato il trono di Aderbale,
il quale aveva chiesto l'aiuto romano.
Nel 111 a.C. iniziò la guerra che si protrasse fino al
107, quando il comando fu affidato a Caio Mario, affiancato dal questore
Cornelio Silla. Quest'ultimo riuscì a farsi consegnare Giugurta,
che fu giustiziato. Al termine del conflitto tutti gli onori furono tributati
a Mario che fu rieletto console, mentre Silla mal tollerò di non
essere stato considerato. Il potere di Mario fu consolidato in seguito
alla riforma dell'esercito in cui ammise anche volontari nullatenenti ai quali
assegnò una paga. Con questo esercito ben addestrato e con nuove tattiche di
guerra, Mario, eletto console dal 103 al 100 a.C., sconfisse i Cimbri
e i Teutoni, popolazioni germaniche che insidiavano i confini settentrionali.
Nell'anno 100 a.C. il tribuno della plebe Lucio Apuleio
Saturnino, affiancato dal pretore Gaio Servilio Glaucia, fece
approvare una legge che assegnava ai veterani dell'esercito di Mario
alcune terre della Gallia Cisalpina. Il senato, contrariato, concesse pieni
poteri a Mario per liberarsi dei due politici. Egli li fece uccidere
e ciò irritò il partito dei popolari. Mario lasciò la vita politica e
si recò in Asia.
Dalla Guerra sociale alla
dittatura di Silla
Il partito degli ottimati governò da allora incontrastato
per una decina d'anni. Nel 91 a.C. ottenne il tribunato Livio Druso (figlio
del precedente). Le sue proposte (promozione di alcuni cavalieri a senatori
e concessione della cittadinanza agli Italici provocarono l'ostilità del senato
che lo fece uccidere. Dopo questo fatto i soci (da cui il nome Guerra sociale)
Italici si ribellarono per ottenere l'indipendenza da Roma.
Molte popolazioni, guidate dai Marsi e dai Sanniti, crearono
uno stato federale italico con capitale Corfinio (che fu detta Italica). I Romani
richiamarono Mario per combattere contro i Marsi, mentre le altre operazioni
furono condotte da Pompeo Strabone e Cornelio Silla, eletto console
nell'88 a.C. Quando Roma decise di concedere la cittadinanza a coloro che non
si erano ribellati o avessero deposto le armi, la lotta si affievolì ma l'esercito
romano piegò definitivamente la resistenza dei Sanniti solo nell'80 a.C.
Nel frattempo, il re del Ponto Mitridate si preparava
a guidare alla ribellione tutti gli stati greci e asiatici soggetti a Roma.
Il senato decise di inviare in Asia Silla. Nello stesso tempo, il tribuno
Sulpicio Rufo, che proponeva di dividere gli Italici nelle 35 tribù già
esistenti e non di crearne delle nuove, fece votare questa proposta, insieme
a quella di mandare Mario in Asia, da senatori e cavalieri, i quali,
non gradendo Silla, le approvarono entrambe. Silla, contrariato,
dopo aver sconfitto i seguaci di Mario (che fuggì), marciò su Roma impadronendosene.
Nell'87 a.C. ottenne di nuovo il comando delle truppe dirette
in Oriente. In Grecia saccheggiò ed espugnò Atene alleata di Mitridate. Mario,
aiutato dal console Lucio Cornelio Cinna, a capo di un esercito entrò
in Roma massacrando i nemici del partito popolare. Un anno dopo, nell'86 a.C.
morì. Silla, in Asia, vinse Mitridate e, nell'83 a.C., tornò in Italia.
Con l'aiuto di Gneo Pompeo, combatté i seguaci di
Mario e gli Italici, sconfiggendoli entrambi. Si fece quindi nominare
dittatore e iniziò una serie di feroci repressioni a danno di tutti gli avversari.
Confiscò diverse terre che andarono ai suoi soldati e si arricchì a spese dei
perseguitati. In politica interna restaurò il potere del senato, limitò quello
dei tribuni e dei cavalieri. Infine nella sorpresa generale, abdicò alla dittatura
e si ritirò. |