Marco Aurelio CLAUDIO II "Il GOTICO" (268-270).
Abile generale di origine illirica, congiura contro l'Imperatore Gallieno e lo fa uccidere
prendendone il posto (VII 268).
Divenuto Imperatore, Claudio II combatte le seguenti guerre, nelle quali si distinguono le
legioni X Gemina e II Adiutrix (che riceve l'epiteto Constans):
Contro Aureolo (268).
Claudio continua l'assedio di Milano ed ottiene la sottomissione del comandante della cavalleria
ribelle Aureolo, che poi si ribella nuovamente, è sconfitto nel luogo che prende il nome di
Pons Aureolo (odierna Pontirolo) e viene ucciso dalle proprie truppe.
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Contro gli Alamanni (268).
Penetrati in Italia, sono sbaragliati a Benaco, presso il lago di Garda.
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Contro i Goti, Eruli e Gepidi (268-270).
Questi barbari (300.000 nelle cronache) saccheggiano la Mesia, la Macedonia, la Grecia, le
Cicladi, Rodi, Cipro e le coste dell'Asia Minore.
Claudio li affronta e li sconfigge nella tremenda battaglia di Naiassus (268, odierna Nish),
nella Mesia Superiore, poi al monte Rodope (269) e ad Anchialo (270), in Tracia.
Il confine è ristabilito sul Danubio, gli sconfitti forniscono auxilia e
dediticii (coloni) mentre l'imperatore ottiene il soprannome "Il Gotico".
Queste vittorie rappresentano il principio del ripristino dell'unità Imperiale ma pochi
mesi dopo Claudio II muore di peste a Sirmio, in Pannonia (primavera 270).
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Marco Aurelio Claudio QUINTILIO
(270).
Figlio del precedente, è nominato imperatore dal Senato ma pochi mesi
dopo è abbandonato dalle truppe ad Aquileia e si suicida.
Claudio Lucio Domizio AURELIANO (270-275).
Figlio di un pastore illirico, percorre la carriera militare e viene nominato comandante della
cavalleria dall'Imperatore Claudio II che lo designa suo successore prima di morire.
E' quindi acclamato imperatore a Sirmio (Pannonia) dalle truppe (17 X 270).
All'epoca le legioni sono formate da 10 coorti, la prima di 1.100 fanti e 137 cavalieri,
le altre 9 coorti con 550 fanti e 68 cavalieri (per un totale di 6.500 fanti
e 749 cavalieri).
Prosegue l'opera del predecessore combattendo le seguenti guerre:
Contro gli Alamanni, Juthungi e Marcomanni (270).
Penetrati nuovamente in Italia settentrionale, sono sconfitti sul Metauro, inseguiti fino in
Rezia e sul Danubio e accolti nell'esercito.
Il pericolo di nuove invasioni in Italia consiglia l'erezione di una nuova cinta di mura
attorno Roma (271). Lunghe 18,84 chilometri, alte dai 10 ai 18 metri, alcuni tratti sono ancora
in piedi (Mura Aureliane). L'Italia, divenuta campo di battaglia, è assegnata ad un
corrector con poteri civili e militari ed è quindi governata come una provincia
imperiale.
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Contro i Vandali (271).
Penetrati in Pannonia nord-orientale, sono sconfitti, accettano la pace e forniscono 2.000
cavalieri all'esercito.
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Nuovamente contro gli Alamanni e Juthungi (271).
Penetrati per la terza volta in Italia settentrionale, sconfiggono l'Imperatore presso
Piacenza (inverno 271), sono sconfitti a Fano, annientati presso Pavia ed inseguiti fino al
Danubio. Aureliano riceve il titolo di "Germanico Massimo".
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Contro i Goti (272).
Resa sicura l'Italia, Aureliano effettua una spedizione in Oriente e per strada sconfigge i
Goti ricevendo il titolo di "Gotico Massimo", ma cede loro la Dacia ritenuta indifendibile.
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Contro Palmira (272).
In Oriente Aureliano (dispone anche della III Gallica) affronta Septimia Batheabbai Zenobia
regina di Palmira, che ha esteso il regno alla Bitinia (268) ed alle foci del Nilo (270).
L'Imperatore sconfigge i generali di Zenobia ad Antiochia, Dafne, Hemesa ed ottiene la resa di
Palmira, mentre il suo legato M. Aurelio Probo rioccupa l'Egitto. Zenobia è portata in
trionfo a Roma e confinata presso Tivoli, sua città natale e Aureliano riceve il titolo
di "Restitutor Orientis".
All'ellenismo di Zenobia, Aureliano oppone le divinità orientali
pre-elleniche, principalmente il Sol Invictus che diviene religione predominante dell'esercito e al
quale fa erigere un tempio a Roma, inaugurato il 25 XII 274.
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Contro i Carpi (272).
Di ritorno dall'Oriente, sconfigge i Carpi sul Danubio ottenendo il titolo "Carpico Massimo",
ma deve interrompere il rientro.
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Contro Palmira la seconda volta (273).
Palmira torna a ribellarsi, è assediata e rasa al suolo (273).
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Contro i Sasanidi (273).
Il re dei re Sciahpur, intervenuto tardivamente in soccorso di Palmira, è sconfitto.
Aureliano riceve il titolo di "Partico Massimo".
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Contro Fermo (273).
Il ricco Fermo, originario della Seleucia, solleva l'Egitto e si proclama imperatore ma viene
sconfitto da Aureliano, assediato in Alessandria, catturato e giustiziato. La fortezza-palazzo
dei Tolomei è rasa al suolo.
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Contro l'Impero delle Gallie (274).
Riconquistato l'Oriente, Aureliano si volge ad occidente dove Postumo ha sconfitto il ribelle
Lelio presso Magonza ma ha vietato il sacco della città alle truppe che l'hanno quindi
ucciso (268). Il successore da lui designato, Marco Piavvonio Vittorino, è assassinato
dalle truppe (270).
L'anziano Caio Pio Esuvio Tetrico abbandona le truppe, formate principalmente da baudicae
("bande" di contadini gallici), ai Campi Catalauni prima della battaglia, e queste sono
massacrate da Aureliano.
Le Gallie sono riunite all'Impero mentre Tetrico ottiene in cambio il governo della Lucania.
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L'Impero è quasi totalmente riunito (sono ancora esclusi gli Agri Decumati, la
Dacia, la Mesopotamia e l'Armenia). Aureliano celebra a Roma il trionfo su un carro trainato da
quattro cervi con Zenobia e Tetrico tra i prigionieri, riceve dal senato il soprannome di
"Restitur Orbis" (Restauratore del Mondo), dai soldati quello di "Manu ad Ferrum"
(Mano all'Elsa), mentre sulle monete dal 274 si fregia del titolo "Dominus e Deus"
(Padrone e Dio).
Roma possiede 11 terme, 10 basiliche, 28 biblioteche, 11 fori, 22 statue equestri colossali,
80 statue d'oro di divinità, 74 statue colossali dorate, quasi 4.000 statue di
bronzo e moltissimi templi.
L'imperatore accentra il controllo sulle zecche sopprimendo quella del Senato
(che conia denari in Bronzo) e prepara una spedizione contro i Sasanidi ma a Cenofrurion (presso
Bisanzio), è ucciso dal proprio segretario (III 275). L'esercito delega al Senato la
designazione del successore. |