[I
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Vita [vd. anche approfondimento
in sezione "storia e civiltà"].
Alcuni anni dopo la morte di Epitteto
lo stoicismo
ha un ultimo sussulto di vita in un personaggio che si trova all'estremo
opposto della scala sociale, l'imperatore Marco
Aurelio, un vero e proprio filosofo sul trono.
Nato a Roma nel 121, allievo dapprima del retore Frontone
che tentò invano di tenerlo lontano dalla filosofia, Marco Aurelio
fu imperatore dal 161 al 180, quando morì combattendo i Marcomanni
e i Quadi presso Vienna.
L'opera e il pensiero.
Egli è autore di un'opera fatta di brevi pensieri, diretti
a se stesso, scritta in greco e intitolata (appunto) A se
stesso [leggi
l'opera]. Per un imperatore la distinzione tra ciò che
dipende e ciò che non dipende da noi è molto meno drammatica
che per l'ex schiavo Epitteto
o per i senatori in conflitto con un potere che li sovrasta.
Per l'imperatore il termine di riferimento verso l'alto diventa
il cosmo intero nella sua eterna vicenda, di fronte al quale il
piccolo mondo umano appare inconsistente e futile. Da un autore
che gli è caro, Eraclito,
Marco Aurelio attinge una concezione del mondo come perenne fluire.
L'arroganza umana nasce, a suo avviso, dalla presunzione di essere
immortali. Il risultato é un radicale ridimensionamento di sè e
del mondo circostante. Per l'imperatore, l'altro non è più
una sorgente potenziale di minacce di asservimento; viceversa, è
l'altro che dipende dall'imperatore e pertanto è da sopportare,
non da combattere. Non di rado Marco Aurelio lascia affiorare il
senso di solitudine che l'imperatore avverte nella
sua corte: egli dice "Nessuno è così favorito da non avere
accanto a sè, al momento della morte, qualcuno che gioisca del triste
evento". Egli sa di poter trovare nella corte non amicizia, ma soltanto
dissimulazione.
Di fronte a questa triste constatazione, egli può evitare di isolarsi
completamente grazie all' insegnamento stoico
, secondo cui ciascuno è parte di quella totalità
organica che è l'universo: nell'ordinamento cosmico
ognuno ha un posto assegnato, con doveri specifici.
Per Marco Aurelio é quello di romano e di imperatore, ma ciò non
significa "sperare nella repubblica di Platone",
ossia in un capovolgimento radicale dello stesso ordinamento politico.
Il vero punto di raccordo con l'universalità cosmica è
ritrovato nel proprio interno, nella consapevolezza di farne parte.
All'io ipertrofico e trionfalistico dell'antico sapiente stoico,
Marco Aurelio oppone l'io infinatamente piccolo, che con la morte
torna a integrarsi, anche fisicamente, nella totalità. E tuttavia
possiamo vedere nella figura di Marco Aurelio, in un certo senso,
il raggiungimento del sistema politico auspicato da Platone,
il quale diceva che ci sarebbe stato un buon governo solo quando
i filosofi fossero diventati re o i re fossero diventati
filosofi. E quello di Marco Aurelio, in effetti, fu un
buon governo.
...:::Diego Fusaro:::...
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