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Vita e opera. Della
vita di Tito Lucrezio Caro rimane poco o nulla:
due righe di san Gerolamo ed un accenno (o forse due) di Cicerone,
entrambi ideologicamente avversi alla dottrina epicurea e, perciò,
quantomeno da considerare con ponderatezza.
Si è solitamente propensi a collocare la sua nascita tra
il 98 e il 96 a.C. e la sua morte nel 55. Il silenzio su questo
grande poeta e filosofo, che dovette provocare comunque un certo
scalpore nella Roma di allora, è tuttavia emblematico della
stigmatizzazione che dovette subire il De rerum natura,
lontano com'era sia dagli allora in voga poetae novi di ispirazione
alessandrina, sia dallo stoicismo eclettico di Cicerone, sia dall'esaltazione
della politica attiva o della guerra fatta da Catilina e Cesare.
Nato nei burrascosi tempi della guerra civile fra Silla e Mario,
probabilmente proveniva da Napoli o da Roma (dalla
sua opera e dal modo in cui si rivolge all'aristocratico Memmio
non si riesce però ancora a capire se fosse anch'egli un
aristocratico oppure un liberto) e altrettanto probabilmente trascorse
una vita tormentata da forti passioni, come si rileva in molti passi
del "De rerum natura". Va, tuttavia, respinta la teoria
di San Girolamo riguardo la presunta follia di L. causata
da un filtro d'amore: si pensa infatti che l'accusa sia
nata nel IV secolo al fine di screditare la polemica antireligiosa
del nostro poeta.
L'Epicureismo a Roma.
A parte il rigore intollerante di Catone il Censore, la cultura
e il pensiero greco erano penetrati, attentamente filtrati, nel
mondo romano. Naturalmente venivano eliminati tutti i risvolti del
pensiero greco pericolosi per la conservazione dello stato: non
a caso Cicerone trovava un elemento di forte contrasto nella dottrina
di Epicuro: l'epicureismo era visto come una dottrina che
portava alla dissoluzione della morale tradizionale soprattutto
perché, predicando il piacere come sommo bene, distoglieva
i cittadini dall'impegno politico per la difesa delle istituzioni.
Inoltre l'epicureismo, negando l'intervento divino negli affari
umani, portava molti svantaggi anche alla classe dirigente la quale
non poteva più usare la religione come strumento di potere.
Poco si conosce riguardo la penetrazione dell'epicureismo nelle
classi inferiori della società romana; probabilmente divulgazioni
dell'epicureismo circolavano presso la plebe attratta dalla facilità
di comprensione di quei testi e dagli inviti al piacere in essi
contenuti.
Per divulgare a Roma la dottrina epicurea, Lucrezio scelse la forma
del poema epico didascalico. Vi è, tuttavia, una contraddizione
nell'agire di Lucrezio: se da un lato condanna la poesia per la
sua stretta connessione col mito e per il fatto che può arrecare
infelicità agli uomini, dall'altro ne fa uso per divulgare
i principi della dottrina epicurea. Con la forma scelta da Lucrezio,
così alta e grandiosa, per divulgare il suo messaggio si
è pensato di dover spiegare anche l'atteggiamento di Cicerone
nei suoi confronti: evidentemente Cicerone non poteva accettare
gli ideali filosofici epicurei, ma forse è proprio l'eccezionalità
della forma poetica che ha spinto Cicerone a non tenere conto di
Lucrezio nella sua polemica all'epicureismo.
La filosofia di Lucrezio.
*Religio: Il De rerum natura si apre con l'invocazione
a Venere, dea dell'amore, unica a poter placare la sete di sangue
di Marte, dio della guerra: Lucrezio vive i turbolenti anni della
rivolta si Spartaco, della guerra di Gallia e forse anche delle
ostilità fra Cesare e Pompeo, e vorrebbe un ritorno alla
pace, ostacolata dalle ambizioni e dalla brama di potere della classe
politica romana. La via che Lucrezio trova per affrontare i mali
della vita è la dottrina di Epicuro, cantato come simbolo
della ratio umana, che fuga i miasmi della religione e della superstizione
e prende coscienza dello stato umano. All'inizio del poema Lucrezio
invita il lettore a non considerare subito empia la dottrina che
egli si accinge ad esporre, e a riflettere su quanto, al contrario,
sia davvero crudele ed empia la religione tradizionale (emblema
ne è il sacrificio di Ifigenia, la figlia di Agamennone sacrificata
dal padre per ingraziarsi gli dèi, o anche l'immolazione
del vitellino e la descrizione della madre che lo cerca, disperata):
la religione è in grado di sopprimere e condizionare la vita
di tutti gli uomini immettendo nel loro cuore un seme di paura:
ma se gli uomini sapessero che dopo la morte non c'è più
nulla, smetterebbero di essere succubi della superstizione religiosa
e dei timori che essa comporta. Si vede, quindi, già dai
primi versi come Lucrezio offra un nesso tra superstizione religiosa,
timore della morte e necessità di una speculazione scientifica
per ovviare a questo timore: per lui, dunque, questi timori nascono
dall'ignoranza delle leggi meccaniche che governano il mondo. Con
parecchi secoli di anticipo su Marx, Lucrezio si accorge che la
religione è l' 'oppio del popolo', e ha portato l'uomo a
compiere azioni imperdonabili. L'accesa lotta alla religio è
certamente la parte piú eterodossa della filosofia di Lucrezio:
Epicuro non aveva cosí marcate tendenze atee, auspicava piuttosto
un ritorno ad un culto piú semplice. Lucrezio si scaglia
con ardore contro la religione, contro quella meschina invenzione
umana che 'potè suggerire tanto male' (tantum potuit suadere
malorum) e che con Epicuro si è trovata 'calpestata' (religio
pedibus subiecta). I timori degli uomini di fronte alla
morte e alla religione sono del tutto vani e analoghi alla
paura dei bambini di fronte al buio.
*Natura: Per insegnare agli uomini come la dottrina
epicurea possa servire da tetrafarmaco, e combattere cioè
la paura per morte, malattia, dolore e dei, Lucrezio inizia la sua
descrizione della natura. Tutto ciò che ci circonda è
formato da piccolissimi granelli indivisibili, gli atomi, i semina
rerum o genitalia corpora come li chiama il poeta per enfatizzare
il loro originario ruolo di creazione. Ogni pianta, pietra, uomo
è formato da atomi, e cosí persino l'animo umano;
ed ogni cosa è destinata a nascere e disfarsi in eterno;
solo gli atomi sono immortali e non i loro aggregati. In questo
mondo, regolato dalle leggi meccaniche che governano le particelle
elementari, c'è comunque spazio per la libertà: all'origine
dell'universo c'è una deviazione del moto atomico, un clinamen,
che ha dato il via alla formazione delle cose ed al gioco infinito
della natura.
*Morte: Dopo aver descritto la natura della materia
l'autore invita i suoi lettori (rappresentati da Memmio) ad accettare
la morte come qualcosa di ineluttabile e comunque esterna all'uomo:
quando noi siamo non c'è morte, quando c'è la morte
noi non siamo: invece di preoccuparsi della propria fine l'uomo
dovrebbe occuparsi della vita e non sprecarla poltrendo od inseguendo
stupide ambizioni (E tu esiterai, e per di piú t'indignerai
di dover morire? Tu cui è morta la vita mentre ancora sei
vivo e vedi e consumi nel sonno la parte maggiore del tempo, e pure
da sveglio dormi e non smetti di vedere sogni, e hai l'animo tormentato
da vane angosce, né riesci a scoprire qual sia cosí
spesso il tuo male, mentre ebbro e infelice ti incalzano da ogni
parte gli affanni e vaghi oscillando nell'incerto errare della mente
- III, vv. 1045-1052).
*Sensi e amore: Il IV libro tratta dei sensi,
della loro veridicità, di come possano essere turbati. I
sensi, per Lucrezio, non fanno altro che captare dei flussi atomici
particolari: sentiamo perché arrivano degli atomi alle nostre
orecchie e vediamo perché ne arrivano altri ai nostri occhi.
È dai sensi che hanno origine ogni forma di conoscenza e
la ragione umana, non crollerebbe soltanto tutta la ragione, ma
anche la vita stessa rovinerebbe di schianto, se tu non osassi fidare
nei sensi (IV, vv. 507-8). Anche stavolta, dopo aver cercato di
trasmette l'atarassia epicurea, Lucrezio si allontana dalla calma
del suo maestro e descrive con profonda partecipazione quanto piú
può turbare i sensi, le passioni amorose e carnali, a cui
dedica i vv. 1026-1287, di cui diamo qualche saggio: Brucia l'intima
piaga (l'amore) a nutrirla e col tempo incarnisce, divampa nei giorni
l'ardore, l'angoscia ti serra, se non confondi l'antico dolore con
nuove ferite, e le recenti piaghe errabondo lenisca d'instabili
amori, e ad altro tu possa rivolgere i moti dell'animo (vv. 1068-1073);
Infatti proprio nel momento del pieno possesso, fluttua in incerti
ondeggiamenti l'ardore degli amanti che non sanno di cosa prima
godere con gli occhi o con le mani. Premono stretta la creatura
che desiderano, infliggono dolore al suo corpo, e spesso le mordono
a sangue le tenere labbra, la inchiodano coi baci, perché
il piacere non è puro, e vi sono oscuri impulsi che spingono
a straziare l'oggetto, qualunque sia, da cui sorgono i germi di
quella furia (vv. 1076-1083). Dopo aver condannato l'amore come
sofferenza (v.vv. 1068-1074), furore (vv. 1079-1083), amarezza (v.
1134), rimorso (v. 1135), gelosia (vv. 1139 e segg.), cecità
(v. 1153), miseria (v. 1159) ed umiliazione (vv. 1177-1179), Lucrezio
cambia tono: "È proprio lei che talvolta con l'onesto
suo agire, / l'equilibrio dei modi, la nitida eleganza della persona,
/ ti rende consueta la gioia d'una vita comune. / Nel tempo avvenire
l'abitudine concilia l'amore; / ciò che subisce colpi, per
quanto lievi ma incessanti, / a lungo andare cede, e infine vacilla".
Appare diverso, teneramente malinconico, più paterno ("E
spesso alcuni [...] trovarono fuori [di casa] una natura affine,
così da poter adornare di prole la loro vecchiaia",
vv. 1254-6). Personalità contrastata fra ratio e furor, Lucrezio,
come scrisse Schwob, "conoscendo esattamente la tristezza e
l'amore e la morte, continuò a piangere e a desiderare l'amore
e a temere la morte".
*Civiltà e peste: Nel libro seguente il
poeta descrive dettagliatamente la formazione del mondo e la nascita
della civiltà: I re cominciarono a fondare città e
a stabilire fortezze, per averne difesa e rifugio a sé stessi,
e divisero i campi e il bestiame, assegnati a seconda della forza,
dell'ingegno e della bellezza di ognuno (V, vv. 1008-1111), senza
però cadere in tentazioni positiviste: con la nascita della
civiltà nascono anche l'ambizione e la cupidigia, contro
cui Lucrezio si scaglia con forza: Lascia dunque che si affannino
invano e sudino sangue coloro che lottano sull'angusto sentiero
dell'ambizione, poiché sanno per bocca d'altri e dirigono
il loro desiderio ascoltando la fama piuttosto che il proprio sentire;
né questo accade e accadrà piú di quanto è
accaduto in passato (vv. 1131-1135). Insomma, Lucrezio pone molta
attenzione sul progresso dell'uomo e ne delinea gli effetti positivi
e quelli negativi. Tra questi ultimi ha molto rilievo il fatto che
il progresso ha portato con sé una grave decadenza morale
e il sorgere di bisogni innaturali. Epicuro aveva infatti prescritto
di evitare i desideri innaturali e non necessari, e di badare solo
al soddisfacimento di quelli necessari: gli unici requisiti essenziali
per essere un uomo veramente felice sono il non provare la fame,
la sete e il freddo. Bisogna abbandonare gli sprechi inutili per
indirizzarsi verso i piaceri naturali. Anche nel discusso finale
dell'opera, la descrizione della tremenda peste di Atene,
il poeta si distacca dalla pretesa leggerezza dell'epicureismo,
per immergersi completamente nella malattia e nelle morti: probabilmente
l'opera non doveva avere questo finale (è comunque appurato
che dovesse essere il sesto l'ultimo libro e non moltissimi versi
alla chiusura del poema), mancando la descrizione delle sedi degli
dei e la spiegazione di come l'epicureismo possa aiutare ad affrontare
persino i mali piú oscuri come la peste; il passo rimane
comunque emblematico del tormentato animo lucreziano, che in questa
descrizione è piú vicino al gusto dell'orrido di stoici
come Seneca o Lucano che non al calmo filosofo del Giardino.
*Politica: Seguendo gli insegnamenti del maestro
Epicuro ('vivi al di fuori della sfera politica'),
Lucrezio rifiuta la politica e vede in essa una fonte di affanni
e di tormenti per l'anima umana. Il saggio deve, inoltre, abbandonare
le inutili ricchezze e allontanarsi, poi, dalla vita politica, dedicandosi
a coltivare lo studio della natura con gli amici più fidati,
somma ricchezza della vita umana. Lucrezio sottolinea la vacuità
e l'inutilità di ogni forma di potere: solo distanti dalla
vita politica si può contemplare il mondo serenamente, e
guardare tutto e tutti con occhio distaccato, così come è
soave guardare dalla terraferma il mare in tempesta e gli uomini
che vengono tormentati, compiacendosi dei mali da cui si è
indenni.
Lo stile. Se le teorie
epicuree vedevano nella poesia un passatempo per allietare l'animo,
Lucrezio la considera come il miele che, cosparso sull'orlo del
bicchiere, aiuta il bambino a prendere la medicina ( nam veluti
pueris abstinthia taetra medentes / cum dare conantur, prius oras
pocula circum / contingunt mellis dulci flavoque liquore - lib V
vv. 11-13): la sua poesia è scientifica, chiara ( obscura
de re tam lucida pango / carmina ), in netta rottura coi vatum terriloquis
dictis di molti poeti che l'hanno preceduto (anche se può
sembrare strano che la ricerca della chiarezza si accompagni ad
un frequente uso di arcaismi e grecismi). Il commento di Cicerone,
pensatore notoriamente avverso all'epicureismo, riguardo il De rerum
natura testimonia che egli ammirava in Lucrezio non solo l'acutezza
del pensatore, ma anche le grandi capacità di elaborazione
artistica. Anche lo stile, come l'organizzazione complessiva della
materia da trattare, doveva piegarsi al fine di persuadere il lettore.
Si spiegano sotto questa luce le frequenti ripetizioni che, a una
prima vista, potevano sembrare delle semplici imperfezioni stilistiche.
Anche l'invito all'attenzione del lettore è ripetuto spesse
volte. Non bisogna trascurare inoltre che la lingua latina mancava
di alcuni vocaboli tecnici e non era quindi in grado di esprimere
certi concetti della filosofia greca, Lucrezio si trovò costretto
così a dover inventare nuove perifrasi e nuovi vocaboli:
il poeta sfrutta molti vocaboli della poesia arcaica e molti altri
ne crea ex novo. Vi è inoltre un uso abbastanza frequente
di allitterazioni, assonanze, costrutti arcaici, infiniti passivi
in -ier , il prevalere della desinenza bisillabica -ai e l'uso dell'enjambement.
Lucrezio dimostra di avere una buona conoscenza della letteratura
greca, come testimoniano le riprese da Omero e Platone e la descrizione
della peste di Atene. Il registro del poema è quello dell'entusiasmo
poetico posto a servizio della didattica: ne scaturisce uno stile
severo, capace di durezze ed eleganze, pronto alla commozione ma
anche all'invettiva profetica: comunque sempre grandioso.
Considerazioni. Prima del De rerum natura, la
letteratura romana non aveva prodotto opere di poesia didascalica
di grande impegno; d'altra parte, Lucrezio si differenzia notevolmente
rispetto ai poeti ellenistici in quanto ha come unico scopo quello
di descrivere e spiegare ogni aspetto importante della vita dell'uomo
e del mondo, di convincere il lettore della validità della
dottrina epicurea. La tradizione ellenistica ricerca invece la sua
ispirazione negli argomenti tecnici, quasi idealizzanti. La consapevolezza
dell'importanza ella materia e delle informazioni date determina
un particolare tipo di rapporto tra Lucrezio e il lettore discepolo:
questo viene continuamente esortato e minacciato affinché
segua con rettitudine i precetti e il percorso di felicità
imposti dall'epicureismo. Un' ulteriore differenza tra la poesia
didascalica ellenistica e quella di Lucrezio sta nel fatto che quest'ultimo
ricerca le cause dei fenomeni, e propone al lettore una verità,
una ratio sulla quale è obbligato ad esprimere un giudizio,
mentre la prima si limita a descrivere in maniera empiristica tali
fenomeni. Per Lucrezio non vi è nulla di cui meravigliarsi
nell'osservazione di questo o quel fenomeno poiché esso è
connesso necessariamente con una regola oggettiva: non può
trarne stupore chi abbia capito il funzionamento di tale regola.
Alla retorica del mirabile egli sostituisce la retorica del necessario
(necesse est è una formula molto usata nel poema di Lucrezio).
I toni grandiosi e gli scenari sublimi del poema sono pensati per
spronare il lettore a scegliere anch'egli un modello di vita forte
e alta: il lettore di Lucrezio è chiamato a trasformarsi
in eroe, a farsi pronto e forte come la poesia che egli legge. Il
destinatario ideale di Lucrezio è colui che sa adeguarsi
alla forza sublime di un'esperienza sconvolgente: in questo modo
la dottrina degli atomi è descritta non solo in sé,
ma anche nelle reazioni di vertigine che può provocare nel
lettore. Il rapporto docente allievo diventa nel De rerum natura
un centro di tensione e un tema problematico; basta pensare per
contrasto a quanto fosse pacifica la struttura didascalica dei poemi
ellenistici. Una delle caratteristiche principali del poema è
la rigorosa struttura argomentativa. Lucrezio usa anche il sillogismo.
Il libro che testimonia la perizia argomentativa di Lucrezio è
il III, dedicato alla confutazione del timore della morte. Pur avendo
dimostrato scientificamente la mortalità dell'anima, Lucrezio
si rende conto che ciò non basta per distogliere l'uomo dalla
paura di lasciare la propria vita. Al fine di convincerlo Lucrezio,
nella parte finale del libro, dà la parola alla Natura stessa,
che si rivolge all'uomo; si tratta di una delle più celebri
prosopopee della letteratura latina: 'Perchè la morte ti
strappa questi gemiti? Perchè se hai potuto godere a tuo
piacimento della vita trascorsa,se tutti questi godimenti sono stati
come radunati in un vaso forato,se non sono scorsi via e perduti
senza profitto, perchè, come un convitato sazio, non ritirarti
dalla vita? Perchè, povero sciocco, non prenderti di buona
grazia un riposo che nulla turberà? Se, invece, tutto ciò
di cui hai a lungo goduto é trascorso in pura perdita, se
la vita ti é di peso, perchè volerla prolungare di
un tempo che a sua volta deve terminare in una triste fine e dissiparsi
tutto senza profitto? Non posso immaginare ormai altre nuove invenzioni
per farti piacere: le cose vanno sempre allo stesso modo. ' In questo
libro è evidente il contatto di Lucrezio con la letteratura
diatribica (ossia l'accorgimento di far parlare dei personaggi fittizi
di particolare interesse). I critici sono molto confusi
riguardo al binomio autore e narratore: benché siano la stessa
persona non devono essere sovrapposte meccanicamente. Come visto,
un'attenta lettura dell'opera induce a constatare che la tensione
dell'autore è sempre rivolta a conseguire il convincimento
razionale del lettore, a trasmettergli i precetti di una dottrina
di liberazione morale. Lucrezio è fortemente contrario
alle insensatezze della passione amorosa poiché questa non
è certamente un bisogno necessario e deve essere, di conseguenza,
esclusa dai piaceri da conseguire. Probabilmente avranno agito anche
stimoli culturali diversi, quali la volontà di contrapporsi
all'ideologia erotica dei neoteroi . La volontà di Lucrezio
è allora, come già detto, quella di ricercare un indirizzo
stilistico elevato che accolga nella sua forma sublime gli elementi
della satira e della diatriba.
Riassunto del De rerum natura.
La più grande opera di Lucrezio, il De rerum natura, fu scritta
in esametri e suddivisa in sei libri: probabilmente non fu finita
o, in qualsiasi caso, manca di una revisione. Il poema è
dedicato a Gaio Memmio, che fu amico e patrono di Catullo e Cinna.
San Girolamo asserisce che il "De rerum natura" fu rivisto
e pubblicato da Cicerone pochi anni dopo la morte di Lucrezio. La
data di composizione non è sicura: probabilmente fu composta
nel periodo successivo al 58, anno in cui fu pretore Memmio. Il
motivo del poema, come spiega lo stesso Lucrezio, è la diffusione
della filosofia epicurea a Roma; un'impresa ardua, tanto più
per il fatto che la lingua latina aveva un vocabolario molto ristretto
e Lucrezio si trova in difficoltà nel tradurre in latino
parole greche centrali nella filosofia di Epicuro e deve ricorrere
a perifrasi nuove, quali semina, primordia o corpora prima per designare
gli atomi. Ma perché allora Lucrezio, per impartire insegnamenti
filosofici, si avvale della poesia? Lucrezio spiega che come i genitori
somministrano le medicine ai bambini cospargendole di miele per
renderle meno sgradite, così lui intende fare con la filosofia:
vuole cioè cospargere col miele delle Muse una dottrina apparentemente
amara, che riduce l'esistenza dell'uomo al mondo terreno. Quest'idea,
di sfuggita, è ripresa anche da Torquato Tasso in La Gerusalemme
liberata , libro I : E che il vero condito in mille versi, / i più
schivi allettando ha persuaso . Il poema è chiaramente
articolato in tre gruppi di due libri (diadi): nel I libro,
dopo l'inno a Venere, personificazione della forza vivificatrice
della natura e immagine della contemplazione razionale della bellezza
della natura, sono spiegati i princìpi generali della filosofia
epicurea: gli atomi, le parti ultime della materia (indivisibili,
immutabili, infinite), muovendosi nel vuoto infinito si aggregano
in modi diversi e danno vita a tutte le realtà esistenti;
interviene poi la disgregazione. Nascita e morte sono costituite
da questo processo di continua aggregazione e disgregazione: a rigor
di logica, spiega Lucrezio, nulla muore, nulla nasce e tutto si
conserva. Alla fine del I libro Lucrezio fa una carrellata di teorie
naturalistiche contrapposte a quella di Epicuro, confutandole una
ad una: Eraclito, Empedocle, Anassagora. Nel II libro
viene illustrata la teoria del clinamen, la caratteristica più
originale di Epicuro rispetto a Democrito e Leucippo: il clinamen,
ovvero la deviazione degli atomi dal loro corso, svolge due funzioni
importantissime. Se non ci fosse, da un lato, il mondo non si sarebbe
potuto formare: esso è infatti dato dallo scontro degli atomi
e dalla loro successiva aggregazione, ma se essi cadessero verticalmente
nell'infinito non potrebbero mai incontrarsi; con il clinamen, invece,
per una qualche legge che sfugge al rigido determinismo, può
succedere che qualche atomo si allontani dal suo moto verticale
e vada a scontrarsi con altri atomi. La teoria del clinamem, poi,
rende possibile il libero arbitrio dell'uomo, il quale è,
per Epicuro e per Lucrezio, artefice del proprio destino: l'idea
che nel mondo non tutto vada secondo necessità, secondo leggi
rigidamente determinate è dimostrato dal fatto che gli atomi
subiscano il clinamen (deviazione) e si scontrino, dando origine
al mondo; viene così garantito un margine di libertà
all'agire umano. Il III e IV libro costituiscono
la seconda coppia che espone l'antropologia epicurea: il III spiega
come l'anima e il corpo siano entrambi costituiti da atomi e, pettanto,
entrambi destinati a morire. Tuttavia si tratta di atomi diversi:
quelli dell'anima sono più leggeri e lisci. Il IV libro tratta
la gnoseologia epicurea: entra in gioco la teoria dei simulacra
, teoria secondo la quale alcuni atomi si staccano dall' oggetto
conosciuto per colpire i sensi del soggetto conoscente. I simulacra
, tra l'altro, servono anche per spiegare le immagini che vediamo
nei sogni e sono anche all'origine della reazione dei dormienti
di fronte all'immagine degli oggetti del loro desiderio. Lucrezio
dà anche una celebre spiegazione della passione d'amore,
spiegando come essa altro non sia che un'attrazione fisica, meramente
materiale. La terza coppia di libri prende in esame la cosmologia:
il libro V espone la mortalità del mondo
(uno degli infiniti tra i mondi esistenti), analizzandone il processo
di formazione. Lucrezio tratta anche, in questo libro, del moto
degli astri e delle sue cause. Il VI libro, invece,
si sforza di dare spiegazioni assolutamente naturali dei vari fenomeni
fisici (i fulmini, i terremoti, ecc), estromettendone la volontà
divina, che non influisce minimamente negli affari degli uomini.
Sulla descrizione dei vari eventi catastrofici si innesta la descrizione
della terribile peste scatenatasi ad Atene nel 430 e già
narrata splendidamente da Tucidide, con la quale l'opera si chiude
bruscamente. Ogni coppia si chiude con un quadro impressionante
di dissoluzione. All'attacco di ogni libro, invece, c'è una
celebrazione di Epicuro ( ille deus fuit ripete Lucrezio), del suo
coraggio intellettuale e del suo ruolo storico (e qui Lucrezio evidentemente
intende il riferimento anche come rivolto a se stesso). Come detto,
il "De rerum natura" probabilmente non ha ricevuto un'ultima
revisione: il poema avrebbe dovuto chiudersi con una nota serena,
in corrispondenza con il gioioso inno a Venere, e non con il terrificante
quadro della peste di Atene.
...:::Diego Fusaro:::...
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