Vita.
La formazione e l'ingresso precoce nel mondo
della poesia. P. nacque da agiata famiglia di rango equestre
che però, dopo la guerra perugina del 41, perse buona parte
dei suoi averi. Morto il padre, fu condotto dalla madre a Roma,
dove fu avviato alla carriera forense. Ma P. rivelò precoce
attitudine per la poesia: già al 28 a.C. risale la pubblicazione
del suo I libro di elegie, il cosiddetto "monobiblos" ("libro
unico"), intitolato dal nome della donna amata (Cynthia), secondo
la tradizione dei poeti alessandrini.
Il successo che gli arrise spinse Mecenate ad ammetterlo
nel suo celebre "circolo" (ma quella di P. fu, come vedremo in seguito,
un' "integrazione difficile" [A. La Penna] al regime). Qui, P. conobbe
i più importanti poeti dell'epoca: da Virgilio a Ovidio,
al quale era solito recitare i propri "roventi" ("ignes")
versi. Difficili, invece, i rapporti con Orazio, evidentemente a
causa dei molto diversi ideali poetici. Tibullo e P. sembrano poi
ignorarsi del tutto (gelosia reciproca?).
Il rapporto con Cinzia. Uno dei primi amori
cantati dal poeta fu la giovane schiava Licinna, ma forse l'unico
avvenimento davvero importante nella sua vita fu l'incontro con
Cinzia. Hostia era il vero nome della donna, come ci riferisce Apuleio:
il nome Cinzia sembra collegarsi con Apollo e Diana, che nacquero
a Delo, sul monte Cinto (si ricordi, a proposito, anche la Delia
di Tibullo). Cinzia, una fascinosissima donna, forse più
grande di P., dagli occhi neri e dai capelli fulvi, colta e mondana,
elegante, amante della danza, della poesia, ma anche di facili avventure
d'amore (e dunque costituzionalmente infedele), dominò incontrastata
nell'animo del poeta, nonostante il tormento continuato di un rapporto
reso difficile dalla stessa eccessiva intensità della passione.
Si amarono, talora "nevroticamente", per quasi
cinque anni. Cinzia morì intorno al 20 a.C., ma, dopo la
sua scomparsa, la presenza e il desiderio di lei si fecero ancora
più acuti nella mente del poeta. Dunque, una vera e definitiva
"rottura" nel rapporto non ci fu mai: nonostante le due ultime elegie
del III libro, quelle che vorrebbero segnare il "discidium",
la separazione definitiva; nonostante la stessa morte di lei.
Opera
e contenuti.
P. compose 4 libri di "elegie" (per un totale
di 92 componimenti):
- Come "monobiblos", fu pubblicato
- come detto - nel 28 il I libro (22 elegie); il suo contenuto
è omogeneo: soprattutto, legami di amicizia e rivalità,
ma su tutto domina la figura ora realisticamente sensuale, ora idealizzata
di Cinzia, (col cui nome esso significativamente si apre), in una
vicenda subito segnata da reciproche passioni e gelosie, tradimenti
e riconciliazioni. Il tono prevalente è, tuttavia, ancora
quello dell'abbandono malinconico e di un'atmosfera sognante.
- Tra il 28 e il 25 P. compose, invece, il II
libro (34 elegie). <<Rispetto al "monobiblos",
questo è meno omogeneo nel contenuto ed è anche il
libro più problematico sia per lo stato in cui è giunto
il testo, sia per alcune sue caratteristiche: è sempre dominante
il tema amoroso, ma le situazioni sono spesso esasperate e tese,
con un procedere a sbalzi, anche all'interno della stessa elegia,
che porta alcuni interpreti a postulare lacune e/o trasposizioni
di versi. Ma per altri, tutto ciò potrebbe essere voluto
dallo stesso poeta: manifestazione, nella scrittura, di uno stato
d'animo frenetico ed appassionato.
Si nota, infine, anche una più marcata accentuazione
delle reminiscenze poetiche ed erudite, segno anche questo del carattere
più impegnativo di questo libro (anche materialmente, il
numero dei versi è circa il doppio rispetto al I). Ma soprattutto,
si segnala l'incontro "ufficiale" con Mecenate, che certo operò
per spingere anche P. verso la poesia celebrativa>> [R. Gazich,
libero adattamento]: da ciò si spiega il fatto che il libro
si apra con una "recusatio", un garbato rifiuto da parte
del poeta di coltivare quel tipo di poesia.
- P. pubblicò il II libro forse insieme
col III (25 elegie) nel 22. Quest'ultimo segna un mutamento
decisivo, rispetto ai primi due: Cinzia è sempre presente,
coi suoi umori e coi suoi amori, coi suoi abbandoni e le sue ripulse,
ma accanto a questi temi "soliti" appaiono, ben rilevati, altri
motivi: <<primo fra tutti, quello dell'ambiziosa consapevolezza
del proprio valore di poeta e una più decisa adesione al
tipo di poesia dotta e raffinata che era stata di Callimaco e di
Fileta. Come ha ben chiarito il Fedeli, più che dell'amore
P. ora s'interessa dello "status" di poeta d'amore, inteso
sia come missione poetica, che come stile di vita, e lo si vede
nella compatta e solenne dichiarazione di poetica delle 3 elegie
proemiali, e anche nelle 2 successive, che trattano dell'opposizione
fra poesia d'amore e l'avidità di conquista e di ricchezza.
Notevoli, inoltre, anche i due epicedi (= canti funebri) per il
naufrago Peto e per Marcello, nipote di Augusto morto a Baia nel
23. Sul fronte della passione per Cinzia, inoltre, c'è un
calcolato accrescersi della tensione, fino all'ultima elegia del
libro, che segnerebbe il distacco definitivo [il "discidium"]
tra i due>> [R. Gazich, libero adattamento]
Non mancano, infine, motivi più scopertamente
legati alle fortune e all'ideologia del regime augusteo: l'augurio
per la spedizione contro i Parti [IV], la promessa a Mecenate di
una poesia più "impegnata" [IX; preludio, questo, al libro
successivo], un fiero elogio di Roma e dell'Italia [XXII].
- Il IV libro (11 elegie), che contiene
le cosiddette 5 elegie "romane", volte a cantare leggende
e riti dell'antichità romana, collegate con culti o luoghi
particolari (P. mostra dunque di accogliere finalmente, anche se
con tutta misura, le richieste di Mecenate), fu probabilmente pubblicato
nel 16 a.C., data a cui risalgono gli eventi cui vi si fa riferimento;
i temi cantati in queste elegie "eziologiche" (ma non servilmente
celebrative) sono: il dio Vertumno, il tradimento della vergine
Tarpeia, la dedica del tempio di Apollo Palatino, la leggenda di
Ercole e Caco, il culto di Giove Feretrio (numerosi spunti, di forma
e di contenuto, ne trarrà l'Ovidio dei "Fasti").
Anche le altre elegie risultano frutto di maggiore
estensione e di maggiore impegno rispetto a tutte le precedenti
altre. Ma ci sono anche due elegie dedicate all'amore coniugale:
in particolare, l'XI, che la tradizione suole denominare "regina
elegiarum", si risolve in una celebrazione delle antiche virtù
delle matrone romane, nelle nobili parole che, dopo la morte, Cornelia
rivolge al marito Emilio Paolo. La stessa Cinzia vi ritorna ancora,
due volte: una come ombra [7], ma sempre amara e aggressiva, che
appare in sogno al poeta e lo rimprovera di essersi dimenticato
di lei e dei momenti felici vissuti insieme; un'altra ancora in
vita [8], gelosa e vittoriosa (ha "sgamato" P. con due meretrici,
ma riesce a riportarlo a sé dopo una violenta sfuriata),
in una sorta di elegia trionfale.
Il derivante carattere "composito" di questo libro
è stato, infine, variamente interpretato, ora come voluta
scelta di P., ora come necessaria conseguenza dell'essere una raccolta
in realtà (secondo alcuni) postuma.
Considerazioni.
Poesia e amore. Poesia e amore sono i due
elementi fondamentali e inscindibili in P.: il poeta si sente vittima
d'amore, e proclama il suo "servitium Amoris", la sua dedizione
totale alla passione. Questa è una precisa scelta di vita,
lontana dalle tradizionali ambizioni del foro e della politica,
una vita di "nequitia" di cui il poeta è consapevole;
ed è pure una scelta di poesia e di poetica (particolarmente
illuminante, al riguardo, è la "programmatica" I elegia del
I libro): di una poesia che esprima una vita dedita completamente
all'amore, e che dunque sia idonea a far innamorare la donna, e
di una poetica, quella callimachea, che con la sua "brevitas"
e l'impiego del mito meglio si presti agli intenti del poeta elegiaco.
Cinzia sangue e carne… A differenza di altri
elegiaci più - come dire - "fantasticanti", P. ha poi un'immaginazione
corposa, che ama le tinte intense, i bruschi trapassi: come in quelli,
l'amore è certamente al centro della sua vita e del suo canto,
ma è un amore fatto soprattutto di passione e di tormento,
assoluto e coinvolgente, che si proietta oltre il reale, oltre la
vita stessa, sino a superare le barriere della morte, sino a farsi
mito.
Cinzia è innanzitutto splendida presenza
fatta di carne, che ossessiona la fantasia e il ricordo e alimenta
la gelosia di P.; quella donna che pure, teneramente nella mente
del poeta, da sola costituiva "la sua casa, i suoi genitori", ogni
possibilità di gioia per la sua vita. Ma raramente in lui,
come detto, l'amore è appunto gioia e tenerezza, quasi sempre
è dolore: egli vive questo sentimento in modo drammatico,
come una tormentosa passione che lo sfianca.
… ma anche "mito". Le "Elegie
romane". Pure per altra via la presenza di Cinzia diviene,
nel poeta, memoria grandiosa: attraverso il mito, preziosa eredità
della poetica alessandrina: ma, a differenza di quello, il mito
usato da P. non è inteso puramente come brillante e talora
divertito sfoggio di erudizione: in lui, la realtà stessa,
l'intero suo mondo degli affetti viene trasfigurato e, per così
dire, eternato dall'atmosfera incantata del mito. Sotto questo rispetto,
la critica recente è portata a non ravvisare una reale frattura
(spirituale e artistica) tra il P. cantore d'amore e il P. che canta
antichi miti romani e italici.
Come sappiamo, infatti, collegandosi programmaticamente
agli "Aitia" di Callimaco (addirittura come "Callimaco romano" P.
si presenta nell'elegia proemiale del IV libro), P. - nelle "Elegie
romane" (la II, IV, VI, IX, X del IV libro) - rivive le origini
di storie e leggende dell'antica Roma, ma con una visione finale
del mito che certamente supera gli angusti ambiti entro cui il poeta
di Cirene lo aveva costretto. Al "mito" di Cinzia allora subentra
(o, meglio, addirittura s'alterna) quello di Roma con un atteggiamento
poetico sostanzialmente coerente: perché "mito" è
per P., sempre e comunque, elevare la realtà attuale (qualsiasi
realtà, storica o intima) in un passato esemplare che la
renda in certo modo nobile ed eterna. Inoltre, <<[esso] suscita
reminiscenze di cultura ed arte, il che doveva piacere in una società
raffinata>> [L. Alfonsi].
Lingua e stile. <<All'intensità
sentimentale dell'elegia properziana corrisponde una temperie stilistica
densa, fatta di scorci, di trapassi arditi, in una concentrazione
talora estrema, che costringe il lettore a indugiare di continuo
per cogliere la pregnanza spesso oscura di un'espressione. A termini
dotti e ricercati s'alternano, nei contesti più realistici,
espressioni del linguaggio quotidiano, in una tensione stilistica
ricca di ambiguità. E' arduo talora cogliere appieno l'intera
valenza connotativa di un'espressione, come è difficile,
almeno all'inizio, individuare, nell'intreccio delle sue articolazioni,
la struttura di un'elegia properziana: è una tecnica eminentemente
composita, nella quale sembra tradursi l'animo stesso, appassionato
e contorto, del poeta. Di qui gli inizi improvvisi, assai suggestivi,
delle sue elegie; di qui i passaggi sintattici e concettuali repentini
e, almeno in apparenza, lontani da ogni coerenza logica. Le sue
espressioni hanno la concentrazione incisiva delle epigrafi, una
densità di idee e di allusività che sembra di fiamma
(come li definì Ovidio), ma anche, all'occasione, una certa
patina di leggera ironia, che sembra svelare, in alcuni momenti,
il gioco del poeta, ondeggiante tra fantasia e realtà, la
sua capacità di distaccarsi dall'oggetto della sua passione,
e di ragionare, un po' divertito, sulla passione stessa. Il tutto
con un linguaggio poetico elevato, informato a una dotta eleganza.>>
[C. Salemme, libero adattamento]
...:::Bukowski:::...
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