Vita.
Un provinciale che cantò la gloria e
il declino di Roma. La vicenda biografica di L. si situa nella
fase acuta della crisi che porta al cambiamento politico ed istituzionale:
la lunga fase delle guerre civili, il secondo triumvirato e l'ascesa
di Augusto. Eppure - pur provenendo da nobile famiglia - lo storico
non partecipò alla vita pubblica: tuttavia, venuto a Roma,
si guadagnò notevole prestigio, divenendo amico di Augusto
e poi precettore di Claudio, di cui intese ed assecondò la
propensione alla storiografia. I suoi interessi si rivolsero dapprima
alla filosofia, ma ben presto (27-25 a.C.) si concentrarono interamente
sulla sua opera storica.
Opera.
L. compose qualche dialogo filosofico e una monumentale
opera storica in 142 libri (ma forse il piano originario doveva
comprenderne 150): "Ab Urbe condita libri" ("Libri dalla
fondazione di Roma", secondo la tradizione manoscritta, dallo stesso
autore chiamati invece "annales" [con riferimento alla divisione
interna del materiale anno per anno] o semplicemente "libri"),
che prendeva appunto le mosse dalla fondazione di Roma fino al 9
a. C. o, forse, al 9 d. C., anno della morte di Druso, fratello
di Tiberio, in una spedizione militare.
Il lavoro venne successivamente diviso per decadi
(ovvero, per gruppi di 10: tale scansione forse rispettava le fasi
di pubblicazione), delle quali sono a noi pervenute:
la I (dalla venuta di Enea alla III guerra sannitica,
293 a.C.);
la III (sulla II guerra punica, 218-200 a.C.);
la IV (fino alla morte di Filippo il Macedone,
179 a.C.);
la prima metà della V (fino al trionfo di
Paolo Emilio sulla Macedonia, 167 a.C.).
Ossia in tutto 35 libri. In verità, pare
che L. abbia seguito vari criteri, pubblicando "partes singulae
tanti operis", ora decadi appunto, ora pentadi, ora raggruppando
i libri relativi a determinati eventi (ad es., "Belli civilis libri")
con singole prefazioni ed acconce intitolazioni o sottointitolazioni.
E ciò spiega anche qualche inevitabile contraddizione o incertezza
e ripetizione. A tutta l'opera fu poi premessa una "praefatio"
generale, che ne illustra le idee ed i caratteri fondamentali.
Il contenuto dei libri perduti è, infine,
noto attraverso brevi estratti ("epitomae") e riassunti (le
"Perìochae") e commenti (fra cui quello di Floro),
che all'opera stessa ben presto seguirono.
Considerazioni.
Tra storia, oratoria e poesia. La narrazione
di L., non priva di difetti dal punto di vista storiografico, si
raccomanda per il vivo senso drammatico e per il colorito poetico
(e il piacere della lettura pare davvero essere l'obiettivo primario):
egli, in effetti, sembra realizzare in sé, abbastanza esattamente,
quell'equilibrio fra scienza e retorica che costituisce il vero
ideale dell'epoca augustea: preoccupazione, persino passione della
verità, ma anche desiderio di comporre opere in grado di
competere, in quanto a bellezza, con i prodotti della poesia e dell'arte.
L’opera, tesa a glorificare la "virtus"
romana e l’ideale della "pax augusta", attraverso il punto
di vista di un nostalgico degl’ideali repubblicani (solo il grande
passato di Roma indica per lui la via a chi intendesse rinnovare
i fasti dell’Urbe), si presenta invero, più che come un’opera
storica in senso stretto, piuttosto come un grande poema epico -
a sfondo morale - in prosa (sostanzialmente non differente dalla
commossa epopea virgiliana), in quanto concede largo spazio agli
elementi appunto epici, come l’eroismo, la volontà degli
dei, la missione di Roma, a scapito - spesso - dell’esame puntuale
dei fatti.
L'amore e la celebrazione per Roma. Ciò
non vuol dire che L. non fosse uno storico fondamentalmente "onesto",
e tanto meno – almeno per quanto già detto – che svolgesse
una propaganda di sostegno acritico al regime augusteo: anzi, se
con esso vi erano punti di contatto (ad es., nel culto della "res
publica"), L. se ne allontanava decisamente rispetto all’ideologia
"carismatica" e assolutistica (lo stesso Augusto gli rimproverava,
amichevolmente, di essere rimasto, in fondo al cuore, un "partigiano
di Pompeo"). In effetti, dapprima restìo, col tempo lo storico
si "piegò" ad Augusto, quando s'accorse che l'impero era,
ad ogni modo, quasi una necessità, e che il principe cercava
di temperare il suo governo dittatoriale con qualche concessione
improntata a princìpi repubblicani: così, nonostante
tutto, l’impero viene storicamente "giustificato", come frutto della
cooperazione tra la "fortuna" provvidenziale e appunto la "virtus"
del popolo romano, e la stessa crisi attuale - pur riconosciuta,
suo malgrado, come "epocale" e non episodica (da cui il tono di
amara malinconia che spesso traspare dal racconto) - non viene astratta
dal quadro generale della storia di Roma.
Insomma, ciò che dà vita all’opera
di L. è, più che una fede politica, un patriottismo
profondo, un amore dappertutto sensibile per Roma. Sotto questo
riguardo, egli è uno degli scrittori che più efficacemente
hanno contribuito a diffondere e a far accettare, nelle province
di lingua latina, un'immagine "romana" di Roma, esaltante e, per
ciò stesso, unificante.
Le fonti. Inoltre, appare quantomeno superfluo
attardarsi a sottolinearne i difetti metodologici e scientifici
dell’opera: innanzitutto, l’acriticità nell’uso delle fonti
(ci si è dilettati, in altri tempi, a cercare quale fosse
la fonte di questo o quel libro, che si presumeva unica), dagli
annalisti romani a Polibio (come lui, il nostro è, si potrebbe
dire, un "filosofo della storia"). Ma L. non è, fondamentalmente,
un erudito, ed impiega fonti già letterarie, e non "documenti
grezzi".
Comunque, le fonti di un'opera così immensa
dovettero essere necessariamente numerosissime; gli studiosi son
soliti distinguere: a) le fonti storiche latine, quali le "Origines"
di Catone e le opere degli annalisti, che l'autore aveva sempre
lo scrupolo di citare; b) le fonti storiche greche, quali le opere
di Polibio e di Posidonio d'Apamea; c) le fonti letterarie, quali
le opere poetiche (poemi epici e "fabulae praetextae") di
Nevio, di Ennio e di altri poeti, e gli scritti eruditi di Varrone
Reatino; d) le fonti orali, ossia le tradizioni sia popolari che
colte, a cui è da aggiungere anche qualche indagine antiquaria
personale.
La struttura. Egli, in effetti, riprende
la struttura annalistica, e tratta ogni anno in maniera sinottica,
dilatando l’ampiezza della narrazione man mano che si avvicinava
all’epoca contemporanea, secondo le aspettative dei lettori. Il
piano della sua narrazione è sì impostato sull'ordine
cronologico, ma egli seppe introdurre, in quello che poteva risultare
un andamento monotono, varie parentesi drammatiche, episodi che
formano quadri naturali.
Il filo narrativo è spesso interrotto da
discorsi, ed è difficile dire se sono un prodotto di pura
fantasia o se trovano sostegno in qualche fonte documentaria più
o meno fedele. Si può ipotizzare che la proporzione fra verità
e invenzione varia secondo le date dei discorsi. Le opere più
antiche, probabilmente, non si fondano su documenti davvero autentici,
mentre è probabile che le orazioni più recenti, pronunciate
da questo o quell'illustre personaggio del II o anche del III secolo
a.C., fossero conservate più fedelmente. Lo stesso vale per
gli avvenimenti. Il quadro dei primi secoli di Roma è più
"restaurato", ma è anche più semplice e, in una certa
misura, più direttamente epico di quello riguardante la storia
più vicina.
Lo stile. Infine, nella scrittura, L. si
contrappone alla tendenza di Sallustio, avvicinandosi piuttosto
allo stile vagheggiato da Cicerone per la storiografia: la "lactea
ubertas" - come la definì Quintiliano - consisteva così
in una prosa ampia, fluida e luminosa, senza artifici e restrizioni,
di limpida chiarezza ("candor"). Un periodare, insomma, destinato
alla lettura.
Ma L. sa conferire al proprio stile anche un’ammirevole
duttilità e varietà: dal gusto arcaicizzante della
I decade (dettato dalla vetustà degli eventi) ad una sempre
maggiore coloritura poetica e drammatica del racconto, se non addirittura
"tragica", soprattutto nella descrizione dei personaggi (Lucrezia,
Virginia, Sofonisba, Coriolano, Camillo, Fabio Massimo, Scipione…),
e "impressionistica" nella presentazione degli avvenimenti, verso
cui spesso L. tradisce sentimentale partecipazione.
...:::Bukowski:::...
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