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Lucio Accio

--- Pesaro, 170 ca – 90 ? a.C. ---

 

Vita.

Figlio di un liberto, A. ben presto s'impose come un poeta a suo modo "moderno" e "dotto". In viaggio a Pergamo, nel momento in cui il regno di Attalo III diventava provincia romana (133 a.C.), era stato iniziato ai metodi della filologia pergamena. I suoi interessi si erano rivolti alla storia del teatro a Roma e anche in Grecia.

Opere.

Le opere minori. A. ci ha lasciato titoli e minimi frammenti di alcuni suoi scritti "minori" - "Didascalica" (prosimetro, su questioni di storia letteraria); "Pragmatica" (di tecnica teatrale); "Annales" (almeno 27 libri su storie e miti connessi alle festività), "Sotadica" (poesie erotiche) - la cui varietà dimostra la vivace curiosità del suo intelletto e l'estensione della sua cultura.

Le tragedie d'ispirazione greca: i "cicli". Ma egli è soprattutto autore di numerose tragedie, delle quali ci sono noti circa 45 titoli. Dei testi di queste opere, però, possediamo anche qui solo alcuni frammenti (700 versi circa), che non possono darci che un'idea molto generale della sua arte.

Le tragedie di A. trattano in genere di leggende greche già più volte portate sulla scena: i suoi soggetti preferiti sembrano essere quelli che comportano episodi violenti o atroci. La sua fama cominciò verso il 130, con la messa in scena di un Tereus (storia del bambino che la madre fa divorare dal marito infedele).

A. trattò in seguito praticamente l'intero "ciclo dei Pelopidi", con una tragedia dallo stesso titolo, a cui si aggiungevano un Atreus (la vicenda della vendetta di Atreo contro il fratello Tieste), un Chrysippus, una Clytaemestra, un Aegisthus e una tragedia dal titolo Agamemnonidae, che sviluppavano tutta intera la serie delle atroci violenze che avevano caratterizzato ogni generazione di quella dinastia. Al "ciclo troiano", invece, appartenevano l'Achilles, l'Epinausimache (la ripresa dei combattimenti nei pressi delle navi, un celebre episodio dell'Iliade), l'Armorum iudicium (la controversia fra Ulisse e Aiace sull'attribuzione delle armi di Achille), la Nyctegresia (la spedizione notturna di Diomede e Ulisse nel campo troiano), Troades, Astyanax, Deiphobus, ecc. Alcune di queste opere si ricollegano direttamente all'Iliade, altre alla Piccola Iliade e ad altri poemi ciclici.

I soggetti tratti, invece, dal "ciclo tebano" erano rappresentati da Phoenissae, Thebais, Antigona ed Epigoni. I miti dionisiaci erano largamente ricordati con Athamas, Bacchae, Tropaeum Liberi e probabilmente Erigona. Altri soggetti celebri (Medea, Alcestis, Alcmeo, Andromeda, Meleager, Prometheus, ecc.) completavano infine il repertorio tradizionale al quale A. si ispirava.

Le tragedie d'ispirazione romana. Ma la celebrità di A. si deve anche, se non soprattutto, a 2 tragedie "praetextae" (cioè, di ambientazione romana): il "Decius" o Aeneadae e il "Brutus". La prima ricordava le "devozioni" dei Decii, i tre eroi che avevano sacrificato la vita alla causa romana (295 a.C.). Conosciamo però molto meglio la seconda, scritta in seguito alla vittoria del console Decio Bruto sui Lusitani: essa portava in scena la caduta della monarchia e l'avvento della repubblica, con la cacciata dei Tarquini; il protagonista è appunto Decio Giunio Bruto, che riesce a liberare Roma dalla tirannide, fingendosi folle.

Considerazioni.

Scrittore d'attualità? E’ stata avanzata l'ipotesi che il poeta - scrittore, come si arguisce, prolifico - non avesse scelto i suoi soggetti senza una qualche finalità recondita e che, in una certa misura, tenesse conto dei problemi dell'attualità romana, ad es. della questione sociale nel periodo dei Gracchi. Anche se la cosa è difficilmente dimostrabile nei particolari, in se stessa, tuttavia, l'idea è ben lungi dall'essere inverosimile. Di sicuro c'è che i romani (e in particolare Cicerone, grande ammiratore di A., e al quale dobbiamo importanti citazioni) trovavano sempre, nelle sue opere, materiali per inattese applicazioni e "attualizzazioni". Il che era agevolato dall'abbondanza delle massime morali e degli sviluppi di idee comuni, come la tirannide, l'esilio, eccetera. Importante testimonianza è anche il senso di "gravitas" religiosa e di presenza del divino che traspare dalle opere, e che sembra smentire le affermazioni dei moderni, troppo propensi a considerare la religione nazionale, in quell'epoca, solo come un'accozzaglia di leggende obsolete.

Lo stile "macabro" e "sublime". La ricchezza oratoria di A., come traspare anche dai frammenti rimasti, prelude già allo stile delle tragedie di Seneca: il linguaggio ha un tono magniloquente e ridondante, ricco di giochi allitterativi e di composti eruditi. Si è poi spesso rimproverato all'autore l'eccessiva violenza e ricercatezza del suo stile, quella sua volontà di rimanere nel "sublime" ad ogni costo che, se non impedì il successo delle sue opere, segnò tuttavia l'inizio del declino cui andò incontro il genere tragico dopo di lui.

I meriti. Fatto sta che la conseguenza più importante della carriera di A. (come, del resto, di quella di Pacuvio) fu forse, in definitiva, che la tragedia salì di classe e di tono: di conseguenza, la sua pratica, pur continuando a godere del successo popolare, divenne sempre più cosa da gentiluomini.


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