Vita.
Figlio di un liberto, A. ben presto s'impose come
un poeta a suo modo "moderno" e "dotto". In viaggio a Pergamo, nel
momento in cui il regno di Attalo III diventava provincia romana
(133 a.C.), era stato iniziato ai metodi della filologia pergamena.
I suoi interessi si erano rivolti alla storia del teatro a Roma
e anche in Grecia.
Opere.
Le opere minori. A. ci ha lasciato titoli
e minimi frammenti di alcuni suoi scritti "minori" - "Didascalica"
(prosimetro, su questioni di storia letteraria); "Pragmatica"
(di tecnica teatrale); "Annales" (almeno 27 libri su storie
e miti connessi alle festività), "Sotadica" (poesie
erotiche) - la cui varietà dimostra la vivace curiosità
del suo intelletto e l'estensione della sua cultura.
Le tragedie d'ispirazione greca: i "cicli".
Ma egli è soprattutto autore di numerose tragedie, delle
quali ci sono noti circa 45 titoli. Dei testi di queste opere, però,
possediamo anche qui solo alcuni frammenti (700 versi circa), che
non possono darci che un'idea molto generale della sua arte.
Le tragedie di A. trattano in genere di leggende
greche già più volte portate sulla scena: i suoi soggetti
preferiti sembrano essere quelli che comportano episodi violenti
o atroci. La sua fama cominciò verso il 130, con la messa
in scena di un Tereus (storia del bambino che la madre fa
divorare dal marito infedele).
A. trattò in seguito praticamente l'intero
"ciclo dei Pelopidi", con una tragedia dallo stesso titolo,
a cui si aggiungevano un Atreus (la vicenda della vendetta
di Atreo contro il fratello Tieste), un Chrysippus, una Clytaemestra,
un Aegisthus e una tragedia dal titolo Agamemnonidae,
che sviluppavano tutta intera la serie delle atroci violenze che
avevano caratterizzato ogni generazione di quella dinastia. Al "ciclo
troiano", invece, appartenevano l'Achilles, l'Epinausimache
(la ripresa dei combattimenti nei pressi delle navi, un celebre
episodio dell'Iliade), l'Armorum iudicium (la controversia
fra Ulisse e Aiace sull'attribuzione delle armi di Achille), la
Nyctegresia (la spedizione notturna di Diomede e Ulisse nel
campo troiano), Troades, Astyanax, Deiphobus,
ecc. Alcune di queste opere si ricollegano direttamente all'Iliade,
altre alla Piccola Iliade e ad altri poemi ciclici.
I soggetti tratti, invece, dal "ciclo tebano"
erano rappresentati da Phoenissae, Thebais, Antigona
ed Epigoni. I miti dionisiaci erano largamente ricordati
con Athamas, Bacchae, Tropaeum Liberi e probabilmente
Erigona. Altri soggetti celebri (Medea, Alcestis,
Alcmeo, Andromeda, Meleager, Prometheus,
ecc.) completavano infine il repertorio tradizionale al quale A.
si ispirava.
Le tragedie d'ispirazione romana. Ma la
celebrità di A. si deve anche, se non soprattutto, a 2 tragedie
"praetextae" (cioè, di ambientazione romana): il "Decius"
o Aeneadae e il "Brutus". La prima ricordava le "devozioni"
dei Decii, i tre eroi che avevano sacrificato la vita alla causa
romana (295 a.C.). Conosciamo però molto meglio la seconda,
scritta in seguito alla vittoria del console Decio Bruto sui Lusitani:
essa portava in scena la caduta della monarchia e l'avvento della
repubblica, con la cacciata dei Tarquini; il protagonista è
appunto Decio Giunio Bruto, che riesce a liberare Roma dalla tirannide,
fingendosi folle.
Considerazioni.
Scrittore d'attualità? E’ stata avanzata
l'ipotesi che il poeta - scrittore, come si arguisce, prolifico
- non avesse scelto i suoi soggetti senza una qualche finalità
recondita e che, in una certa misura, tenesse conto dei problemi
dell'attualità romana, ad es. della questione sociale nel
periodo dei Gracchi. Anche se la cosa è difficilmente dimostrabile
nei particolari, in se stessa, tuttavia, l'idea è ben lungi
dall'essere inverosimile. Di sicuro c'è che i romani (e in
particolare Cicerone, grande ammiratore di A., e al quale dobbiamo
importanti citazioni) trovavano sempre, nelle sue opere, materiali
per inattese applicazioni e "attualizzazioni". Il che era agevolato
dall'abbondanza delle massime morali e degli sviluppi di idee comuni,
come la tirannide, l'esilio, eccetera. Importante testimonianza
è anche il senso di "gravitas" religiosa e di presenza
del divino che traspare dalle opere, e che sembra smentire le affermazioni
dei moderni, troppo propensi a considerare la religione nazionale,
in quell'epoca, solo come un'accozzaglia di leggende obsolete.
Lo stile "macabro" e "sublime".
La ricchezza oratoria di A., come traspare anche dai frammenti rimasti,
prelude già allo stile delle tragedie di Seneca: il linguaggio
ha un tono magniloquente e ridondante, ricco di giochi allitterativi
e di composti eruditi. Si è poi spesso rimproverato all'autore
l'eccessiva violenza e ricercatezza del suo stile, quella sua volontà
di rimanere nel "sublime" ad ogni costo che, se non impedì
il successo delle sue opere, segnò tuttavia l'inizio del
declino cui andò incontro il genere tragico dopo di lui.
I meriti. Fatto sta che la conseguenza più
importante della carriera di A. (come, del resto, di quella di Pacuvio)
fu forse, in definitiva, che la tragedia salì di classe e
di tono: di conseguenza, la sua pratica, pur continuando a godere
del successo popolare, divenne sempre più cosa da gentiluomini.
...:::Bukowski:::...
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