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La storiografia dopo Catone


 

Situazione alla morte di Catone. Già nel 149, quando Catone morì, l'ellenismo invadeva Roma o, quanto meno, produceva nelle coscienze un riequilibrio di valori del quale abbiamo già avuto modo di rilevare l'ampiezza, a proposito di Terenzio e di Lucilio. I generi in prosa non si sottraevano a tale influenza. Gli eruditi greci cominciavano a essere conosciuti a Roma parallelamente ai filosofi e, mentre grazie a questi ultimi gli oratori cominciavano a interrogarsi sul valore e sui limiti dell'eloquenza, insieme all'erudizione venivano crescendo anche le esigenze nei confronti della storiografia.

Il ruolo di Polibio. Da questo punto di vista, è caratteristica la parte avuta dallo scrittore greco Polibio. Alto magistrato della lega achea al momento di Pidna, P. si trovò compreso nell'elenco degli ostaggi achei rivendicati da Roma dopo la vittoria (167). Ciò spiega la ragione per cui visse a Roma per molti anni. Legato a L. Emilio Paolo, fu precettore dei suoi figli e "guida spirituale" del giovane Scipione Emiliano. Storico egli stesso, cercò di comprendere il fenomeno storico costituito da Roma: in che modo, in meno di una generazione, la repubblica avesse raggiunto i risultati che, nello spazio di due secoli e mezzo, i re orientali non avevano ottenuto, e cioè riportare la pace nel bacino del Mediterraneo e imporre al mondo un potere forte e stabile. Intorno a quest'uomo, l'élite dei giovani romani è portata a riflettere sul ruolo della propria città, e a sottoporre ogni azione alla critica della ragione e della conoscenza.

Ma dalle lezioni di Polibio trassero profitto soprattutto gli uomini di stato filoellenici e i teorici della filosofia politica; quanto agli storici, bisognerà aspettare fino a Tito Livio, e cioè fino ai tempi di Augusto, per trovare in modo certo un impiego diretto della sua opera.

Annalisti del II sec. a.C. e l'influsso dello stoicismo. In verità, noi non conosciamo quasi nulla degli annalisti del II sec. a.C.: cosa mai contenessero le opere storiche di P. Cornelio Scipione, figlio di Scipione l'Africano, o quelle di C. Acilio o, infine, la storia di A. Postumio Albino, aspramente ripreso da Catone perché, al pari di Scipione e Acilio, era uso scrivere in greco, ci è ignoto. Essi avevano scelto quest'ultima lingua per disprezzo verso il latino, per conformarsi alla tradizione di Fabio Pittore e di Cincio Alimento, o perché si trovavano sotto l'influenza di Polibio? Non sappiamo, in verità, neanche questo. E’ probabile, però, che l'impiego del greco permettesse a questi autori di rompere il quadro, essenzialmente romano e quasi rituale, dell'esposizione successiva, anno per anno, degli avvenimenti.

Gli storici di lingua latina di quest'epoca si adattano, infatti, ancora allo schema annalistico. Così, oltre a L. Cassio Emina e a L. Calpurnio Pisone, uno degli autori più "critici" nei confronti delle antiche leggende, C. Fannio, genero di C. Lelio e membro, perciò, del "circolo degli Scipioni", nel quale s'incarna la tendenza modernista e filoellenica. Pisone e Fannio erano stati gli ascoltatori e, in una certa misura, i discepoli di Panezio, il filosofo stoico che, trasferitosi a Roma, vi era rimasto fino al 130 circa, in contatto anch'egli col "circolo degli Scipioni".

Com'è noto, la dottrina stoica comportava delle riflessioni sulla storia, attraverso le quali essa si sforzava di dare una lettura dei disegni della provvidenza, di quel dio che, a suo giudizio, governa il mondo. La ricerca storiografica delle cause, piuttosto che dalla diretta imitazione degli storici greci, nei quali la nozione di causa (ad esempio in Tucidide) rimaneva piuttosto confusa e relegata nella contingenza, ebbe dunque origine in questo modo.

Vi furono anche, alla fine del II secolo e all'inizio del I, altri annalisti che si limitarono a dare continuità alla tradizione dei più antichi. Claudio Quadrigario, diffidando dei documenti relativi ai primi passi della repubblica, diede avvio ai suoi "Annales" con l'evento della presa di Roma da parte dei Galli. A quanto pare, tendeva soprattutto ad evidenziare il carattere pittoresco del racconto e a privilegiare le situazioni drammatiche. Il suo contemporaneo, Valerio Anziate, si è meritato invece la cattiva fama d'essere stato un compilatore poco scrupoloso, avendo inventato particolari che non si trovavano nelle fonti ed esagerato le cifre (degli armati, dei caduti in battaglia, eccetera), e avendo scelto sempre, fra le varie versioni di un evento, quella più ricca di elementi fantastici.

La nascita di una nuova storiografia alternativa a quella annalistica: Antipatro e Asellione. Tuttavia, in questa II metà del II sec., si vede sorgere una forma di narrazione storica che non ha più nulla a che vedere col metodo annalistico, e il cui interesse è rivolto, al contrario, alla trattazione di un periodo o di un evento ben determinati. Così i 7 libri di Celio Antipatro sulla guerra di Annibale, o le "Historiae" di Sempronio Asellione che esaminavano un periodo di cui l'autore era stato testimone diretto (dal 134 al 90 a.C.).

Antipatro e Asellione applicavano, in questo modo, la concezione storica prevalente presso i greci in quello stesso periodo. Il fatto che l'opera di un Posidonio, discepolo di Panezio, sia stata concepita nel medesimo spirito (la ricerca delle cause all'interno di un periodo definito), lascia supporre che l'origine comune sia da ricercare nella dottrina elaborata dagli stoici già romanizzati e nell'ambiente dello stesso Polibio, il quale aveva a sua volta tratto profitto dall'esperienza e dalla riflessione dei suoi amici sulla gestione pratica degli affari pubblici. E’ significativo inoltre che questi storici abbiano cominciato la loro carriera come uomini d'azione: Sempronio Asellione aveva servito sotto il comando di Emiliano a Numanzia, Polibio, nella sua giovinezza, aveva cominciato con l'essere "ipparco" nella lega achea; Posidonio era stato "pritano" della repubblica di Rodi. Per loro la storia è la prosecuzione dell'azione, e non è ancora diventata opera esclusivamente erudita o letteraria.


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