Vita.
Tria cordia. E. nacque in una città
non greca ma messapica: tutta la zona era comunque ellenizzata ed
E. si vantava di possedere in definitiva "tria corda", tre
cuori, per la sua conoscenza di ben tre lingue: latino, greco e
osco.
Poeta-soldato. Combattè nella II
guerra punica, e nel 204 a.C. era in Sardegna negli ausiliari romani,
dove incontrò Catone il censore, che notò il suo spessore
culturale e lo condusse a Roma, pensando forse di farne il cantore
delle gesta nazionali. Giuntovi, E. entrerà in contatto con
Scipione l’Africano: sarà anzi uno dei massimi esponenti
del cosiddetto "circolo scipionico". La sua posizione diviene subito
di grande prestigio: egli è a capo del "collegium scribarum
histrionumque", quell' "associazione fondata da Andronico e
che già dal 207 aveva un ruolo ufficiale nella vita religiosa
e letteraria romana.
Nel 186 a.C., E. seguirà Marco Fulvio Nobiliore
contro gli Etoli e assisterà alla conquista di Ambragia.
L’intento era quello di narrare ed esaltare le sue imprese (usanza
questa tipicamente greca)..
Nel 184 a.C. il figlio di Nobiliore, Quinto Fulvio,
fondò la colonia di Pesaro e concesse ad E. delle terre e
la cittadinanza. Con grande orgoglio, egli scriverà: "Nos
summus Romani qui fumus ante Rudini". Nell'ultima parte della
sua vita, infine, si dedicò completamente alla fatica degli
"Annales". Morì, pare, di gotta, dopo aver sopportato serenamente
la povertà e la vecchiaia.
Opere:
titoli e contenuti.
Opere minori. Delle sue opere "minori",
ricordiamo:
- tragedie ci rimangono almeno 22 titoli
(per soli 400 frammenti circa):
tra queste, il ciclo troiano comprendeva i
seguenti titoli: Achilles, Aiax, Alexander
(era il soprannome dato a Paride fra i pastori), Hectoris
lytra ("Il riscatto di Ettore"), Iphigenia, Hecuba,
Andromacha aechmalotis ("Andromaca prigioniera di guerra"),
Telamo e Telephus;
aveva, inoltre, trattato leggende di origini
diverse: Alcmeo, Andromeda, Athamas, Cresphontes,
Erechtheus, Eumenides, Medea exul, Melanippa,
Nemea, Phoenix e Thyestes, rassegna nella
quale si riconoscono titoli (e senza dubbio i soggetti) ripresi
da Euripide;
2 praetextae (tragedie, cioè,
di ambientazione romana):
l' "Ambracia", dedicata a Fulvio
Nobiliore, conquistatore dell'omonima città;
le "Sabinae", sulla nota leggenda
del "ratto";
- commedie: in verità, in questo
campo E. non ebbe molta fortuna, sia evidentemente perché
il genere non gli era proprio congeniale, sia perché (forse
più verosimilmente) doveva misurasi con l'enorme successo
di Plauto; comunque ci rimangono 2 titoli (Caupuncula, "La
ragazza dell'osteria" e Pancratiastes, "L'atleta del pancrazio",
una disciplina ibrido tra pugilato e lotta) e un minimo numero di
frammenti, tale da non consentire comunque un ponderato giudizio
sulla sua produzione comica (ma invero, già gli antichi consideravano
i suoi intrecci e la sua "vis comica" piuttosto mediocri);
- 3 operette di carattere filosofico, di
cui ci rimane davvero molto poco:
l’ "Epicharmus", in settenari trocaici,
il "Protrèpticus", come recita
il titolo, evidentemente un' "esortazione" alla filosofia o
una raccolta di precetti morali, ancora in settenari trocaici,
l’ "Heuhemerus" , che tratta della relativa
dottrina [per la quale, vd. oltre] in prosa;
- "Saturae", 4 libri in versi polimetri,
di cui soltanto 70 conservati, probabilmente una miscellanea di
filosofia e letteratura. A queste, secondo alcuni, apparterrebbe
pure lo "Scipio", un "carmen" encomiastico dedicato
a Scipione l’Africano, vincitore a Zama;
- alcuni epigrammi, praticamente perduti
(la satira e l'epigramma sono due generi poetici che proprio Ennio
deve aver introdotto comunque per primo nella letteratura latina);
- scritti di evasione:
un "Hediphagetica" (il "mangiar bene",
poemetto gastronomico in esametri);
il "Sota", raccolta di facezie in metro
sotadeo [dal poeta Sotade, III sec. a.C.];
Il capolavoro: gli Annales. Tuttavia, la
sua opera più importante, una delle pochissime scritte in
età medio-repubblicana, è un poema epico di 18 libri
e di ca 30000 versi (ce ne restano solo 600 ca), gli "Annales",
titolo che indubbiamente si rifà agli "Annales Maximi",
ossia alle registrazioni degli eventi secondo una scansione annuale.
Gli ultimi 3 libri furono aggiunti successivamente dall'autore al
piano originale, che ne prevedeva "solo" 15.
Ecco, in breve, di cosa parlano i libri di cui
possiamo, in base ai frammenti, ricostruire la trama: I libro: Romolo
contro Remo per la fondazione di Roma; II: altri re di Roma; III:
passaggio dalla monarchia alla repubblica e guerra contro Pirro;
VII: un secondo proemio, con dichiarazioni di "poetica" [ma vd.
oltre]; VIII: guerre puniche, contro la Macedonia, la Siria e gli
Etoli.
Considerazioni.
Tragedie e commedie. Come visto, E. compose
molte sceneggiature sia drammatiche che comiche; fu, anzi, l'ultimo
poeta latino a coltivare assieme commedia e tragedia. Nella produzione
drammatica, in particolare, egli puntava sulla tensione stilistica
dei suoi versi e sulla ricerca del "pathos". Il modello indiscusso
era Euripide: la rielaborazione dei modelli classici permetteva
di creare effetti di scena e di rafforzare gli elementi drammatici
della rappresentazione. Un altro punto su cui E. fondava la propria
forza era la partecipazione emotiva degli spettatori: le sue tragedia
dovevano suscitare nel pubblico processi psicologici di forte identificazione
con i personaggi.
Lo stesso rapporto con i modelli (e con quello
preferito di Euripide) non è di semplice translitterazione:
certo, si trovano esempi di traduzione letterale, ma accanto a questi
abbondano altrettanti casi di "manipolazione", soprattutto di riduzione
libera dell'originale, che egli praticò eliminando versi,
pensieri, collegamenti, per sostituire come una sorta di riassunto
della parte soppressa: si produsse anche nella "contaminatio",
fondendo ed innestando parti e scene di tragedie diverse.
L'epica storica. E., come Nevio, coltiva
anche (anzi, soprattutto) l’epica storica; la poesia che cerca di
creare è cioè poesia celebrativa di gesta eroiche:
si rifaceva così sia ad Omero, sia alla più recente
tradizione ellenistica. Scritta dopo la vittoria che pose fine alla
II guerra punica, la sua opera epica tuttavia non è più
mera opera "di combattimenti", ma soprattutto di meditazione sulla
grandezza e sulla missione storica di Roma (apparteneva, insomma,
alla generazione successiva a quella di Livio e di Nevio).
La storia di Roma è narrata senza stacchi
e in ordine cronologico, privilegiando tuttavia alcuni periodi ad
altri. Particolarmente sacrificata è, in questo senso, la
I guerra punica, già trattata dal suo battistrada Nevio (che,
quindi, a sua differenza, s’era limitato ad esaltare - della storia
di Roma - un solo episodio). Anche dal punto di vista concettuale
E. non fu totalmente equilibrato: si occupò maggiormente
di avvenimenti legati, come dire, alla "politica estera" che di
vita politica interna. Lo stesso tono tende progressivamente ad
inaridirsi (forse anche in coincidenza al mutare del clima culturale-politico,
ovvero col subentrare della politica filocatoniana all'entusiasmo
imperialistico ed espansionistico degli Scipioni): esso viene sempre
più a corrispondere al significato prosastico del titolo,
al mito e alla "mistica" ispirazione dei canti iniziali subentra
la "cronaca" degli ultimi, fino a profilarsi - l'opera tutta - come
una sorta di "rapsodia nazionale" [F. Della Corte].
Altra differenza con Nevio è, infine, l’utilizzo
dell’esametro dattilico, che da E. in poi diverrà tipico
della poesia epica. Infine, innovativa fu anche la stessa raccolta
della storia in libri, concepiti come unità narrative comprese
in un’architettura complessiva.
Per tutte queste ragioni, E. è spesso -
a buon diritto - considerato dai romani come il vero "padre" della
loro letteratura (il che non mancò di provocare l'ironia
soprattutto di Ovidio).
"Alter Omerus". Ci è pervenuto
l’inizio del poema degli "Annales", in cui E. non fa l’invocazione
alle "Camene" romane, come fece ad es. Andronico, bensì
alle muse greche (e questo è già indicativo…). Seguiva
all’invocazione il proemio, con un sogno (nei proemi sono enunciate,
in forma programmatica, le idee di poetica del nostro autore): l’anima
di Omero apparsagli appunto in sogno gli illustra la dottrina pitagorica
della metempsicosi (l'autore stesso era un adepto delle dottrine
pitagoriche, che restavano vitali nei dintorni di Taranto e contavano
seguaci nell'aristocrazia romana), secondo cui l’anima di Omero
si era incarnata prima in un pavone e successivamente in E. stesso,
l’ "alter Omerus" o Omero Romano.
L'ideologia. Grazie a Cicerone ci è
pervenuto poi un frammento in cui è espressa l’ideologia
dell’intera opera: "Moribus antiquis res stat Romana virisque"
in cui si giustifica l’espansione romana sulla base della sua "virtus".
I "mores" erano i grandi uomini antichi a cui si deve la
potenza romana. Pur parlando di guerra, E. non esalta tuttavia la
violenza, bensì la saggezza politica e la dedizione allo
stato. Nella guerra fra Roma e Cartagine, ad es., Roma corrispondeva
a pace e concordia e Cartagine a discordia e violenza: per tal ragione,
quest'ultima era, sin dall'inizio, destinata a soccombere.
Così, l’autore tenta di fissare negli "Annales"
non solo racconti di gesta, ma anche valori, insegnamenti, esempi
di comportamento e modelli culturali. La visione del mondo che viene
comunicata è, comunque, il trionfo dell'ideologia aristocratica
del suo tempo, quella degli Scipioni, nel segno dei suoi più
alti ideali: la "magnanimità" e la gloria.
La "filosofia". Dunque, la
poesia di E. è "nutrita di idee" [I. Lana] ed egli è
certamente più filosofo che "teologo", insiste cioè
di più sui valori strettamente umani. Due dei suoi poemi,
l'"Epicharmus" e l'"Euhemerus", lo rivelano altresì occupato
in speculazioni cosmogoniche e morali molto lontane dall'atteggiamento
religioso tradizionale dei romani, e al contrario molto vicine al
neopitagorismo proprio delle sue zone native. Nel secondo poema,
in particolare, egli espone, con singolare congenialità,
la dottrina di Evemero di Messina (III sec. a.C.), secondo il quale
gli dèi e le dee del pantheon tradizionale altro non sono
che re e principesse del tempo antico, divinizzati dopo la morte
per i servizi resi all'umanità. Ciò consentiva naturalmente
di esaltare maggiormente i condottieri romani, le cui imprese dominavano
sempre più la storia umana (ma questa valorizzazione delle
"personalità d'eccezione", tipicamente greca, doveva essere
- secondo il nostro autore - opportunamente "corretta" e conciliata
con la tradizione nazionale - "collettiva" - romana)
Lingua e stile. Infine, riguardo allo stile
e al linguaggio, è da dire che E. è raffigurato come
il primo poeta "filologo", elegante cultore della parola, l'unico
capace di stare alla pari con la raffinata cultura greca. Nel già
citato II proemio degli "Annales", egli - a riprova di ciò
- sottolinea la sua distanza dal rozzo Nevio, che parlò di
Saturno, e si autodefinisce "docti studiosus", esperto di
lingua e arte (E. contesta anche Livio Andronico per l'uso dei versi
saturni nella traduzione dell'Odissea: egli infatti riteneva questi
versi adatti solamente alle divinità campestri).
In un passo in particolare, poi, consegnatoci da
un lungo frammento, contenuto nel I libro degli "Annales", dove
si racconta un sogno di Ilia (figlia di Enea e futura madre di Romolo
e Remo), il nostro autore rivela anche uno stile profondamente profetico
e drammatico, giocato con grande maestria..
Egli, infine, si può a buon diritto definire
anche poeta "sperimentale" per l'immissione di numerosi grecismi
nelle sue composizioni, nonché per l'uso abbastanza frequente
e spregiudicato di pause sintattiche, allitterazioni e altre figure
di suono, fin allora quasi del tutto sconosciute alla produzione
letteraria latina.
...:::Bukowski:::...
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