Vita.
Di origini nobili (apparteneva all'ordine equestre),
L. fu tra i primi romani ad affrontare il viaggio in Grecia per
farsi una cultura filosofica, e sicuramente fu il primo letterato
di buona famiglia a condurre una vita da scrittore, volontariamente
appartata dalle cariche pubbliche.
La sua biografia è segnata dall'incontro
con gli Scipioni: fu compagno di Scipione Emiliano in Spagna, nel
l33, in occasione della guerra di Numanzia. Poco dopo, giovanissimo,
esordiva come poeta, riprendendo il genere della "satira". Divenuto
adulto, saranno proprio i grandi personaggi del partito scipionico
a proteggerlo: per le sue origini aristocratiche, i suoi rapporti,
l'ambiente in cui viveva, L. fu infatti spinto a prendere partito
nelle lotte politiche, e lo fece con vivacità e persino con
violenza, in specie (ad es.) contro le riforme graccane. Praticamente
quasi nulla si sa, invece, del periodo più tardo della sua
vita.
Opera.
Di L. abbiamo esclusivamente "Satire" (egli
stesso le chiama "poemata" o anche "ludus ac sermones",
poesie scherzose), in 30 libri, di cui ci restano 1300 frammenti
ca. Furono raccolte ed ordinate con criterio metrico: l’autore aveva
pubblicato progressivamente i libri XXVI-XXX, contenenti le satire
in settenari trocaici e senari giambici e, verso la fine, in esametri
dattilici; i libri I-XXI, in esametri (forse sua ultima e definitiva
scelta); i libri XXII-XXV, nei quali pare prevalesse il verso elegiaco
(sono stati aggiunti al corpus postumi).
Le satire luciliane, che pur hanno carattere perlopiù
estemporaneo e molto "personale", possono comunque essere "organizzate"
- come già suggeriva Orazio - attorno ad almeno tre motivi
o temi fondamentali:
- l'autobiografismo (il libro III, ad es.,
descriveva i mille piccoli incidenti di un viaggio in Sicilia, compiuto
nel 126; il XXI, un banchetto in casa del banditore Granio; il libro
XVI era infine dedicato all'amore per una donna di nome Collyra,
e forse non solo per lei);
- la polemica politica (il I libro, ad es.,
conteneva un concilio degli dèi contro il senatore Lupo,
considerato il principale responsabile della corruzione di Roma,
e perciò denigrato e condannato a morte; il II si scagliava
contro Tito Albucio e le sue manie grecizzanti) e letteraria
(il libro XXVI, ad es., è contro coloro che professano una
cultura priva di impegno sociale e lontana dalla realtà:
non mancano spunti parodistici e polemici nei confronti di Ennio
e Nevio, nonché dei coevi Accio e Pacuvio; nel libro IX venivano
anche dibattuti, e con notevole competenza, problemi di grammatica
e di retorica);
- la condanna dei vizi umani (nei libri
IV, V, IX, ad es., L. condannava la degenerazione dei costumi della
nobiltà romana ellenizzante, contrapponendole il proprio
ideale stoico di virtù).
Dei libri XXII-XXV, infine, si ignora quasi tutto,
ma si suppone che in essi predominasse, forse non solo nella forma
metrica, il carattere elegiaco.
Considerazioni.
Padre della satira. L., dunque, si dedicò
esclusivamente alla satira [per un'analisi del termine e dell'origine
di questo genere letterario, rimando all'omonimo paragrafo contenuto
nel capitolo sul "teatro romano"], trattandola inizialmente, come
già aveva fatto Ennio, in versi trocaici e giambici, i versi
dei generi drammatici; in seguito, nell'ultima parte della sua produzione
(quella che, nella raccolta pubblicata, forma appunto i primi 20
libri), userà - come detto - solo l'esametro, creando in
tal modo la forma definitiva della satira, poema "ragionato", più
narrativo e meditativo che drammatico, col tempo sempre più
mordace e castigatore, avviato comunque verso quell'ordine formale
definitivo che troverà la sua apoteosi in Orazio, Persio
e Giovenale. Sotto questo rispetto, egli fu - da subito - non a
torto considerato il vero "padre" di questo genere, sebbene già
gli stessi Ennio e Nevio vi ci fossero cimentati.
Il realismo e la "virtus". Il realismo,
il gusto dell'aneddoto che ritroviamo nelle arti plastiche romane,
l'interesse per i paesaggi, gli oggetti, i dettagli dell'esistenza
reale e quotidiana, tutto ciò traspare nei frammenti rimasti,
e va a delineare una tradizione.
Conservatore moderato ma oculato, a suo modo aperto
alle influenze elleniche (in particolare, i commediografi greci
e la filosofia stoica neoaccademica), L. resta partigiano convinto
dei valori romani tradizionali (ma per lui l'autentica "virtus"
è incarnata esclusivamente negli aristocratici e soprattutto
negli Scipioni), pur senza essere schiavo dei pregiudizi e della
grettezza della generazione precedente: in un celebre passo, ad
es., proclama che il primo posto si deve dare alla patria, il secondo
ai componenti della propria famiglia, e solo il terzo a se stessi,
il che significa, in questa morale della saggezza, subordinare la
propria felicità a quella degli altri.
Insomma, con lui vediamo come la mentalità
romana, quanto meno nell'élite cittadina, abbia superato
quella crisi testimoniata dall'opera di Terenzio, proseguendo con
successo la sintesi di cultura ellenica e tradizione nazionale.
Lo stile. Infine, dal punto di vista stilistico,
la poesia di L. si apre davvero in tutte le direzioni: impasto dei
più vari registri linguistici (arriva fino al dialetto e
non disdegna neanche la scurrilità), con l'utilizzo talora
di inauditi termini tecnici e retorici, il suo stile è stato
da alcuni critici definito addirittura "scapigliato": <<non
fa meraviglia che [il nostro autore] metta in versi i discorsi uditi
nel foro, nei mercati, nei porti e negli accampamenti militari,
senza preoccupazioni di dignità e senza sussiego>>
[F. Della Corte]. Una lingua, dunque, a suo modo "mimetica", anch'essa
elemento non imprenscindibile nell'atmosfera generalizzata di <<ribellione
a un mondo che moralmente egli disapprovava>>.
...:::Bukowski:::...
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