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Seneca: De ira, I1


 

Libro primo, paragrafo primo.

Anneo Novato, fratello di Seneca, preme a che il filosofo scriva un trattato sull'ira, e sui suoi possibili rimedi [I,1].
Seneca, allora, esordisce abbozzandone una prima definizione programmatica [I, 1]: tra le altre passioni, egualmente perniciose, essa si mostra, già da subito, come (prima definizione provvisoria) la più insensata, la più violenta e la più disumana, sia nella sua radice che nelle sue manifestazioni [I,1 e I,2]. E' impossibile frenare o quantomeno dissimulare [I,7] l'ira: essa esplode [I, 7], incontenibile, e mostra - improvvisa - tutta la propria "animalità". La fenomenologia dell'individuo posseduto dall'ira, infatti, richiama comportamenti di animali inferociti sul punto di infierire sul nemico [I,5 e I,6]. E, anzi, l'iracondo ha tutte le fattezze e le deviazioni psicosomatiche tipiche di un vero e proprio insano di mente [I,3 - I,4 e I,5].

I,1 O Novato, hai voluto a tutti i costi che io trattassi del rimedio all'ira e, in effetti, mi pare che tu abbia decisamente temuto questa passione, ch'è - fra tutte - la più ripugnante e la più sfrenata.
Nelle altre, infatti, si mantiene comunque una certa temperanza; mentre questa, invece, è tutta un fuoco e brucia nel tormento furioso dello sdegno e del rancore, folle d'un delirio disumano di armi sangue supplizi, decisa a nuocere agli altri mentre di sé non si cura: con veemenza si espone impavida perfino alle armi, bramosa di una vendetta che pur trascinerà con sé il vendicatore.

I,2 Per tal motivo, certuni sapienti han definito l'ira una pazzia rapsodica; e infatti, allo stesso tempo, essa non è padrona di sé, mette da parte il decoro, trascura i rapporti sociali, testardamente presa e coinvolta verso ciò che ha cominciato, refrattaria al buon senso e ai buoni propositi, resa inquieta da futili motivi, incapace di discernere ciò ch'è giusto e ciò ch'è vero, in tutto simile alle macerie, che rovinano su ciò che hanno già travolto.

I,3 Allora, affinché ti sia chiaro che quelli invasati dall'ira non sono affatto individui normali, osserva già, di per sé, il loro aspetto; come, infatti, uno sguardo sfrontato e minaccioso, una fronte aggrottata, un volto truce, un andamento sconnesso, uno smanacciare frenetico, un colorito alterato, un respiro affannoso e veloce son sintomi manifesti di pazzia, così, praticamente identici, si delineano i sintomi dell'ira:

I,4 occhi accesi e strabuzzati, rossore diffuso per tutto il volto - per via del sangue che affluisce dal fondo dei precordi, labbra che fremono, denti che digrignano, capelli che si levano ritti, respiro forzato ed ansimante, stridente dinoccolarsi di articolazioni, gemiti sommessi e tenebrosi, una loquela precipitosa e sconclusionata, mani che non stan ferme un momento e piedi che scalpitano: insomma, tutto il corpo è un sol fremito, minacciosamente proteso ad esplodere nell'ira. E', dunque, orribile e pauroso a vedersi l'aspetto di coloro che l'ira rende alterati e deformi.

I,5 Non sapresti deciderti se definirla - l'ira - un difetto detestabile, o piuttosto brutto. Gli altri difetti c'è modo di dissimularli e di nutrirli nell'intimo; l'ira, invece, trapela e si manifesta in volto, e quanto più è grande, tanto più s'accende.
Hai fatto caso a come tutti gli animali, non appena si preparino ad infierire, lo lascino intendere - tutti i corpi si scrollan di dosso la consueta mansuetudine ed esasperano la propria ferinità?

I,6 Ai cinghiali, ad esempio, spumano i musi, s'affilano le zanne sfregandole; le corna dei tori infilzano l'aria e la polvere scalciata si diffonde d'attorno; i leoni fremono; i serpenti, se molestati, gonfiano il collo; tremendo è l'aspetto delle cagne rabbiose: non c'è bestia tanto orribile e tanto minacciosa, già per natura, in cui non si manifesti - non appena fatta preda dell'ira - un'aggiunta d'inaudita ferocia.

I,7 So bene che anche altre passioni è difficile simularle: il desiderio intenso, la paura e l'audacia tradiscono i propri sintomi ed è possibile intuirle in anticipo: infatti, non c'è alcun interiore tumulto, abbastanza violento, che non alteri qualche lineamento del volto.
Qual è, allora, la vera differenza? Le altre passioni fanno capolino; l'ira, invece, esplode.

20 agosto 2002 - Trad. Bukowski


1. Exegisti a me, Nouate, ut scriberem quemadmodum posset ira leniri, nec inmerito mihi uideris hunc praecipue adfectum pertimuisse maxime ex omnibus taetrum ac rabidum. Ceteris enim aliquid quieti placidique inest, hic totus concitatus et in impetu est, doloris armorum, sanguinis suppliciorum minime humana furens cupiditate, dum alteri noceat sui neglegens, in ipsa inruens tela et ultionis secum ultorem tracturae auidus.
2. Quidam itaque e sapientibus uiris iram dixerunt breuem insaniam; aeque enim inpotens sui est, decoris oblita, necessitudinum immemor, in quod coepit pertinax et intenta, rationi consiliisque praeclusa, uanis agitata causis, ad dispectum aequi uerique inhabilis, ruinis simillima quae super id quod oppressere franguntur.
3. Vt scias autem non esse sanos quos ira possedit, ipsum illorum habitum intuere; nam ut furentium certa indicia sunt audax et minax uultus, tristis frons, torua facies, citatus gradus, inquietae manus, color uersus, crebra et uehementius acta suspiria, ita irascentium eadem signa sunt:
4. flagrant ac micant oculi, multus ore toto rubor exaestuante ab imis praecordiis sanguine, labra quatiuntur, dentes comprimuntur, horrent ac surriguntur capilli, spiritus coactus ac stridens, articulorum se ipsos torquentium sonus, gemitus mugitusque et parum explanatis uocibus sermo praeruptus et conplosae saepius manus et pulsata humus pedibus et totum concitum corpus magnasque irae minas agens, foeda uisu et horrenda facies deprauantium se atque intumescentium -- nescias utrum magis detestabile uitium sit an deforme.
5. Cetera licet abscondere et in abdito alere: ira se profert et in faciem exit, quantoque maior, hoc efferuescit manifestius. Non uides ut omnium animalium, simul ad nocendum insurrexerunt, praecurrant notae ac tota corpora solitum quietumque egrediantur habitum et feritatem suam exasperent?
6. Spumant apris ora, dentes acuuntur adtritu, taurorum cornua iactantur in uacuum et harena pulsu pedum spargitur, leones fremunt, inflantur inritatis colla serpentibus, rabidarum canum tristis aspectus est: nullum est animal tam horrendum tam perniciosumque natura ut non appareat in illo, simul ira inuasit, nouae feritatis accessio.
7. Nec ignoro ceteros quoque adfectus uix occultari, libidinem metumque et audaciam dare sui signa et posse praenosci; neque enim ulla uehementior intrat agitatio quae nihil moueat in uultu. Quid ergo interest? quod alii adfectus apparent, hic eminet.


 


 

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