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Libro primo, paragrafo
secondo.
Seneca fa una carrellata, tanto veloce quanto
agghiacciante, degli effetti nefasti dell'ira [II,1]: una passione
che non risparmia niente e nessuno: singoli individui e intere popolazioni,
persone e cose, senza soluzione di continuità sono, come
dire, sue vittime attive e passive [II,1 e II2]. Lo sgomento e l'orrore
si amplifica, per sineddoche, nella considerazione delle stragi
di massa e dei genocidi dettati dall'obnubilamento provocato dall'ira
stessa [II, 3].
Il filosofo, poi, passa ad accennare, per via di negazione, a quello
che presumibilmente sarà il motivo portante dell'opera: l'ira
è, per quanto paradossale possa apparire, "consanguinea"
alla ragione, o - detto in altri termini - coinvolge una sfaccettatura
razionale, o meglio pseudo-razionale: bisogna infatti distinguere,
già da ora, l'ira propriamente detta da un sentimento di
ostilità incondizionata, puerile e praticamente gratuita,
quale quella, ad esempio, mostrata dalla folla che si accanisce
assistendo ai ludi gladiatori, o quella stizza tipica dei bambini
che, volentieri, se la pigliano e frignano per un fantomatico nonnulla,
pretendendo puerile vendetta [II,4].
Eppure, il meccanismo sembra configurarsi identico: la "falsa
ira" è gratuita non perché non abbia motivazioni,
ma perché si finge motivazioni o ingiurie inesistenti o spropositamente
amplificate, direi in modo quasi paranoide. Dunque, comuni denominatori
risultano essere la "motivazione" e l' "ingiuria",
che sempre e comunque "autorizzerebbero" all'ira. L'ira,
allora, è frutto di un calcolo? E' un meccanismo, a suo modo
razionale, di azione-reazione? Fatto sta che queste due componenti
- la motivazione e l'ingiuria - , già qui, si rivelano essenziali
per una corretta "definizione" dell'ira, per ora appena
allusa: (seconda definizione provvisoria) l'ira è
una passione che spinge un individuo a reagire ad un'ingiuria ricevuta,
o presunta tale.
II,1 Ora, se davvero
desideri scandagliare gli effetti perniciosi dell'ira, scoprirai
che nessuna peste ha recato più danno al genere umano. Vedrai
stragi e veleni, e di colpevoli individui reciproche gramaglie,
e città in rovina e genocidi, e vite di uomini illustri contrabbandate
al pubblico incanto, e fiaccole appiccar incendi alle case e fiamme
divampare al di fuori delle mura, e territori sterminati rilucere
del fuoco nemico.
II,2 Volgi lo sguardo alle fondamenta,
che a malapena si scorgono, di rinomate città: è l'ira
che le ha abbattute; ai territori che si estendono spogli e spopolati
per molte miglia: è l'ira che li ha dissanguati; ai tanti
condottieri consegnati alla storia come testimonianze di un fato
malvagio: uno l'ira lo trucidò nel sonno del suo letto; un
altro l'ira lo uccise violando i sacri diritti di una mensa ospitale;
un altro ancora l'ira lo dilaniò nel bel mezzo di un processo,
nel foro, sotto lo sguardo degli astanti; ad un altro ingiunse di
offrire il proprio sangue al figlio parricida; ad un altro ancora
comandò di offrire la propria gola regale ad una mano omicida
di schiavo; ad un altro, infine, di stendere le membra su una croce.
II,3 E per ora mi sto limitando
a riferire di supplizi patiti da singoli individui: che cosa avverrà
se - tralasciando coloro contro i quali l'ira si accanì,
nella loro singola persona - avrai il coraggio di volgere lo sguardo
ad intere assemblee falcidiate con la spada, alla plebe trucidata
da un esercito sguinzagliatole contro, ad intere popolazioni condannate
a morte sommaria? [
]
[+++ qui c'è una lacuna nell'originale
+++]
II,4 [
] come se non tenessero
in alcun conto, o addirittura disprezzassero, la nostra persona
e la nostra autorità. E allora? Per quale motivo la folla
infierisce contro i gladiatori, e con tanto accanimento da considerare
un'offesa il fatto che essi non vadano di buon grado incontro alla
morte? La folla la ritiene una mancanza di rispetto nei propri confronti
e nel volto, nei gesti, nella febbrile concitazione si muta da mera
spettatrice a canaglia ostile.
Qualunque cosa sia questa, di certo non è ira, ma una sottospecie
d'ira, un qualcosa di simile a quella stizza che manifestano i bambini,
i quali - se han preso un capitombolo - smaniano che il suolo sia
pigliato a botte, il più delle volte senza neanche sapere
perché, poi, si siano stizziti: ma tanto basta: son presi
dalla stizza, senza alcun vero motivo o pretesto ingiurioso, non
tuttavia senza una qualche parvenza d'ingiuria subita né
senza qualche desiderio di punizione.
E così, vengon fatti fessi e contenti col far finta di prender
a botte il suolo, si chetano con un finto piagnucolio di scuse e,
insomma, con una vendetta posticcia si rimedia ad un altrettanto
artificioso rancore.
21 agosto 2002 - Trad.
Bukowski
1.
Iam uero si effectus eius damnaque intueri uelis, nulla pestis
humano generi pluris stetit. Videbis caedes ac uenena et reorum
mutuas sordes et urbium clades et totarum exitia gentium et principum
sub ciuili hasta capita uenalia et subiectas tectis faces nec
intra moenia coercitos ignes sed ingentia spatia regionum hostili
flamma relucentia.
2. Aspice nobilissimarum ciuitatum fundamenta uix notabilia: has
ira deiecit. Aspice solitudines per multa milia sine habitatore
desertas: has ira exhausit. Aspice tot memoriae proditos duces
mali exempla fati: alium ira in cubili suo confodit, alium intra
sacra mensae iura percussit, alium intra leges celebrisque spectaculum
fori lancinauit, alium filii parricidio dare sanguinem iussit,
alium seruili manu regalem aperire iugulum, alium in cruce membra
diffindere.
3. Et adhuc singulorum supplicia narro: quid si tibi libuerit,
relictis in quos ira uiritim exarsit, aspicere caesas gladio contiones
et plebem inmisso milite contrucidatam et in perniciem promiscuam
totos populos capitis damna<tos> * * * ?
4. * * * tamquam aut curam nostram deserentibus aut auctoritatem
contemnentibus. Quid? gladiatoribus quare populus irascitur, et
tam inique ut iniuriam putet quod non libenter pereunt? contemni
se iudicat et uultu gestu ardore ex spectatore in aduersarium
uertitur. 5. Quidquid est tale, non est ira, sed quasi ira, sicut
puerorum qui, si ceciderunt, terram uerberari uolunt et saepe
ne sciunt quidem cur irascantur, sed tantum irascuntur, sine causa
et sine iniuria, non tamen sine aliqua iniuriae specie nec sine
aliqua poenae cupiditate. Deluduntur itaque imitatione plagarum
et simulatis deprecantium lacrimis placantur et falsa ultione
falsus dolor tollitur.
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