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Libro primo, paragrafo
quarto.
A raffinare la sua definizione dell'ira, Seneca
indugia nei distinguo: innanzitutto, l'ira è cosa diversa
rispetto all' "iracundia", ch'è "irritabilità"
o "irascibilità", ovvero - potremmo dire - una
disposizione naturale e costante all'ira stessa. Potremmo altresì
dire, con una certa approssimazione, che la relazione che intercorre
tra ira ed iracundia richiama quella tra atto e potenza; ma se l'ira
è una sorta di "follia rapsodica" [cfr. cap. I,1],
l'iracundia è una componente caratteriale pronta a sbottare,
con una certa costanza e frequenza, nell'ira: insomma, la differenza
è la stessa che intercorre tra l'ubriaco occasionale e il
beone, tra lo spaventato e il codardo per natura [IV,1].
In realtà, l'ira ha una fenomenologia molto sfaccettata [IV,3]:
la lingua latina, come sempre avviene a riguardo di tematiche che
vertono sulla dimensione dell'umano, in realtà si mostra,
almeno a confronto di quella greca, povera di una terminologia esaustiva
e "filosoficamente" rigorosa [IV,2]; purtuttavia, già
l'insieme, relativamente ristretto, di "sinonimi" che
il latino ha a disposizione per tratteggiare le sfaccettature di
questa multiforme passione ne ribadisce la tipologia complessa e
difficilmente passibile di un'euristica adeguata.
IV,1 Che cosa sia l'ira
è stato spiegato a sufficienza; in che cosa si differenzi
dall'irritabilità [iracundia]
lo si evince chiaramente: la differenza è la stessa che intercorre
tra l'ubriaco occasionale e il beone, tra lo spaventato e il codardo
per natura. Chi è in preda all'ira non è necessariamente
un iracondo; viceversa, è possibile che un iracondo, in talune
circostanze, non sia in preda all'ira.
IV,2 Tralascerò le altre
definizioni, che in greco, con termini specifici, descrivono le
diverse sfaccettature dell'ira, dato che, nella nostra lingua, esse
non hanno corrispondenze pertinenti: per quanto noi comunque usiamo
termini attributivi quale "irritabile, acido", e parimenti
"bilioso, rabbioso, brontolone, difficile [di
carattere, ndt], scostante", termini che, nel loro insieme,
definiscono sfaccettature dell'essere adirati; a questi, si potrebbe
aggiungere "schizzinoso", ch'è una sfaccettatura
molto sottile dell'iracondia.
IV,3 Ci sono, allora, certe
modalità di ira che si esauriscono semplicemente col far
baccano [oggi si direbbe: can che abbaia,
non morde; ndt]; altre che sono tanto pertinaci quanto frequenti;
altre ancora che sfogano la loro violenza coi fatti, non già
con le parole; altre, di poi, che sbottano in maldicenze ed insulti;
e inoltre: tal altre che non oltrepassano il limite delle lamentele
e della scontrosità; altre, infine, che covano, profonde
e gravide di rancore, nell'intimo: e si annoverano mille altre diverse
sfaccettature di un male - quale questo dell'ira - che presenta
una fenomenologia molto variegata.
23 agosto 2002 - Trad.
Bukowski
1.
Quid esset ira satis explicitum est. Quo distet ab iracundia apparet:
quo ebrius ab ebrioso et timens a timido. Iratus potest non esse
iracundus: iracundus potest aliquando iratus non esse.
2. Cetera quae pluribus apud Graecos nominibus in species iram
distinguunt, quia apud nos uocabula sua non habent, praeteribo,
etiam si amarum nos acerbumque dicimus, nec minus stomachosum
rabiosum clamosum difficilem asperum, quae omnia irarum differentiae
sunt; inter hos morosum ponas licet, delicatum iracundiae genus.
3. Quaedam enim sunt irae quae intra clamorem considant, quaedam
non minus pertinaces quam frequentes, quaedam saeuae manu uerbis
parciores, quaedam in uerborum maledictorumque amaritudinem effusae;
quaedam ultra querellas et auersationes non exeunt, quaedam altae
grauesque sunt et introrsus uersae: mille aliae species sunt mali
multiplicis.
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