Vita.
La nascita e gli studi. Poche sono le notizie
in nostro possesso sulla vita di questo che è certamente
il personaggio più poliedrico e affascinante dell'età
degli Antonini (lo stesso "praenomen" tramandatoci sembra
essere piuttosto una conseguenza del fatto che il protagonista del
suo romanzo si chiama appunto Lucio); notizie, del resto, tutte
ricavabili da certe informazioni che lo stesso scrittore ci fornisce
nelle sue opere, soprattutto nell' "Apologia". Così sappiamo
che nacque a Madaura intorno al 125 d.C, che fu di estrazione agiata
e che studiò a Cartagine, dove apprese le regole dell'eloquenza
latina; si recò poi ad Atene, per avviarsi allo studio del
pensiero greco. Ciò che principalmente l'attraeva erano le
dottrine nelle quali il pensiero religioso aveva una sua funzione:
ma lo stoicismo, al quale rimanevano fedeli in gran parte i nobili
romani e di cui Marco Aurelio sarà un adepto, lo attraeva
molto meno del platonismo, o della dottrina che allora passava sotto
questo termine (platonismo se così possiamo dire "teosofico"),
impregnata di misticismo e addirittura di magia.
L'iniziazione ai culti misterici. A. si
fece iniziare a tutti i culti più o meno segreti che a quei
tempi abbondavano nell'Oriente mediterraneo: misteri di Eleusi,
di Mitra, misteri di Iside, culto dei Cabiri a Samotracia, e tanti
altri di minore fama. La sua speranza era di trovare il "segreto
delle cose" e, al pari della sua eroina Psiche, si abbandonava a
tutti i dèmoni della curiosità, avventurandosi fino
alle frontiere del sacrilegio.
L'accusa di magia e il processo. La strada
del ritorno dalla Grecia all'Africa lo condusse attraverso le regioni
asiatiche, in Egitto e quindi in Cirenaica, dove lo attendeva una
straordinaria avventura verso Alessandria (155-156). Ad Oea (l'odierna
Tripoli), infatti, conobbe Pudentilla, madre di uno dei suoi compagni
di studi ad Atene, Ponziano, la quale, rimasta vedova, desiderava
riprendere marito. A. le piacque, e i due si sposarono. I parenti
della nobildonna, adirati nel vedere compromessa l'eredità,
intentarono un processo al "filosofo" straniero accusandolo di aver
plagiato e sedotto la donna con arti magiche per impossessarsi dei
suoi averi, e lo tradussero davanti al governatore della provincia.
Per difendersi, A. compose un'arringa scintillante di spirito, che
ci è stata conservata col titolo di "Apologia" (158).
Gli ultimi anni. Dopo il processo, lo scrittore
tornò a Cartagine, dove ottenne varie dignità (come
quella di "sacerdos provinciae" del culto imperiale, ma fu pure
sacerdote e propagandista del culto di Asclepio) e dove proseguì
la sua brillante carriera di conferenziere (i Cartaginesi giunsero
ad innalzare statue in suo onore). Infine, la sua morte va collocata
probabilmente dopo il 170 d.C., dal momento che da quest'anno in
poi non abbiamo più notizie sul suo conto.
Opere.
- "Apologia" o "De magia" (158),
come detto, versione successivamente rielaborata della propria,
vittoriosa, orazione difensiva. L'episodio autobiografico viene
filtrato attraverso una densa rete letteraria, che lo rende
quasi emblematico, se non addirittura mitico; costante vi è
poi l'ironia, da cui traspare la sicurezza della vittoria. In
quest'opera, così, è già in nuce
lo stile caratteristico dello scrittore, fatto di folgorazioni,
sospensioni, parallelismi, allitterazioni, di espressioni nuove
ed inaspettate, dove il ciceronianismo di fondo già si
sfalda in una serie di brevi, frizzanti periodi. Dal punto di
vista della difesa, invece, A. distingue tra filosofia e magia:
la differenza è che il filosofo può avere contatti
coi demoni (vd. oltre, "De deo Socratis") per fini di purificazione
spirituale, mentre il mago, con le sue arti, intende raggiungere
scopi malefici. E’, infine, interessante paragonare questo genere
di eloquenza, di discorso effettivamente pronunciato davanti
a un tribunale, con quella dei "Florida" (antherà,
"selezioni di fiori"), estratti di conferenze (23 brani oratori)
tenute dallo scrittore a Cartagine e a Roma, antologizzati in
4 libri da un anonimo ed eccezionali esempi di virtuosismo retorico.
- Tre opere filosofiche:
- "De mundo", rifacimento – in
chiave stoicheggiante – dell’omonimo trattato pseudoaristotelico;
- "De Platone et eius dogmate"
, una sintesi della fisica e dell’etica di Platone, cui
doveva seguire una logica ("Perì ermeneias"?):
ne emerge un Platone permeato di neopitagorismo, di teorie
misteriche ed iniziatiche;
- "De deo Socratis" , un opuscolo
in cui A. esamina la demonologia di Socrate: sotto l’influsso
delle filosofie orientali, i "demoni" (ovvero, divinità)
diventano Angeli, o affini ad essi, per A., spiriti che
fungono da intermediari tra gli dèi e gli uomini,
e che presiedono a rivelazioni e presagi.
- Numerose, poi, le opere perdute, o di cui
ci resta molto poco. Scrisse di aritmetica, musica, medicina
ecc., e, tra le altre cose, compose "Carmina amatoria",
"Ludicra" (di questa raccolta faceva parte un carme su
un dentifricio e due epigrammi d'amore conservati nell' "Apologia")
e poi una traduzione del "Fedone" platonico, un romanzo,
"Hermagoras", di cui ci restano due frammenti e nel quale
doveva essere celebrato il culto di "Ermete Trismegisto". Il
carattere enciclopedico e insieme misterico e salvifico della
sua produzione minore è confermato pure da scritti trasmessi
sotto il suo nome, specie da un dialogo ermetico apocrifo, l'
"Asclepius".
- "Metamorfosi" ("Metamorphoseon libri
XI"), denominato a volte "L'asino d'oro" ("Asinus Aureus"),
certamente il suo capolavoro ("Asino d'oro" è il titolo
con cui la prima volta lo indicò Sant'Agostino nel "De
civitate Dei": ma non si sa se l'aggettivo "aureus" sia stato
coniato in riferimento alle doti eccezionali dell'asino, oppure
alla qualità artistica del romanzo, oppure ancora al
valore di edificazione morale insito nella storia del protagonista).
Le
"Metamorfosi". Trama e considerazioni.
Introduzione. *Il romanzo, opera stravagante
in 11 libri, è forse l'adattamento (almeno nei primi 10)
di uno scritto di Luciano di Samosata di cui non siamo in possesso,
ma del quale ci è pervenuto un plagio intitolato "Lucius
o L'asino": si discute se A. abbia seguito il modello solo nella
trama principale, o ne abbia ricavato anche le molte digressioni
novellistiche tragiche ed erotiche. Non è improbabile, poi,
che sia A. che Luciano abbiano (sia pure con intenti del tutto diversi)
rielaborato un'ulteriore fonte, di cui ci testimonia Fozio: ovvero,
un'opera intitolata, manco a dirlo, "Metamorfosi", e attribuito
ad un certo Lucio di Patre, il cui canovaccio esteriore è
praticamente lo stesso dell'opera del nostro. "Le "Metamorfosi"
di A. gravitano comunque nella tradizione della "milesia", ma anche
in quella del romanzo greco contemporaneo, arricchito però
dall’originale e determinante elemento magico e misterico.
Dunque, nell'opera, il magico si alterna con l’epico
(nelle storie, ad es., dei briganti), col tragico, col comico, in
una sperimentazione di generi diversi (ordinati ovviamente in un
unico disegno, con un impianto strutturale abbastanza rigoroso),
che trova corrispondenza nello sperimentalismo linguistico, nella
piena padronanza di diversi registri, variamente combinati nel tessuto
verbale: e il tutto in una lingua, comunque, decisamente "letteraria".
Trama. *La storia narra di un giovane chiamato
Lucio (identificato da A. con lo stesso narratore), appassionato
di magia. Originario di Patrasso, in Grecia, egli si reca per affari
in Tessaglia, paese delle streghe. Là, per caso, si trova
ad alloggiare in casa del ricco Milone, la cui moglie Panfila è
ritenuta una maga: ha la facoltà di trasformarsi in uccello.
Lucio - avvinto dalla sua insaziabile "curiositas" - vuole
imitarla e, valendosi dell'aiuto di una servetta, Fotis, accede
alla stanza degli unguenti magici della donna. Ma sbaglia unguento,
e viene trasformato in asino, pur conservando coscienza ed intelligenza
umana. Per una simile disgrazia, il rimedio sarebbe semplice (gli
basterebbe mangiare alcune rose), se un concatenarsi straordinario
di circostanze non gli impedisse di scoprire l'antidoto indispensabile.
Rapito da certi ladri, che hanno fatto irruzione nella casa, durante
la notte stessa della metamorfosi, egli rimane bestia da soma per
lunghi mesi, si trova coinvolto in mille avventure, sottoposto ad
infinite angherie e muto testimone dei più abietti vizi umani;
in breve, il tema è un comodo pretesto per mettere insieme
una miriade di racconti.
Nella caverna dei briganti, Lucio ascolta la lunga
e bellissima favola di "Amore e Psiche", narrata da una vecchia
ad una fanciulla rapita dai malviventi: la favola racconta appunto
l'avventura di Psiche, l'Anima, innamorata di Eros, dio del desiderio,
uno dei grandi dèmoni dell'universo platonico, la quale possiede
senza saperlo, nella notte della propria coscienza, il dio che lei
ama, e che però smarrisce per curiosità, per ritrovarlo
poi nel dolore di un'espiazione che le fa attraversare tutti gli
"elementi" del mondo) (vd oltre, la parte dedicata specificamente
alla favola).
Sconfitti poi i briganti dal fidanzato della fanciulla,
Lucio viene liberato, finché – dopo altre peripezie – si
trova nella regione di Corinto, dove, sempre sotto forma asinina,
si addormenta sulla spiaggia di Cancree; durante la notte di plenilunio,
vede apparire in sogno la dea Iside che lo conforta, gli annuncia
la fine del supplizio e gli indica dove potrà trovare le
benefiche rose. Il giorno dopo, il miracolo si compie nel corso
di una processione di fedeli della dea e Lucio, per riconoscenza,
si fa iniziare ai misteri di Iside e Osiride.
La chiave "mistagogica". *L'ultima parte
del romanzo (libro XI), che si svolge in un clima di forte suggestione
mistica ed iniziatica, non ha equivalente nel testo del modello
greco. E’ evidente che è un'aggiunta di A., al pari della
celebre "favola" di Amore e Psiche, che si trova inserita verso
la metà dell'opera: centralità decisamente "programmatica",
che fa della stessa quasi un modello in scala ridotta dell’intero
percorso narrativo del romanzo, offrendone la corretta decodificazione.
Ci si può chiedere se queste aggiunte non
servano a spiegare l'intenzione dell'autore. In realtà l'episodio
di Iside, come quello di Amore e Psiche, ha un evidente significato
religioso: indubbio nel primo; fortemente probabile nel secondo,
interpretato specificamente ora come mito filosofico di matrice
platonica, ora come un racconto di iniziazione al culto iliaco,
ora – ma meno efficacemente – come un mito cristiano.
Certo è, comunque, che tutto il romanzo
è carico di rimandi simbolici all’itinerario spirituale del
protagonista-autore: la vicenda di Lucio ha, infatti, indubbiamente
valore allegorica: rappresenta la caduta e la redenzione dell’uomo,
di cui l’XI libro è certamente la conclusione religiosa (lo
stesso numero dei libri, 11, sembra del resto far pensare al numero
dei giorni richiesti per l'iniziazione misterica, 10 appunto di
purificazione e 1 dedicato al rito religioso). Il tutto farebbe
delle "Metamorfosi", così, un vero e proprio romanzo "mistagogico",
che sembrerebbe invero registrare l'esperienza stessa dello scrittore.
Romanzo che, tuttavia, qualunque sia la sua reale
intenzione, ci offre una straordinaria descrizione delle province
dell'impero al tempo degli Antonini e, in modo particolare, della
vita del popolo minuto. Confrontato con quello di Petronio, dà
però la curiosa impressione che i personaggi vi siano osservati
a maggiore distanza, come in un immenso affresco dove si muovono,
agitandosi, innumerevoli comparse.
La
favola di "Amore e Psiche".
Premessa. Come detto, la favola di Amore
e Psiche, che si estende emblematicamente dalla fine del IV libro
(paragrafo XXVIII) a buona parte del VI (prg. XXIV incl.), ha un'importanza
esemplare nell'economia generale del romanzo, svolgendo una funzione
non solo esornativa, ma fornendocene invero la corretta chiave di
lettura e di decodificazione, fulcro artistico ed etico dell'opera
tutta.
Trama. La favola inizia nel più classico
dei modi: c'erano una volta, in una città, un re e una regina,
che avevano tre figlie. L'ultima, Psiche, è bellissima, tanto
da suscitare la gelosia di Venere, la quale prega il dio Amore di
ispirare alla fanciulla una passione disonorevole per l'uomo più
vile della terra. Tuttavia, lo stesso Amore si invaghisce della
ragazza, e la trasporta nel suo palazzo, dov'ella è servita
ed onorata come una regina da ancelle invisibili e dove, ogni notte,
il dio le procura indimenticabili visite. Ma Psiche deve stare attenta
a non vedere il viso del misterioso amante, a rischio di rompere
l'incantesimo. Per consolare la sua solitudine, la fanciulla ottiene
di far venire nel castello le sue due sorelle; ma queste, invidiose,
le suggeriscono che il suo amante è in realtà un serpente
mostruoso: allora, Psiche, proprio come Lucio, non resiste alla
"curiositas", e, armata di pugnale, si avvicina al suo amante
per ucciderlo. Ma a lei il dio Amore, che dorme, si rivela nel suo
fulgore, coi capelli profumati di ambrosia e le ali rugiadose di
luce e il candido collo e le guance di porpora. Dalla faretra del
dio, Psiche trae una saetta, dalla quale resta punta, innamorandosi,
così, perdutamente, del'Amore stesso. Dalla lucerna di Psiche
una stilla d'olio cade sul corpo di Amore, e lo sveglia. L'amante,
allora, fugge da Psiche, che ha violato il patto. L'incantesimo,
dunque, è rotto, e Psiche, disperata, si mette alla ricerca
dell'amato. Deve affrontare l'ira di Venere, che sfoga la sua gelosia
imponendole di superare quattro difficilissime prove, l'ultima delle
quali comporta la discesa nel regno dei morti e il farsi dare da
Persefone un vasetto. Psiche avrebbe dovuto consegnarlo a Venere
senza aprirlo, ma la curiosità la perde ancora una volta.
La fanciulla viene allora avvolta in un sonno mortale, ma interviene
Amore a salvarla; non solo: il dio otterrà per lei da Giove
l'immortalità e la farà sua sposa. Dalla loro unione
nascerà una figlia, chiamata "Voluttà".
La chiave di lettura della favola. La successione
degli avvenimenti della novella riprende quella delle vicende del
romanzo: prima un'avventura erotica, poi la "curiositas"
punita con la perdita della condizione beata, quindi le peripezie
e le sofferenze, che vengono alfine concluse dall'azione salvifica
della divinità. La favola, insomma, rappresenterebbe il destino
dell'anima, che, per aver commesso il peccato di "hybris"
(tracotanza) tentando di penetrare un mistero che non le era consentito
di svelare, deve scontare la sua colpa con umiliazioni ed affanni
di ogni genere prima di rendersi degna di ricongiungersi al dio.
L'allegoria filosofica è appena accennata (se non altro,
nel nome della protagonista, Psiche, simbolo dell'anima umana),
ma il significato religioso è evidente soprattutto nell'intervento
finale del dio Amore, che, come Iside, prende l'iniziativa di salvare
chi è caduto, e lo fa di sua spontanea volontà, non
per i meriti della creatura umana.
...:::Bukowski:::...
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