Il "Pervigilium Veneris" ("La veglia di Venere")
– contenuto nella "Anthologia Latina", una raccolta di componimenti
poetici di età imperiale - è, senza dubbio, il capolavoro
della poesia latina del III sec. d.C. .
Strutturato in 10 strofe di lunghezza diseguale
(per un totale di 93 tetrametri trocaici), si presenta come un inno
da cantare (presumibilmente da un coro di fanciulle) alla vigilia
della festa notturna in onore di Venere Iblea, alle falde dell’Etna,
al ridestarsi della natura al ritorno della primavera.
E’ un carme problematico: per la datazione (che
va dal II al IV sec.), per la paternità (Floro?), per l’interpretazione.
In sé, è un susseguirsi di immagini,
che conferiscono al tutto un andamento quasi esaltato: l’inizio
della primavera, l’invito a non lasciarla passare senza aver gustato
l’amore, la nascita di Venere dalle onde del mare, il suo trionfo
tra le ninfe, la presenza di Amore, l’invito alla severa Diana perché
si allontani e così tutti (ninfe, fanciulle e fiori) conoscano
l’amore, le nozze cosmiche tra l’Etere e la Terra, e di nuovo, la
presenza di Venere fecondatrice e progenitrice dei Cesari.
L’ebbrezza dell’amore e della primavera si smorza,
stranamente, alla fine del carme, dove il poeta si domanda quando
mai sarebbe venuta, per lui, la primavera. Nella chiusa del "Pervigilium"
deve, dunque, essere racchiuso il segreto dell’autore e della sua
poesia.
L'inno, dunque, è strutturato in vari quadretti
intercalati da un "refrain" (ripetuto 11 volte), un voluttuoso e
malinconico invito ad amare: "Cras amet qui numquam amavit quique
amavit cras amet" (" Domani ami chi mai amò, chi amò
domani ami ancora").
Su un sensuale paesaggio, domina la forza della
primavera (vengono alla mente Virgilio [Georgiche II, 323-345] e
Ovidio [Tristia III, 12]) e dell’amore (viene alla mente l’ "Inno
alla Venere generatrice" di Lucrezio), ma con la trepidazione di
chi sa che può da un momento all’altro perderlo.
L’anonimo autore riesce ad ottenere effetti di
straordinaria musicalità, servendosi di un lessico poetico
che apparentemente vuol essere popolare (come popolare è
il tema della festa), ma che in realtà è raffinata
e dotta espressione: nello stile, infatti, troviamo sposati i volgarismi
del lessico e della sintassi popolare con virtuosismi e preziosismi,
che rimandano addirittura a Catullo come suo più autorevole
modello.
Non solo: nel carme, è profuso a piene mani
tutto l’armamentario mitologico (Filomela , Tereo, Bacco, Febo,
Delia, Cerere…), storico (Troiani, Latini, Sabini, Quiriti, Cesare…),
geografico (Laurento, Amycla). E, soprattutto, come visto, c’è
un riecheggiamento dei grandi autori della tradizione classica.
...:::Bukowski:::...
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