Vita.
Schiavo affrancato da Augusto. F. nacque
durante il principato di Augusto, ma fu attivo sotto Tiberio, Caligola
e Claudio. E' uno dei pochissimi autori di nascita non libera nella
letteratura della I età imperiale: egli era infatti uno schiavo
di origine tracia (ma dovette avere una discreta educazione letteraria,
se è vero - come egli stesso confessa - che da fanciullo
legge Ennio), e nei manoscritti delle sue opere è citato
come liberto di Augusto (sembra, quindi, che fosse stato liberato
proprio dall'imperatore, da cui avrebbe ricavato il prenome Gaio
e il nome Giulio: ma non conosciamo le circostanze dell'affrancamento).
Guai col potere costituito, morte nella quasi
dimenticanza. Da accenni nella sua stessa opera (prologo del
III libro), si evince che il poeta sarebbe stato inoltre perseguitato
da Seiano, il braccio destro di Tiberio, rimasto offeso da allusioni
colte in alcuni scritti. Dopo la condanna, F. soffrì umiliazioni
e, probabilmente, la povertà: visse abbastanza a lungo, ma
- oltre ciò - nulla di più certo si sa della sua vita.
Segno, questo, che la sua produzione evidentemente non ebbe molta
fortuna ai suoi tempi.
Opera.
Il "corpus" delle favole.
Sotto il nome di F., ci sono tramandate poco più di 90 "Favole",
divise in 5 libri, e tutte in senari giambici. Sono sicuramente
sue anche le circa 30 favole raccolte nella cosiddetta "Appendix
Perottina", che prende nome dall'umanista Niccolò Perotti,
curatore della raccolta. Di altre ci resta la parafrasi in prosa.
Il I libro (31 favole) fu scritto subito dopo la
morte di augusto; il II (8) durante il ritiro di tiberio a Capri;
il III (19) il IV (25) e il V (10) sotto Caligola e sotto Claudio.
La scarsa estensione del II e del V libro è forse un indizio
che la raccolta, così come ci è giunta, è in
verità estratto di una più ampia.
La struttura. Nonostante la (relativa) varietà
di situazioni e personaggi presenti nelle favole, la struttura di
queste segue, generalmente, strutture ordinate da "passaggi" quasi
obbligati; ecco, ad es., come gli alunni della Scuola Media "N.
Ricciotti" di Frosinone hanno chiaramente schematizzato la struttura
di tre notissime favole:
Il lupo e l'agnello: 1 - Azione immediata
dei personaggi; 2 - Contrasto di carattere; 3 - Assenza di aspetto
fisico; 4 - Ruolo indistinto tra protagonista e antagonista; 5 -
Successione alternata di attacco e di difesa attraverso il dialogo;
6 - Scioglimento violento del contrasto; 7 - Morale espressa.
Il lupo e il cane: 1 - Accenno di
situazione iniziale; 2 - Descrizione funzionale dei personaggi;
3 - Ruolo indistinto tra protagonista ed antagonista; 4 - Confronto
dialogico; 5 - Scoperta della verità attraverso il dialogo;
6 - Morale.
La vacca, la capretta, la pecora e il leone:
1 - Morale espressa; 2 - Situazione iniziale; 3 - Azione dei personaggi;
4 - Prepotenza e violenza giustificate attraverso la parola; 5 -
Umiltà e sottomissione dimostrate attraverso il silenzio;
6 - Morale espressa.
Orbene, con buona approssimazione, potrei affermare
che quasi tutte le favole presenti nel "corpus" seguono praticamente
le scansioni suddette.
Considerazioni.
La favola in Grecia e a Roma. Il genere
della favola, prima di F., non aveva una grande tradizione (almeno
scritta) nella letteratura latina: la sua nascita - almeno per quanto
riguarda la sua forma scritta - coincide praticamente con la produzione
del greco Esopo (VI sec. a.C.), una produzione invero già
"matura". Essa constava di storielle, in prosa, che presentavano
spunti umoristici e pillole di saggezza, e a cui erano allegate
una premessa o una postilla che spiegavano il tema della favola
o la morale che si poteva trarre da essa. Tipico del genere era,
poi, l'uso di animali come maschere, personaggi umanizzati dotati
di una psicologia fissa (evidentemente, l'uso di questi "tipi" animaleschi
doveva essere ritenuto meno compromettente, su un fronte casomai
"politico": ma ciò fu solo in parte esatto, se è vero
che lo stesso F., nonostante avesse "ereditato" almeno all'inizio
questo accorgimento, incorse comunque nelle ire di Seiano, come
detto).
A Roma, con molta probabilità, questa materia
originaria dovette avere, almeno all'inizio, una diffusione esclusivamente
"orale", e soprattutto fra gli strati subalterni, nonché
- a livello letterario più "nobile" - attraverso una vera
e propria "contaminazione" col genere satirico, almeno secondo istruttivi
indizi su Ennio e Lucilio, e secondo l'opera dello stesso Orazio.
Proprio a quest'ultimo, infatti, risalgono - se vogliamo - le prime
vere testimonianze di favole scritte in latino: il famoso apologo
del topo di città e del topo di campagna, nonché richiami
alle favole della rana e del bue, del cavallo e del cervo, della
volpe e della donnola, contenute negli "Epodi" e soprattutto, manco
a dirlo, nelle "Satire".
E' a questo punto d'arrivo che si colloca la figura
e l'opera di F., che da tutti quei prodromi prenderà spunti,
temi (morali), situazioni e personaggi, però rielaborandoli
ed adattandoli - come vedremo - alla propria personalità
e al proprio tempo.
Limiti palesi di F. … Ora, F. ha una posizione
sociale modesta e come poeta non si può definire veramente
un virtuoso: pratica un genere letterario ritenuto minore, anch'esso
marginale rispetto alle grandi corrente dell'età imperiale.
Come narratore, invero, egli poi inventa ben poco: prese una per
una, le sue favole sono poco originali, indebitate con la tradizione
esopica e con una raccolta di favole di età ellenistica (questo,
soprattutto nel I libro); quanto alla rielaborazione letteraria,
nessuna delle favole di F. può superare le opere dei grandi
poeti.
… ma, altresì, suoi grandi meriti: la
favola assurge a dignità letteraria. Tuttavia, a questo
umile artigiano tocca una priorità storica importante: è
il primo autore che ci presenta una raccolta di temi favolistici,
concepita come autonoma opera di poesia, destinata alla lettura.
Il merito del nostro sta, infatti, nell'impegno costante e metodico
per dare alla favola una misura, una regola, una voce ben definita
e riconoscibile: egli, insomma, pur definendosi come il continuatore
di un genere già a suo modo "stabilizzato" da Esopo, tuttavia
lo innova, ne dilata gli orizzonti e lo porta a perfezione, adattandolo
alla tradizione culturale latina. Lo stesso F. è orgogliosamente
consapevole di questo "traguardo", raggiunto ovviamente attraverso
tappe difficili e progressive, com'è avvertibile, del resto,
nel corso stesso dell'opera (da una più vincolata aderenza
al modello verso una più spiccata e piacente originalità).
Alla fine, il nostro favolista può ben affermare che le sue
composizioni sono "Aesopias, non Aesopi", "esopiane, ma non
di Esopo", ovvero composte secondo lo stile e i caratteri della
favola esopica, ma non semplici traslitterazioni di quella.
Non solo. F. - rivoluzionariamente - volge la prosa
favolistica in poesia, adottando il senario giambico come metro
per le sue composizioni: con questa scelta, egli si collega alla
versificazione latina arcaica, mostrando - non senza una certa nota
polemica contro i detrattori di quel genere, ostinati (come detto)
a considerarlo "minore" - che la favola era ben degna di un tal
illustre verso (tipico dell'alta commedia, con la quale del resto
condivideva lo scopo: "risum movere", "far ridere") e di
uno stile rigoroso e colto.
Componimenti "metaletterari".
Queste sue riflessioni di poetica (sui rapporti con la tradizione
e sui tempi e i modi della propria originalità), F. le affida
a specifici componimenti, che all'interno della sua opera assumono
funzione prettamente, come dire, "metaletteraria": è il caso,
ad es., degl'importanti prologhi dei 5 libri e degli altrettanto
importanti epiloghi dei libri II, III, IV.
Istanze sociali nelle favole. Le "morali"
di F., e la stessa allegoria del mondo animale, poi, non sono soltanto
mere espressioni del buon senso, bensì esprimono anche una
mentalità sociale, ossia il punto di vista delle classi subalterne
della società romana: egli è davvero l'unico a dare
voce al mondo degli schiavi e degli emarginati, promuovendolo ad
oggetto letterario; e non manca di accenni violentemente polemici,
colpendo - nel suo stile quasi satirico - tipi di uomini e regole
del vivere: perché le sue favole vogliono essere sì
divertenti, ma insieme vogliono anche "istruire".
In questo, la sua opera contiene una forte istanza
realistica (di "realismo comico", ovviamente) e a suo modo "ideologica";
anche se, a ben vedere, la sua ideologia esprime più che
una vera protesta una rassegnata e amara consapevolezza: la consapevolezza
che nel mondo sempre ha regnato, regna, e regnerà sempre
incontrastata la legge del più forte e del più prepotente:
agli umili, ai poveri, ai sottomessi non resta altro che provare
ad eludere questa forza, per quanto possibile, con l'astuzia e con
l'arguzia, cercando nella vita sempre il "men peggio". E proprio
loro - gli schiavi, gli umili, gli emarginati - sono gl'ideali destinatari
dell' "utilitaristica" produzione del favolista romano.
Temi, linguaggio e personaggi, fra tradizione
ed originalità. Nelle favole, è quasi del tutto
assente - invece - un realismo descrittivo e linguistico, anzi il
loro mondo è piuttosto generico, il linguaggio asciutto e
poco caratterizzato (ma è una "brevitas" che lo stesso
autore annovera tra i suoi pregi). Non mancano tuttavia spunti di
adesione alla realtà contemporanea: F., infatti - come già
accennato - non si limita sempre alla tradizione della fiaba d'animali,
e talora (soprattutto nei libri successivi al I) sembra inventare
di suo, come nel racconto che ha per protagonista Tiberio; altrove
ricava anche aneddoti dalla storia, seguendo anche una scelta oculata
che rispettasse il criterio della "variatio". Così,
non troviamo soltanto quegli animali-personaggi già assodati
dalla tradizione (i più frequenti, e con un ruolo da dominatori,
sono il lupo, la volpe, il cane, il leone, l'aquila, il serpente…),
né le solite anonime figure umane (il ladro, i viandanti,
il brigante, il buffone, il contadino…), ma anche personaggi storici
(Simonide, il poeta Menandro, il tiranno Demetrio, Cesare, Socrate)
o mitologici (Prometeo, Giove, Giunone), nonché lo stesso
Esopo, assurto a simbolo dell'arguzia popolare. Il "padre fondatore"
del genere lascia - qui - quasi la sua palma a F., divenendo poco
più che un semplice personaggio fra gli altri, anche se di
rilievo.
...:::Bukowski:::...
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