Vita.
Uomo tutto dedito agli studi. Della sua
vita possediamo poche notizie, desumibili soprattutto dalle sue
stesse opere e da Plinio, che in una lettera a Traiano ne sottolinea
la rettitudine e l'erudizione. Nato da una ricca famiglia dell'ordine
equestre, S. rifiutò tuttavia la carriera di amministratore
o di soldato riservata in genere a quelli del suo rango. Uomo dedito
agli studi, intimo amico di Plinio il Giovane (il quale lo introdusse
nelle simpatie di Traiano, facendogli anche conferire lo "ius
trium liberiorum", una sorta di sussidio familiare che in casi
eccezionali veniva concesso anche a scapoli benemeriti), nonché
avviato alla carriera retorica e forense, lo storico consacrò
tuttavia tutta la sua vita a ricerche erudite che, per certi aspetti,
richiamano quelle di Varrone: ma la sua attività - come vedremo
- si limitò quasi interamente al genere biografico.
Alla corte di Adriano. Grazie all'amicizia
del prefetto del pretorio Setticio Claro (anch'egli amico di Plinio,
sopravvissuto a quest'ultimo, e che avrebbe continuato comunque
a proteggere il nostro autore), intorno al 120 S. riuscì
ancora a diventare segretario "ad epistulas" (incaricato
cioè della corrispondenza) nei servizi dell'imperatore Adriano.
A quest'alto incarico egli poté essere chiamato dopo aver
dato buona prova delle sue qualità di funzionario amministrativo,
prima come sovrintendente di tutte le biblioteche pubbliche di Roma,
poi come "a studiis" (quasi un nostro ministro della cultura
e dell'istruzione). Tutte queste mansioni, e in special modo l'ultima
in ordine di tempo (quella di segretario), gli permisero di accedere
liberamente agli archivi del Palatino, per cui le sue informazioni
ci hanno permesso di ricostruire e di conservare documenti che,
senza di lui, sarebbero andati completamente perduti. Nessun altro
storico, infatti, poteva averne conoscenza.
L'allontanamento dalla corte e il ritiro negli
studi. Dopo il rovescio politico del suo protettore, tuttavia,
anche l'incarico di S. presso la corte non durò molto a lungo.
Nel 122, Adriano lo allontanò con un pretesto, perché,
a quanto pare, alcuni dignitari, e lui fra gli altri, avevano instaurato
un'eccessiva familiarità nell'ambiente dell'imperatrice Sabina.
S., così, trascorse gli ultimi anni della sua vita immerso
negli studi ed attendendo alla pubblicazione delle sue vaste e numerose
opere.
Opere.
Opere minori. A noi S. è noto soprattutto
come autore del "De viris illustribus" e del "De vita Caesarum",
ma abbiamo notizie di molti altri scritti, alcuni riportati nella
"Suda" (il lessico greco-bizantino composto intorno al 1000), altri
conosciuti per altra via. Tutte queste opere "minori", scritte in
greco o in latino, sono andate perdute, ma è utile ricordarne
almeno i titoli e gli argomenti, a testimonianza degl'interessi
svariati e della vasta erudizione svetoniana: "Historia ludicra",
sui giochi romani; "De anno romanorum", sul calendario; "De genere
vestium", sull'abbigliamento; "De notis", sulle abbreviazioni e
sui segni diacritici usati dagli editori; "De republica Ciceronis",
sul pensiero politico appunto dell'Arpinate; "De regibus", sui re
stranieri; "De institutione officiorum", sui pubblici incarichi;
"De rebus variis"; "De vitiis corporalibus", sui difetti fisici;
"De rerum natura"; "De animalium naturis" e infine le due opere
enciclopediche: "Roma" sulla vita pubblica e privata dei
Romani e "Prata", sul mondo umano e su quello fisico. Si
può supporre che alcune di queste opere fossero confluite
o facessero parte delle due enciclopedie.
De viris illustribus. Nell'opera sugli "uomini
illustri" (o almeno così ritenuti dagli studiosi alessandrini)
della latinità (pubblicata dopo il 113 d.C.), S. non limitava
la propria indagine alla cerchia dei politici e dei militari. Un
libro era dedicato agli oratori, un altro ai poeti, altri ancora
ai grammatici, ai rètori, ai filosofi, eccetera. Di questo
panorama così vasto, a noi restano unicamente le notizie
riguardanti grammatici e rètori, particolarmente preziose
per la conoscenza dell'insegnamento a Roma e della sua storia. Degli
altri "capitoli", disponiamo solo di notizie staccate o frammentarie.
Quelle sugli scrittori (particolarmente importanti quelle su Terenzio,
Virgilio, Orazio, Lucano) furono tra l'altro utilizzate da san Gerolamo
per la sua "Cronaca", ed è quindi possibile, in una certa
misura, ricostruirle.
In queste biografie erudite, S. si preoccupa fondamentalmente
di raccogliere una documentazione, molto meno di controllarne e
criticarne la validità: non si lascia mai andare a considerazioni
o valutazioni personali, ma si limita a riferire i dati raccolti
dalle fonti ed esporli, accostandoli gli uni agli altri. E’ un testimone
(uno dei primi) della tradizione scolastica (noi diremmo universitaria)
che si forma e si svilupperà, con variazioni diverse, durante
tutta la parte finale dell'antichità e nel Medio Evo, ad
es. nei commentari di Donato (su Virgilio e su Terenzio) alla fine
del IV secolo, e in quelli di Servio (che visse intorno al 400 d.C.)
su Virgilio.
Per ogni biografia, S. si attiene ad uno schema
invariato, desunto dai biografi ellenistici: inizia col nome dell'autore
trattato, poi fa seguire la discendenza, le notizie sulla condizione
sociale, sugli studi e sulla formazione letteraria, quindi passa
a fornire notizie sulle qualità morali ed intellettuali,
sui fatti più salienti della vita, sulle opere, e infine
conclude coi dati relativi alla morte ed alle statue dedicate all'autore.
Il biografo si sofferma su aneddoti e particolari
curiosi, facendo luce anche sui fatti intimi e privati dell'autore
trattato. Fedele poi alla sua formazione "burocratica", S. assai
spesso insiste su episodi nei quali il personaggio era stato in
rapporto coi potenti, come ad es. nel caso di Orazio con Augusto.
De vita Caesarum. Qualunque possa essere
l'importanza delle biografie composte da S. sugli scrittori, nella
formazione della storia letteraria come genere, quella delle "Vite
dei Cesari" (pubblicate dopo il 121 d.C.) è, ovviamente,
di gran lunga più considerevole, giacché, per le parti
ormai perdute degli "Annali" e delle "Storie" di Tacito, esse rappresentano
una preziosa fonte sostitutiva: non dimentichiamo, a tal proposito,
ch'esse ci sono giunte praticamente in versione integrale. Tuttavia,
le biografie degli imperatori (12, da Cesare a Domiziano) non sono
opere storiche nel senso comune del termine: della cronologia e
della concatenazione degli avvenimenti, infatti, nonché delle
loro cause e dei loro effetti, esse tengono conto in modo molto
approssimativo. Ogni fatto è, invece, anche qui classificato
(pressappoco) secondo una categoria ben definita: infanzia, origine,
carattere, ritratto fisico, ritratto intellettuale, attività
militari, giochi offerti al popolo, eccetera. Anche in questo caso,
poi, la componente critica personale o valutativa del biografo è
pressoché inesistente (del resto, egli era più che
altro un uomo di scuola, pressoché a digiuno di politica
nel senso alto del termine).
Altro vantaggio, per noi, delle "Vite dei Cesari"
è il fatto che S. attinge notizie da opere ormai perdute
degli storici dell'impero. Ciò permette di ritrovare una
prospettiva più giusta sugli avvenimenti e sugli uomini che
sono stati oggetto a volte di appassionata ammirazione e altre volte
di odio feroce.
Considerazioni.
I modelli e le fonti per una nuova forma di
storiografia. Il modello, per entrambe le opere, è quello
delle biografie "alessandrine", per non parlare delle influenze
formali più direttamente romane: gli "elogia" e le
"laudationes funebres". Non solo.
Riguardo la seconda, si aggiunge la consapevolezza
in S. che quella del genere biografico è la forma storiografica
più idonea a dar conto della nuova forma che il potere ha
assunto (quella individualistica, personale, del principato) e che
la biografia dei singoli imperatori è la più adatta
a fungere da criterio di periodizzazione della storia dell’Impero.
Dunque, il nostro autore <<inaugura una maniera nuova [di
fare storiografia], applicando il metodo della biografia letteraria
alla biografia politica>> [Funaioli].
Riguardo le fonti, invece, esse furono sicuramente
molteplici, ma è quasi impossibile determinarne genesi e
modalità: sembra che s. abbia trascurato Tacito, probabilmente
perché non ne condivideva le idee; ha sicuramente fatto poi
un accurato spoglio degli archivi imperiali per le biografie sui
Cesari; ma non ha disdegnato infine neanche l'apporto di fonti,
come dire, "orali" (dicerie, ricordi personali o di seconda mano…)
nella raccolta dei gustosi e talora piccanti aneddoti che costellano
le sue opere.
I caratteri. Così, nella tendenza
- tanto deplorata come deteriore gusto del pettegolezzo - ad insistere
sulla vita privata degl’imperatori descrivendone eccessi ed intemperanze,
sui particolari futili e scandalistici, si inclina oggi a vedere
(anche) la manifestazione di una volontà obiettiva e demistificante,
dell’intento di fornire un ritratto integrale e quanto possibile
verosimile ed "umano" del personaggio trattato.
Ne risulta un tipo di storiografia ch'è
stata detta "minore" (rispetto soprattutto a quella "aristocratica"
di Tacito), che delinea anche, in qualche modo, i tratti del suo
destinatario, che è lo stesso ordine dei funzionari e degli
"equites" cui lo storico apparteneva, il punto di vista attraverso
cui le singole vicende sono osservate e valutate.
Lo stile. Riguardo allo stile, infine, è
da dire che S. scrive senza prolissità e senza ricercatezze
arcaicizzanti o preziosismi moderni, con una lingua fondamentalmente
chiara e semplice, e con un fraseggio gustosamente rapido e vivace:
uno stile, insomma, ch'è <<un abile compromesso fra
il classicismo (più o meno ciceronianeggiante) e il manierismo
della moda del tempo>> [F. Cupaiuolo].
...:::Bukowski:::...
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