Vita.
Figlio di un maestro di retorica (elemento non
trascurabile, questo, nella sua formazione poetica), S. incarna
- forse più di altri - la figura del poeta "professionista".
Si trasferì a Roma per tentare la fortuna durante l'impero
di Domiziano e, in breve tempo, effettivamente si guadagnò
– nelle recitazioni pubbliche e nelle gare poetiche - il favore
del pubblico e dei grandi signori, che divennero suoi protettori.
D'ingegno duttile e versatile, in questo primo
periodo compose libretti per mimi e, oltre al suo primo poema epico,
la "Tebaide", alcune "Silvae", componimenti lirici di circostanza
in uno stile facile ed elegante. Ma, dopo alcuni rovesci, nonostante
le preghiere insistenti della moglie Claudia, una musicista, decise
di abbandonare la città per far ritorno in Campania. Vi condusse
lo stesso genere di esistenza di poeta mondano al servizio dei nobili
romani, che in quella regione approdavano in massa per i loro soggiorni
primaverili ed estivi.
In questo periodo della sua attività, scrisse
altre "Silvae" e una seconda epopea, l' "Achilleide", che non gli
fu però possibile portare a termine.
Opere
e considerazioni.
"Tebaide" (pubbl. nel 92). E’ in 12 libri
e narra la lotta fra i due fratelli Eteocle e Polinice per la successione
in Tebe al trono di Edipo (ma anche se il tema è mitologico,
dotato di un complesso apparato divino, la vera sostanza del contenuto
riporta irresistibilmente verso la "Farsaglia" di Lucano).
In un insolito epilogo programmatico, S. dichiara
poi di avere un modello altissimo, anche se preso coi dovuti rispetti:
l "Eneide", di cui le due esadi riproducono fedelmente la metà
iliadica di preparazione e quella odisseica.
In verità, i modelli poetici sono legione:
S. dimostra una buona conoscenza della tragedia greca (Antimaco
di Colofone e Eschilo) e forse anche di alcuni poemi ciclici o di
loro riassunti. Talora (oltre che l’Omero mediato da Virgilio) appaiono
anche modelli più insoliti: Euripide, Apollonio Rodio, persino
Callimaco (e gli alessandrini in genere); infine, lo stile narrativo
e la metrica risentono della lezione tecnica di Ovidio, mentre la
sua immagine del mondo dell’influsso di Seneca, da cui mutua anche,
volendo, il gusto dell'orrido e la tendenza al patetico (caratteristiche
comunque comuni alla letteratura del tempo).
Insomma, proprio qui - ovvero nel contrasto tra
fedeltà alla tradizione virgiliana e le inquietudini modernizzanti
- sta il vero centro dell’ispirazione epica di S. . Tuttavia, nonostante
tale costellazione di influssi, e nonostante l'abbondanza di episodi
minuti e di "miniature" sentimentali o pittoresche, l’opera non
manca affatto di unità: anzi, il difetto tipico sono piuttosto
gli ossessivi "corsi e ricorsi" a motivi e atmosfere: tutta la storia
risulta, ad es., dominata da una ferrea "necessità universale"
(la cui funzione è enfatizzata in un apparato divino come
detto tipicamente virgiliano), che appiattisce le cose, gli uomini
e le stesse divinità (è qui che S. si avvicina invece
più a Lucano).
"Achilleide" (interrotta all'inizio del
II libro per la morte del poeta). Poema epico sull’educazione e
le vicende della vita di Achille: ma la narrazione giunge fino alla
partenza dell'eroe per Troia. Il tono è più disteso
ed idillico che nella barocca "Tebaide", benché nell'opera
tutta si evidenzi una forte accentuazione della componente etica.
"Silvae" ("schizzi", ovvero materiale grezzo
necessitante di rifinitura; ma in realtà l'opera risulta,
a suo modo, già elaborata e perfetta: dunque, il titolo va
forse più propriamente riferito al carattere "occasionale",
estemporaneo, dei componimenti). E' una raccolta di 32 poesie, scritte
tra l'85 e il 95 d.C., in 5 libri di metro vario (dall’esametro
ai versi lirici), di temi appunto occasionali (epitalami, descrizioni
di ville e di terme, di statue e di altri oggetti artistici, epicedi,
epistole poetiche, invocazioni…) e di tono molto spigliato e spontaneo,
nonostante la ricchezza di "topoi" retorici. Esse ci hanno
conservato preziose immagini dell’alta società romana del
tempo (della sua "mentalità") e dell’ambiente di corte: il
poeta si propone quasi quale "supervisore" sistematico dei pubblici
sentimenti o si atteggia a cantore orfico integrato nella comunità
(deriva da ciò la patina cortigiana e conformistica di tutto
l’insieme).
E' forse proprio qui, quindi, che S. dà
prova d'essere veramente un poeta erudito, un cantore della poesia
sentimentale e preziosa, addirittura "estetizzante" (a suo riguardo,
qualche critico ha parlato di "retorica della dolcezza").
...:::Bukowski:::...
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