Vita.
Orfano di padre, P. venne adottato da Plinio il
Vecchio, suo zio materno (da cui il nome); a Roma, studiò
retorica, sotto la guida di Quintiliano e di N. Sacerdote.
Incominciò presto la carriera forense, con
notevoli successi: il suo "cursus honorum" culminò
nella nomina a "prefetto dell’erario" (98) e "consul suffectus",
sotto Traiano. Questi, inoltre, lo nominò suo legato in Bitinia
(111).
Opere
e considerazioni.
Panegyricus. Considerato dai contemporanei
- e ancor più da se stesso - un oratore di primo piano, P.
pronunciò (nell'anno 100) il "Panegyricus" ufficiale
dell'imperatore Traiano, e questo "saggio", di cui disponiamo, ci
permette di giudicare delle sue qualità nell'eloquenza ufficiale.
La sua frase è ampia, lunga e sinuosa; il
pensiero aggrovigliato e, per lo più, "banale". Ma bisogna
mitigare questa impressione sfavorevole, tenendo conto che il genere
aveva le sue esigenze, la prima delle quali era che l'allusione
dovesse prevalere sulle affermazioni, perché era piuttosto
pericoloso parlare troppo e chiaro. Sotto questo rispetto, quindi,
P. ci appare come un vero maestro: dalle sue parole emerge, ad es.,
un'immagine dell'imperatore che corrisponde esattamente al modo
in cui Traiano desiderava proporsi agli occhi del suo popolo. Insomma,
con P., l'eloquenza diventa una specie di lavoro poetico, esattamente
ciò che Platone, in passato, temeva che potesse divenire:
maestra di illusione e di menzogna (ma questo, come detto, è
tratto comune dell'eloquenza del tempo).
Il "panegirico", comunque, risulta interessante
– oltre che per essere l’unico esempio di oratoria romana nella
I età imperiale e il punto d'inizio di un genere effettivamente
nuovo ed originale nella letteratura latina - quanto meno per l’importante
auspicio, in esso contenuto, di un periodo di rinnovata e costruttiva
collaborazione tra imperatore, senato e ceto equestre (con qualche
ingenuità, P. sembra rivendicare per sé una sorta
di funzione "pedagogica" nei confronti del Principe).
Epistulae. E’ probabile però che
l'eloquenza giudiziaria di P. (fu, tra l'altro, un avvocato di grido)
fosse di diversa qualità, giacché egli ci appare nelle
sue "Epistulae" (parte fondamentale della sua opera) un onest'uomo,
anche piuttosto scrupoloso (perlomeno quando scrive a Traiano, durante
l'esercizio della carica di governo in Bitinia, per chiedergli consigli
sul comportamento da adottare nei confronti dei suoi amministrati).
Le "Lettere" sono in 10 libri: i primi 9, raccolti
e ordinati dallo stesso P. per consiglio dell'amico Setticio, contengono
lettere di indole privata ("Ad familiares"), indirizzate
ad amici e (meno) a parenti. Si presentano come veri e propri saggi,
per lo più brevi, di cronaca sulla vita mondana, intellettuale
(vi compaiono, tra gli altri, Marziale e Tacito, cui del resto P.
fu molto legato) e civile (di cui, visto il suo "status",
egli è osservatore privilegiato): lo spunto per l'impostazione
di fondo, etico-didascalica, gli viene certamente da Seneca (si
ricordino le lettere di questi a Lucilio). Il X libro, pubblicato
postumo, è riservato invece al carteggio ufficiale intercorso,
come detto, con Traiano.
I libri su citati, non meno di quest’ultimo, rivelano
nella forma (il modello stavolta è Cicerone, ma con accenni
di "maniera") una ricercatezza e una lisciatura che direbbero da
sole - quand’anche l’autore stesso non lo avvertisse col suo "paulo
maiore cura" - che esse sono state rivedute per affrontare il
giudizio del pubblico: ben lo testimonia l’ordinamento interno,
attento alla "variatio" degli argomenti.
Il nostro mostra notevoli interessi verso le cose
intellettuali, in particolare per la filosofia e per la scienza
naturale, ma più con lo spirito del "dilettante" che con
quello del vero pensatore o scienziato. Inoltre, ci offre un esempio
esauriente della cultura "umanistica", così come era concepita
al suo tempo; nonché - come detto - un ampio, suggestivo
e dettagliato monitoraggio sulla vita dell'Impero. E’ possibile,
infine, al di là delle differenti personalità dei
due autori e dei loro differenti ruoli politici e contesti storico-culturali,
valutare ciò che la perdita della libertà ha potuto
produrre nello spirito romano, se si paragonano queste "Lettere"
di P. proprio con l' "Epistolario" di Cicerone.
...:::Bukowski:::...
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