Vita.
L'esperienza di Roma e la vita disagiata.
Dopo essere stato educato in patria, M. giunse a Roma nel 64, e
lì - fino a quando non uscirono di scena in seguito alla
congiura dei Pisoni - godette dell'appoggio e dell'amicizia di Seneca
e Lucano, suoi compatrioti. Si dedicò all'attività
forense, sperando di trarne rapidi e consistenti vantaggi economici:
le cose, però, andarono in ben altro modo, e il nostro poeta
si ritrovò a percorrere la difficile strada del "cliens".
I suoi patroni furono certo poco munifici: M., a corto di soldi,
visse a lungo in una brutta e alta dimora. L'attività poetica
gli consentì, comunque, sotto Tito (80 d.C.), di ottenere
da parte dell'imperatore il titolo onorario di "tribuno militare",
il rango equestre e benefici economici di varia natura, in cambio
di una raccolta di epigrammi (il "Liber de spectaculis") volta a
celebrare l'inaugurazione in quell'anno del Colosseo.
Il successo letterario. Ma il vero, tanto
sospirato, successo letterario (senza tuttavia - almeno per quanto
egli stesso lamenta - l'altrettanto sospirato miglioramento economico)
venne a M. solo dopo l'84-85, con la pubblicazione ininterrotta
dei suoi epigrammi; essa durò fino al 98: <<se per
gli altri l'epigramma era stato un gioco letterario, per lui divenne
ragione della sua vita, moneta spicciola di ogni giorno, mestiere,
mezzo infallibile per procacciarsi il cibo>> [F. Della Corte].
Il ritorno in patria e la morte. Sotto l'imperatore
Nerva, lasciò Roma per ritornare in patria (le spese del
viaggio gli furono pagate Plinio il Giovane). In Spagna, nella sua
Bilbilis, si godette un podere donatogli da una ricca vedova e devota
ammiratrice, Marcella. Il poeta si attendeva di trovare, al suo
ritorno, il mondo e gli amici della giovinezza, ma, senza più
questi, e dopo anni trascorsi nella turbolenta, ma vivace vita romana,
Bilbilis e il suo meschino ambiente di provincia finirono ben presto
per stancarlo. Pubblicò nel 101 il suo ultimo libro di epigrammi,
ma continuò a rimpiangere Roma, fino alla morte.
Opere.
Di M. ci resta una raccolta di "Epigrammi"
, distribuiti in 12 libri composti e via via pubblicati fra l'86
e il 102. Tale corpo centrale è preceduto da un altro libro
a sé di una trentina di epigrammi, il "Liber Spectaculorum",
e seguito da altri 2 libri (84 – 85 d.C.) anch'essi autonomi, lo
"Xenia" (distici destinati ad accompagnare i "doni per amici
e parenti" nelle feste dei Saturnali) e gli "Apophoreta"
(coppie di distici di accompagnamento agli omaggi offerti nei banchetti
e "portati via" dai convitati). Nell’ordinare gli epigrammi (più
di 1500, per un totale di 10000 versi ca), l'autore li ha distribuiti
in modo equilibrato, secondo il metro e l’estensione, seguendo il
topos della "varietas". Comunque, la disposizione attuale
dell’intera raccolta riproduce probabilmente quella di un’edizione
antica postuma.
Considerazioni
sugli epigrammi: antecedenti, contenuti, caratteri, struttura.
Le origini del genere. In realtà,
nell'ambito della poesia latina, prima di M., non abbiamo una vera
"tradizione" che riguardi gli epigrammi: praticamente, solo Catullo
svolse una funzione importante di mediazione fra cultura greca e
latina nella storia di questo genere letterario, piegandolo ad espressione
di sentimenti, gusti, passioni (cioè a temi della vita individuale)
nonché a strumento di vivace aggressione polemica; quasi
nulla, invece, sappiamo di quei poeti che M. indica come suoi "auctores",
tranne forse di Lucillio, epigrammatista dell'età di Nerone:
dal primo, il nostro poeta mutuerà sostanzialmente l'aggressiva
vivacità, dal secondo la rappresentazione comica di difetti
fisici, di tipi e caratteri sociali, nonché la tecnica della
"trovata finale"; caratteri - questi - che egli svilupperà
in senso fortemente comico-satirico a sfondo sociale (allineandosi,
in tal modo, anche alla tradizione satirica tipicamente romana).
La nascita dell'epigramma risale, quindi, come
il nome stesso ("epigramma", lett. "scritto sopra"), propriamente
all'età greca arcaica, dove la sua funzione era essenzialmente
commemorativa (era inciso, ad es., su pietre tombali o su offerte
votive): il padre di questo genere, nella sua forma artistica più
evoluta, fu leggendariamente indicato in Omero, ma prime vere testimonianze
ne abbiamo solo con Archiloco (VII sec. a.C.), con Anacreonte di
Ceo e soprattutto Simonide di Ceo (VI sec.); in età ellenistica,
però, esso - pur conservando la sua caratteristica brevità
- mostra di essersi emancipato dalla forma epigrafica e dalla destinazione
pratica, presentandosi come un tipo di componimento adatto alla
poesia d'occasione, a fissare - nel giro di pochi versi - l'impressione
di un momento: un componimento cui non si sottrassero nemmeno Callimaco
e Teocrito. I temi erano di tipo leggero: erotico, satirico, parodistico,
accanto a quelli più tradizionali, ad es. di carattere funebre.
M. ne mutuerà, accanto agli stessi temi, decisamente l'arguzia
e la fine ironia.
Il "testimone" di M. M. fa,
dunque, dell'epigramma il suo genere esclusivo, l'unica forma della
propria poesia, apprezzandone soprattutto la duttilità, la
facilità ad aderire ai molteplici aspetti del reale. Questi
sono i pregi che egli contrappone ai generi più illustri,
ovvero all'epos e alla tragedia (i preferiti nel clima di
restaurazione morale tipico dell'età flavia), coi loro toni
seriosi e i loro contenuti abusati, quelle trite vicende mitologiche
tanto lontane dalla viva e palpitante quotidianità. Invece,
è proprio il realismo (anche se volentieri generico e di
"maniera"), l'aderenza alla vita concreta (<<con particolare
riferimento ai bisogni e alle attività più elementari
e con voluta insistenza sui particolari più corposamente
concreti e sui dati più crudamente fisici>> [Cecchin])
che M. rivendica come tratti caratteristici della propria poesia
("Hominem pagina nostra sapit": "La nostra pagina ha sapore
di uomo"), una poesia che coniuga fruibilità pratica e divertimento
letterario, tratteggiando un quadro variegato e incisivo della realtà
quotidiana di Roma, con le sue contraddizioni e i suoi paradossi.
Schema dei motivi, dei caratteri e dei contenuti.
Di questo "esito" dell'epigramma in M., dato il carattere magmatico
dei contenuti e delle espressioni, è utile e possibile, schematizzando,
enucleare le seguenti caratteristiche [ovviamente, lo schema immiserisce,
e chiedo scusa per questo]:
1. i temi sono vari: accanto a quelli più
radicati nella tradizione, altri riguardano più da vicino
le vicende personali del poeta o - come detto - il costume della
società del tempo. <<Costretto a chiedere sovvenzioni
ai suoi patroni, [… M.] evitò d'infamare i signori e, con
nomi finti e inventati, colpì i miserabili della società,
miserabili anche se affogavano nel denaro>> [F. Della Corte].
Il nostro autore li aggredisce e li irride con <<spirito impietoso,
disumano e crudele […] che non risparmia neppure la malattia, la
vecchiaia e la miseria>> [Perelli]: ma il poeta si limita
alla presa in giro, senza mai analizzare veramente e profondamente
il vizio, e senza mai definitivamente condannarlo: <<egli
si giustifica dell'immoralità della sua poesia dicendo "Lasciva
est nobis pagina, vita proba": ma ciò non toglie che
egli si mostri indifferente di fronte al vizio>> [Perelli].
Eppure, in lui <<coesistono quasi due volti diversi: accanto
al poeta mordace, scanzonato, talvolta volgare e disumano, che è
il volto più diffuso e più noto, vi è un M.
più intimo, che lascia parlare il cuore; in questi carmi
più schietti, che sono dispersi nella grande massa degli
epigrammi convenzionali, egli raggiunge la vera poesia>> [Perelli]:
questo, soprattutto, negli epicedi, spesso per la morte di bambini
e ragazzi (M. s'intenerisce molto, e sinceramente, quando parla
della gioventù violata o infranta);
2. il poeta spesso si rivolge alla vittima
dell'epigramma (di regola persona fittizia o comunque non individuabile)
o a una terza persona (che può essere reale o fittizia),
cui addita la figura o il comportamento del personaggio colpito;
3. si riscontrano sempre le stesse, generiche,
tipologie di personaggi: i parassiti, i ladri, gli spilorci, gli
imbroglioni, i medici pericolosi, gli odiatissimi plagiari (tanto
più numerosi quanto più aumentava il suo successo
letterario), e così via; tali deformazioni grottesche sono
frutto di una tecnica di rappresentazione molto ravvicinata, un
effetto ottico che focalizza singoli personaggi negando loro uno
sfondo, un contorno, come se, per meglio mostrarli, fossero strappati
al contesto e sospesi quasi nel vuoto (l'atteggiamento del poeta
è perciò, come visto, volentieri quello di un osservatore
attento ma per lo più distaccato);
4. l'epigramma è solitamente breve:
molto raramente di un solo verso, solitamente da 2 a 10 versi (ma
vi sono anche numerosi epigrammi di più di 20 versi, fino
ad un massimo di 51 versi);
5. i metri utilizzati sono vari: accanto
al distico elegiaco, sono frequenti anche falecio e scazonte, ma
non ne mancano di altri diversi;
6. compaiono quasi sempre apostrofi, interrogazioni,
movimenti di dialogo che devono dare l'impressione di un intervento
diretto del poeta in una certa situazione, davanti a un interlocutore;
il tono, molto spesso, è quello di un umorismo, come dire,
"commerciale", che per certi versi ricorda molto da vicino la nostra
"barzelletta": insomma, M. scriveva innanzitutto per farsi apprezzare
e (soprattutto) acquistare dal pubblico, e molti dei suoi versi
rispondevano quasi esclusivamente all'utilitaristica legge della
domanda-offerta;
7. nonostante le forme composite siano svariate,
è possibile tuttavia individuare uno "schema-tipo", già
rilevato e analizzato a suo tempo dal Lessing: uno schema bipartito
nei due momenti di "attesa"/"spiegazione conclusiva": nella prima
parte, il poeta - attraverso la rappresentazione di una situazione
o la descrizione di un personaggio - crea nel lettore un'aspettativa,
la quale viene soddisfatta dalla battuta conclusiva;
8. la sinteticità caratterizza l'iniziale
delineazione della situazione o del tipo. Altre volte ci sono quadri
più ampi, di notevole impegno e complessità, in cui
M. dà - tra l'altro - prova di grandi capacità di
rappresentazione realistica (ma coi limiti, spesso, del suddetto
realismo "letterario");
9. M. ottiene effetti particolarmente felici
nel finale, ch'è poi l'essenza di tutto l'epigramma, l' "aculeus",
l' "aliquid luminis" (oggi diremmo: la "freddura"); finale
che a volte riassume i termini di una situazione in una formulazione
estremamente incisiva e pregnante, altre volte li porta a una comica
iperbole, altre volte li costringe a un esito assurdo o a un paradosso,
altre volte li pone all'improvviso sotto una luce diversa e rivelatrice
(è l' "effetto-sorpresa"); ovviamente, la battuta conclusiva
risulterà tanto più efficace quanto più lontana
dalla previsione del lettore;
10. il pubblico, infine, da parte sua, ritrovava
negli epigrammi la propria esperienza quotidiana filtrata e nobilitata
da una forma artistica dotata appunto di agilità e pregnanza
espressiva ("brevitas"), aperta alla vivacità dei
modo colloquiali e alla ricchezza del lessico quotidiano (a volte
degenerante, come visto, in un vero e proprio "realismo osceno"),
ma capace anche - all’occorrenza - di limpida sobrietà, raffinata
ed essenziale. Fu questo, in ultima analisi, a ben vedere, il vero
segreto del successo di M. .
...:::Bukowski:::...
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